ECUADOR: IL MANIFESTO: Intervista a Rosa Alvarado



Carissimi/e,
in attesa di stabilire una data per un incontro tra le varie realtà
interessate a solidarizzare con i Popoli dell'Ecuador (incontro che
vorremmo organizzare ad Ancona o Firenze verso la seconda metà di giugno e
per la realizzazione del quale, attendiamo vostre proposte concrete),
riproduciamo a seguire quest'articolo, apparso su "Il Manifesto" di ieri,
23 Maggio 2000.

Cordiali saluti,
 Comitato Internazionalista Arco Iris 

http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/23-Maggio-2000/art39.htm

23 Maggio 2000 

                      ECUADOR, SUCRE AMARO 
di Giuseppe Rolli
 
Ci sono molte date importanti nella storia di qualunque paese. Per
l'Ecuador il 21 gennaio 2000 poteva essere, come si dice, una di "quelle da
ricordare". Quel giorno, infatti, un militare (il colonnello Lucho
Gutiérrez), un magistrato (Carlos Solorzano) e un indio (Antonio Vargas),
insieme con una folla di indigeni rappresentati della Conaie (la
Confederazione delle nazionalità indigene dell'Equador) ed alcuni militari
ribelli, marciano sulla capitale, Quito, e occupano il Congresso nazionale.
Con loro c'è Rosa Maria Alvarado Tanguila, una giovane medico laureatasi
all'Avana che attualmente coordina le attività del Dipartimento di sanità e
nutrizione della Conaie.

Quello stesso giorno il presidente Jamil Mahuad, eletto nel 1998 e autore
pochi giorni prima di una proposta "scandalosa", quella di adottare il
dollaro americano come moneta del paese, è destituito per cedere il posto
alla "Giunta di salvezza nazionale", un triumvirato civile e militare.
Qualcosa, però, s'inceppa da subito. Il colonnello Gutiérrez lascia il suo
posto in giunta al generale Mendoza che, da lì a poche ore, con un colpo di
mano - ma sarebbe più appropriato dire "con un colpo di stato" - consegna
il paese a Gustavo Noboa, il vice presidente, spegnendo il legittimo
riconoscimento del triumvirato progressista nel quale si riconosceva una
parte rappresentativa della popolazione e persino della Chiesa.

Da allora, la dollarizzazione è diventata una realtà (il biglietto verde è
già in circolazione) e le elezioni locali tenute domenica hanno ridisegnato
la mappa politica del paese in senso molto distante da quei giorni intensi
di gennaio: Democracia popular, il partito del deposto Mahuad, è stato
sonoramente castigato, un leader di Izquierda Democratica - l'ex generale
Paco Moncayo, che aveva simpatizzato con l'insurrezione - è stato eletto
sindaco della capitale Quito, ma il Partito social-cristiano (conservatore)
è diventato la prima forza politica del paese e il movimento indio
Pachakutik è confinato nelle parroquias, la base sociale delle
amministrazioni pubbliche, malgrado un buon risultato.
Rosa Alvarado in questi giorni è in giro per l'Italia ad incontrare
organismi, associazioni, mezzi di informazione e studenti con cui discutere
degli avvenimenti di gennaio scorso e denunciare la situazione politica ed
economica che vive l'Ecuador. 

Signora Alvarado la prima domanda è quasi obbligatoria: cosa non ha
funzionato il 21 gennaio scorso? 

Bisogna innanzi tutto ricordare che quel giorno resta una data importante
per tutto il popolo ecuadoriano, anche perché per noi, e non solo per noi,
ha segnato la vera apertura del nuovo millennio. Nel corso di questa
sollevazione popolare siamo riusciti ad occupare i due poteri più
importanti dello stato, ossia il Congresso nazionale e la Corte suprema di
giustizia. A fronte di questo un altro potere, quello militare, si è unito
a noi, prima nella persona del colonnello Lucho Gutiérrez e poi in quella
del generale Carlos Mendoza, togliendo l'appoggio al presidente Mahuad. 

Chi chiese di sostituire Gutiérrez con Mendoza? 

I militari, o quantomeno buona parte di loro. Chiesero a Gutiérrez di farsi
da parte perché un generale delle alte gerarchie all'interno della "Giunta
nazionale di salvezza", al posto di un semplice colonnello, avrebbe dato
maggiore rappresentatività allo stesso triumvirato. Dopo accadde che il
generale Mendoza, una volta occupata la sede del Congresso, ricevette una
telefonata da parte di "alti funzionari della Casa Bianca" con la quale gli
fu fatto presente che non avrebbe ricevuto nessun appoggio, né di tipo
militare né politico-istituzionale. Poi fu la volta di altre pressioni da
parte di altri stati, come l'Inghilterra, la Spagna, e l'Oea
(l'Organizzazione degli Stati Americani, ndr) che sostennero quanto
annunciato dagli Stati uniti. Da qui scaturisce il rifiuto di Mendoza
(quindi dell'esercito) a partecipare ai lavori della Giunta. Due ore dopo
Gustavo Noboa, il vice presidente, aveva assunto il potere. 

