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Angelica Sansone e l'educazione alla pace
Ad un mese dalla scomparsa di Angelica.
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L'impegno di Angelica per l'educazione alla pace
Il mio primo incontro con Angelica è avvenuto nel 1989 nei locali della
Parrocchia Madonna della Fiducia, dove si riuniva (e tuttora si riunisce)
il gruppo tarantino di Pax Christi. Era un momento di grande entusiasmo
perché stava finendo la guerra fredda e mi sembrava venuto il momento di
lanciare con convinzione nelle scuole l'educazione alla pace come idea
chiave. Finalmente si poteva parlare di disarmo senza la paura di "fare il
gioco dell'Urss" e senza essere accusati di "irraggiungibile utopia".
L'utopia anzi in quegli anni sembrava a portata di mano, un'opzione
realizzabile e coraggiosa da pensare con il calendario alla mano; c'era la
buona fede in quel sogno di pace e si auspicava (o ci si illudeva?) che
anche negli Stati Uniti - fra chi aveva in mano le leve del potere
militare, politico ed economico - stesse maturando la convinzione che il
disarmo nucleare fosse all'ordine del giorno. La pace era scoppiata come
una grande speranza, come progetto educativo nel cuore delle persone più
sensibili. Angelica era fra queste. Quando parlai con Pio Castagna
dell'esigenza di creare a Taranto una rete di insegnanti per la pace, lui
mi indicò subito Angelica: mi disse che era la "persona giusta". E in
quell'incontro Angelica forse non si fece una buona impressione di me. Io
volevo passare subito all'azione, alla visibilità pubblica di questa rete
di insegnanti. Le parlavo di comunicati stampa, di volantini, di convegni,
ecc. Lei era invece per la maturazione graduale, per una progressivo
processo di formazione che facesse lievitare le coscienze, senza eccessiva
pubblicità. Io allora la vedevo troppo calma, lei mi vedeva forse troppo
scattante, insomma il primo incontro non fu un'intesa perfetta e non ci
sincronizzammo perché eravamo semplicemente molto diversi. E tuttavia
quell'incontro mi fece riflettere sui rischi di un'operazione di facciata
che riducesse l'educazione alla pace ad uno slogan di facile presa e di
scarsa incisività nella pratica scolastica. A distanza di tanti anni
avverto che Angelica aveva una buona fetta di ragione, quella prevalente.
Infatti è controproducente un'educazione alla pace fatta da tanti
insegnanti non adeguatamente preparati (e occorrono anni per formarsi una
cultura di pace, se non si vuole far finta) o raccolti in fretta giusto per
far numero e firmare un "appello di insegnanti". La politica dei comunicati
stampa ad effetto nasconde spesso il vuoto di contenuti e, anche se non era
questa la mia intenzione, era certamente questo uno dei rischi che
Angedlica voleva scansare. Non basta "volere" il nuovo, occorre "essere"
diversi per fare educazione alla pace, per promuovere una scuola nuova: lo
disse don Milani e Angelica lo sapeva bene. E Angelica era diversa. Me ne
accorsi quando mi invitò ad un seminario in cui erano presenti i suoi
studenti: era sabato e si incontrava il pomeriggio con i suoi studenti! Mi
sembrava una cosa pazzesca, andai lì con la convinzione che sarebbe stato
un flop tremendo, mi aspettavo un fuggi fuggi di ragazzi che non avrebbero
aspettato altro che il momento giusto per svignarsela. "Di che devo
parlare?" "Parla di PeaceLink, della telematica per la pace, della cose che
fai", mi rispose Angelica. Fu una della prime volte che mi capitava di
essere invitato a Taranto a parlare di telematica, eravamo a metà degli
anni Novanta e Internet era ignota ai più. La riunione, ricordo bene, si
tenne dalle 17.30 alle 19 del sabato presso il Centro di Cultura Cattolica
Univ.Sacro Cuore in via Mazzini 39 a Taranto. Ragazzi attentissimi. Erano
loro che non se ne volevano andare. Allacciavano discorso per continuare il
ragionamento, mi parlavano dei film che vedevano, erano allegri. Avevo di
fronte dei ragazzi diversi, fu un sabato in cui sentivo rinascere quella
speranza che era venuta a galla nel 1989 e che - dopo la Guerra del Golfo,
la fine di Gorbaciov e lo stop del disarmo atomico - sembrava essersi di
nuovo inabissata. Capivo in quei momenti la verità della "scelta lenta" di
Angelica, del processo graduale di lievitazione delle coscienze: ragazzi
così non erano frutto di un anno di "indottrinamento". Erano frutto di
tanti incontri, della condivisione profonda di ideali, della stima verso
l'insegnante. Non sarebbe stata possibile quella attenzione senza la stima
verso quella "persona diversa" come era appunto Angelica, così diversa da
scegliere di incontrarsi con i suoi studenti anche quando era in pensione.
