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come e' vulnerabile il mondo globalizzato
Com'è vulnerabile
il mondo globalizzato
LUCIANO GALLINO
Poco dopo l'attacco alle Twin Towers diversi commentatori han cominciato
a chiedersi quali potrebbero essere le sue conseguenze sul processo di
globalizzazione. Ora che è iniziata la guerra, oggi in Afghanistan domani
chissà, il medesimo interrogativo si ripropone con maggior forza. Finora
le risposte convergono su una singola interpretazione. Si constata
ovviamente che la lotta al terrorismo ha imposto l'adozione di severe
misure di sicurezza, mentre ovunque nel mondo si diffonde la paura di
attentati. Si prosegue notando che le une e l'altra ostacolano
notevolmente gli intensi e scorrevoli flussi a largo raggio di persone,
merci e informazioni in cui la globalizzazione consiste. Per concludere
che se tali ostacoli dovessero protrarsi a lungo, il processo di
globalizzazione potrebbe arrestarsi o degradare, e molte popolazioni ne
soffrirebbero.
A tale interpretazione è sottesa l'ipotesi che quando gli attentati e la
guerra avranno termine, e saranno rimossi gli ostacoli da essi derivanti
alla fluida circolazione nel mondo di persone, informazioni e merci, il
processo di globalizzazione riprenderà tranquillamente il suo corso.
Un'ipotesi cui conviene opporne un'altra: che la globalizzazione, così
come è stata finora concepita e realizzata, sia un progetto contenente
tali difetti strutturali da rendere inevitabile, a medio periodo se non
prima, il suo arresto o un suo degrado. Agli occhi e ai sentimenti di chi
per caso non li avesse notati prima, gli attentati e la guerra hanno
fatto di colpo risaltare i difetti insiti nel progetto, ma – a parte che
nessuno può dire quanto a lungo tali sciagure dureranno – non sono
affatto le cause prime del suo malfunzionamento. E' questo uno dei motivi
che alimentano le riflessioni sulla "global vulnerability", che
in ogni caso non sono cominciate il 12 settembre, né sono dovute
unicamente ad avversari preconcetti della globalizzazione.
I vizi di fondo del progetto chiamato globalizzazione sono da vedere
soprattutto nell'aver puntato a costruire sistemi sociali e tecnologici
che debbono essere per forza giganteschi, estesi a ogni angolo del
pianeta con le stesse identiche modalità, e impeccabilmente funzionanti
24 ore su 24, 7 giorni su 7. Si è puntato cioè a fare del mondo una sorta
di gigantesco orologio, automatico, superpreciso e, manco a dirlo,
"satellite controlled". Disegnato con un simile proposito, esso
reca in sé i caratteri di una crescente vulnerabilità. L'orologio si può
fermare più o meno a lungo per un attentato o una guerra, ma questi sono,
per quanto terribili, solamente alcuni degli incidenti a cui il
mondoorologio è esposto. Le cause di molti altri guasti possibili si
trovano dentro il suo meccanismo, non fuori.
Sistemi di trasporto di merci e persone, sistemi di comunicazione,
sistemi produttivi, con le loro componenti sociali e tecnologiche: più si
globalizzano, più tendono a diventare vulnerabili. Una prima causa di
vulnerabilità è identificabile nel fatto che qualsiasi sistema
sociotecnico è formato necessariamente da tanti pezzi, ovvero da una
molteplicità di sottosistemi. A mano a mano che i sottosistemi diventano
più numerosi, perché si vuole che il sistema che li comprende arrivi a
coprire tutto il globo, aumenta la probabilità che tra di essi ve ne sia
qualcuno che funziona male, o si rompe. Oppure che saltino i collegamenti
tra l'uno e l'altro. In ambedue i casi l'intero sistema può andare in
crisi, e mandarne subito in crisi altri. Si veda il caso ineffabile della
new economy, di cui si diceva che fosse il dominio del clic,
dell'immateriale, del virtuale. Salvo scoprire che se per qualche motivo
si inceppa, o dovesse incepparsi, il materialissimo sistema di 653
aeroplani, 43.500 veicoli, e 148.000 operai e impiegati di un'impresa di
trasporti tipo la Federal Express (dati di inizio 2000), nessuna merce e
nessun servizio, per quanto si clicchi, entra o esce da alcuna unità
produttiva.