L'economia ecuadoriana è stata distrutta dai governi militari prima e dalla
classe politica poi. Da una parte ci sono gli occhi degli Usa e del Fondo
monetario internazionale puntati sulla stabilità delle banche, poi le mani
di una classe dirigente avida, infine il corpo di un'opposizione che cerca
le grandi trasformazioni sociali, ma poi non riesce a concretizzare alcuna
azione immediata. In questo scenario qual è il vostro ruolo? 

Noi lo riteniamo fondamentale. Il fatto che l'attuale presidente insegua e
pratichi la stessa politica del suo predecessore, Jamil Mahuad, è
sintomatico di come il futuro del paese sia in serio pericolo. Per questo,
se non saranno accettate le proposte del movimento indigeno, il governo si
assumerà anche le responsabilità di una nuova sollevazione popolare. 

E quali sono queste proposte? 

In questi giorni stiamo raccogliendo le firme per promuovere un referendum
dove poniamo quattro punti importanti: concedere l'amnistia agli insorti
del 21 gennaio; chiedere la ristrutturazione della Corte suprema di
giustizia e lo scioglimento del Congresso nazionale; la non
"dollarizzazione" dell'economia e, infine, la modernizzazione del paese
anziché la privatizzazione. 

Secondo l'economista ecuadoriano Alberto Acosta la situazione potrebbe
peggiorare in questi mesi proprio a causa della dollarizzazione, prevedendo
inoltre che l'Ecuador possa trasformarsi in un "paradiso fiscale alimentato
dai narcodollari". Sarà così? 

Il governo ha voluto la dollarizzazione come àncora di salvezza per
mantenersi al potere. E' chiaro che in un sistema economico così malato il
minimo prezzo da pagare è che il denaro affluisca nelle nostre banche solo
per essere "ripulito". 

Negli ultimi cinque anni i poveri dell'Ecuador sono più che raddoppiati.
Qual'è la reale condizione di vita del popolo indigeno? 

E' disastrosa e pericolosa non solo per gli indigeni, ma anche per quanti
vivono ai margini delle città e nelle campagne. Per comprendere la gravità
basta guardare l'alto tasso di analfabetizzazione (circa il 50 per cento,
ndr) e le condizioni sanitarie inumane in cui versa la maggioranza della
popolazione. Non solo. In questi anni è cresciuto il fenomeno
dell'urbanizzazione, ogni giorno migliaia di contadini invadono le città
dove trovano la morte molto prima che nelle campagne. Per ridurre questo
basterebbe valorizzare la medicina indigena, la nostra educazione
interculturale e lo sviluppo di un'autodeterminazione rispettosa delle
diversità. 

Blanca Chancoso, responsabile per le relazioni internazionali della Conaie,
in questi giorni ha annunciato "un nuovo sollevamento improvviso" contro le
misure economiche del governo, oltre alla possibilità di "una vera
insurrezione" cui la popolazione sarebbe disposta pur di vedere liberi gli
insorti... 

La nostra lotta non si fermerà fino a quando non avremmo ottenuto ciò che
chiediamo. A tutti i costi. 

Anche con la lotta armata? 

Assolutamente no. La nostra è una lotta pacifica che mira a realizzare una
rivoluzione culturale. Quando le armi si sostituiscono al dialogo e alla
partecipazione democratica si decreta la sconfitta dell'uomo. La nostra
unica arma è la ragione ed è con quella che vinceremo. Siamo un'unica idea,
un'unica voce, un unico pugno. 

Che cosa chiedete alla comunità internazionale e al governo italiano? 

Innanzi tutto di non chiamarci "golpisti". Il 21 gennaio c'è stata una
grande ribellione storica per la dignità e la democrazia del popolo
ecuadoriano. Chiediamo, dunque, la libertà per quei compagni che sono stati
rinchiusi in carcere subito dopo l'insurrezione e l'immediata amnistia per
Antonio Vargas, leader della Conaie. Inoltre che sia scongiurata qualsiasi
forma di repressione e che la Comunità europea faccia in modo che il nostro
governo accetti le proposte del movimento indigeno. 

Quindi anche di entrare nella campagna per la cancellazione del debito
estero? 

Certo. Proponiamo che ci siano accordati almeno "10 anni di grazia"
affinché quei soldi possano essere canalizzati nei progetti di sviluppo del
nostro paese. In fondo, se ci pensate bene, 10 anni di "sconto" non sono
nulla rispetto ai 500 che voi ci dovete. 

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