Sono esperienze che rimangono indelebili e che ti fanno pensare: "Anche io
farò come Angelica, non abbandonerò i miei ragazzi anche quando andrò in
pensione". Sono cose belle da pensare, bellissime da dire e da scrivere,
un'utopia da realizzare. Ma le utopie erano il pane di Angelica. E' stata
lei infatti a unire ogni maggio tante scuole ed associazioni attorno alla
festa di Macondo. Le feste di Macondo erano un'agorà di esperienze che
confluivano in una scuola: aule, corridoi, bancarelle,
canzoni, cartelloni, video, tanta allegria e, soprattutto, tanti giovani.
Angelica incarnava la "persona rete" di cui parla Daniel Goleman, lo
psicologo che ha diffuso la pedagogia basata sull'intyelligenza emotica e
sull'apprendimento emozionale. Creare legami emotivi, collegare le persone,
allacciare le esperienze e metterle in sintonia, tutto ciò era Macondo a
Taranto e rendeva questa associazione l'esatto contrario di quelle
associazioni che fanno tutto da sole e che promuovono unicamente il proprio
"marchio", il proprio conto corrente, il proprio comunicato stampa, per
farla breve: la propria immagine. Macondo era invece un "link" di
esperienze diverse, una rete di collegamento.
Angelica appoggiò con convinzione la diffusione di un bollettino di
collegamento di tutte le esperienze e le associazioni tarantine, denominato
NIM (Notizie Informazioni Messaggi). Poiché lo impaginavo io con il
computer portatile e lo fotocopiavo artigianalmente, ogni tanto mi metteva
in mano un po' di soldi. Durante la guerra del Kossovo mi incontrò in
piazza Garibaldi (avevamo piantato una tenda per la pace) e mi dette un
malloppetto di soldi, neppure li contò: li tirò fuori dal borsellino e me
li mise in mano. Mi disse di continuare, e basta. Le piaceva l'idea che ci
fossero persone che fossero contro la guerra, che scegliessero la
nonviolenza. Io non le chiedevo per che partito votava, lei non me lo
chiedeva. Sapevano però di essere entrambi contro i bombardamenti della
Nato sui civili. Angelica mi disse: "E' pazzesco". Tagliò breve perché era
disgustata. Ma il suo viso - almeno così ricordo - era sempre orientato ad
esprimere l'ottimismo. Prevaleva in lei il sorriso, mai l'ho vista invasa
dall'amarezza, dallo sfogo in cui l'ira "fa roca la voce", dalla
recriminazione contro gli altri, contro i "cattivi". Angelica non ha fatto
cioè parte dei "pacifisti brontoloni". Ha fatto parte degli operatori di
pace che hanno lottato con i fatti, con i comportamenti, con la lenta
costruzione di progetti. E così la ricordo, sorridente in piazza Garibaldi,
con un'incrollabile fiducia nel futuro anche quando cadevano le bombe. Il
sole di quel pomeriggio la illuminava.
Alessandro Marescotti