Una seconda causa di vulnerabilità dei sistemi globali è la perdita della
capacità di adattamento ai mutamenti locali, di qualsivoglia natura:
sociali, economici, ambientali. Essa consegue sia dalla riduzione della
varietà della natura e dei comportamenti che i costruttori di sistemi
globali tenacemente perseguono, sia dalla perdita di autonomia
decisionale che i soggetti locali subiscono perché i centri di decisione
sono stati trasferiti altrove. In ampie regioni del globo, Europa
compresa, i sistemi economici locali sono stati decostruiti e poi
ricostruiti in un modo tale che le decisioni attinenti i modi di produrre
beni d'uso o alimenti, l'occupazione, i consumi, la distribuzione della
popolazione sul territorio, che un tempo erano prese sul luogo da
artigiani, piccoli imprenditori, coltivatori, amministratori locali, sono
ora prese da qualcuno che sta a migliaia di chilometri di distanza. Un
decisore lontano non è necessariamente un decisore malvagio. E' però un
decisore al quale della regione in cui le sue decisioni ricadranno
importa probabilmente poco, non foss'altro perché nel suo ordine di
priorità globali quella regione occupa magari il decimo posto. Nel
migliore dei casi finirà per prendere decisioni tardive o inadeguate.
V'è un paradosso nei sistemi globali: alcuni di essi sono stati
sviluppati con il preciso scopo di ridurre la vulnerabilità dei processi
sociali o tecnologici che ne sono alla base. Esemplare è il caso di
Internet, divenuta ormai il principale sistema di comunicazione a fini
scientifici ed economici, per vari aspetti modello di tutti i sistemi
globali. La sua antenata, Arpanet, fu creata nel 1969 al fine di evitare
che la comunicazione tra elaboratori elettronici potesse essere
interrotta da atti di sabotaggio o da un attacco nucleare. Se il computer
A è collegato con una sola linea al computer B, un colpo di forbici alla
linea, reale o figurato, gli impedirà di comunicare con B. Ma se A e B
sono collegati in rete con C, D, ecc., un dato messaggio troverà sempre
la strada per arrivare da A a B. La rete rendeva così invulnerabile la
comunicazione. All'inizio Arpanet constava di quattro soli computer,
diventati faticosamente una trentina nel 1971. Oggi i computer collegati
tramite Internet sono diventati centinaia di milioni. La comunicazione
tra di loro continua ad essere invulnerabile? C'è qualche motivo per
dubitarne. Infatti l'enorme aumento del traffico di dati ha reso
necessaria la posa di cavi transoceanici in fibra ottica, tra Europa,
Americhe ed Estremo Oriente, attraverso i quali passa la maggior parte
dei dati di rilevanza scientifica ed economica. Questi cavi sono pochi,
meno di una dozzina per stare ai più importanti; quindi i sistemi di
comunicazione che ne dipendono sono intrinsecamente vulnerabili. Inoltre
i pc collegati a Internet funzionano in forza di tre soli sistemi
operativi (Windows, Mac Os e Linux), il primo dei quali è presente in
circa il 90% dei pc. Quando i pc se ne stavano da soli, questa poteva
essere una gran comodità. Ma ora che sono quasi tutti in rete, il
ridottissimo numero di sistemi operativi facilita grandemente lo sviluppo
e la diffusione di virus informatici.
Oltre ai dolori che hanno recato e recheranno, la tragedia americana e la
guerra ci stanno facendo toccare con mano che cosa significhi la
vulnerabilità globale. Essa comporta sin da ora costi umani addizionali,
come una decina di milioni di nuovi poveri, quelli che vivono con meno di
un dollaro al giorno. Potrebbe essere giunto il momento per cercare di
comprendere perché il mondo sembra rifiutarsi di funzionare come un
orologio. E per provare eventualmente a cambiare disegno.
Repubblica 21/10/01