[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]

don Milani e Montanelli



RETROSCENA Una nuova biografia del parroco di Barbiana contiene una lettera inedita del giornalista che sul «Corriere» lo aveva attaccato ma in privato gli chiedeva scusa

DON MILANI Il santo eretico che cambiò Montanelli

Indro Montanelli e don Lorenzo Milani, incontro che non ci fu. Uno, laico anticomunista e giornalista scettico; l’altro, prete tentato dalla politica e profeta apocalittico con lampi di santità: dialogo, sin dall’inizio, impossibile. E invece no, il colloquio avvenne. Però su carta: e questo forse evitò a due caratteri infiammabili, messi a contatto, di prendere fuoco. Dapprima ci fu un articolo di Montanelli sul «Corriere», il 28 dicembre 1958 (ne pubblichiamo un brano in questa pagina). Poi, nel gennaio successivo, una lettera privata di Montanelli all’allora parroco di San Donato, sepolta fino ad oggi negli archivi, e rivelataci dal giornalista Maurizio Di Giacomo in un saggio biografico appena pubblicato («Don Milani», editore Borla, 401 pagine e 40 mila lire, con la lettera che qui è pubblicata integralmente). E infine, tanti anni più tardi, nel 1994, quando don Milani era morto da un pezzo e Montanelli dirigeva la «Voce», poche righe finali, come di congedo verso un personaggio insieme stimato e respinto.
Se la prima e l’ultima testimonianza erano state pubblicate, la seconda fino ad oggi mancava: e ora, nel leggerla, ci rendiamo conto del rapporto speciale che esistette fra due protagonisti del dibattito politico-culturale del Novecento. Montanelli, in sintesi, chiarisce di aver scritto tutto quanto poteva in favore di don Milani, e di avere anche «forzato entro un certo limite» la linea del giornale per evitare che le sue parole suonassero come stroncatura e condanna. Ammette di «aver voluto dire di più e di meglio» e si scusa per non esserci riuscito (anche se a oltre quarant’anni di distanza il suo articolo sul «Corriere» del dicembre ’58 sembra cogliere con finezza il nocciolo della posizione di don Milani). Si preoccupa di tenere aperta una porta al dialogo, invitando il «prete scomodo» a casa sua. Ma, soprattutto, descrive con disarmante sincerità la perplessità e l’imbarazzo che suscita in lui il pensiero del sacerdote destinato alla fama come «priore di Barbiana».
Montanelli ammette di essere razionalmente d’accordo con il Sant’Uffizio, che poco prima aveva ordinato il ritiro di un libro di don Milani, «Esperienze pastorali», già denso di tutti i temi tipici del suo credo pedagogico e politico; ma confessa di esserne allo stesso tempo turbato, come chi viene scosso nella sua prudenza, pigrizia, amor del quieto vivere e trasferisce l’angoscia nell’insofferenza verso il «profeta di sventura».
La pubblicazione di questa lettera inedita è dunque la chiave per comprendere il dialogo a distanza fra i due. Don Milani aveva trasformato il suo apostolato fra i ragazzi poveri, nell’esilio di un’anonima parrocchia nella campagna toscana, in chiamata di correo per la Chiesa, il capitalismo, il moderatismo, il conformismo, l’ipocrisia borghese, la scuola di classe, eccetera. Di lì a poco, nella celebre «Lettera a una professoressa», avrebbe sostenuto che la scuola dell’obbligo «non poteva bocciare», e una parte dei sessantottini l’avrebbe preso a modello. Per il momento tuttavia, nelle «Esperienze pastorali» recensite da Montanelli, si limitava a evocare l’allegoria di un Occidente impigrito e scristianizzato, destinato a subire una probabile vendetta di classe del proletariato, e chissà, un giorno forse riconvertito alla vera fede da qualche missionario russo o cinese.
Singolare inattualità, dunque, quella del «priore di Barbiana»: ma non è difficile cogliere in quel suo rifiuto delle gerarchie e delle ideologie collettiviste che impongono scelte dall’alto, un serpeggiante fuocherello di attualità. Proprio quello che turbava la «metà migliore» di Montanelli; consentendo tuttavia all’«altra parte» di denunciare le «baggianate che non val neanche la pena di confutare», cioè i catastrofismi e la scelta mistico-proletaria, affine a quella di La Pira.
La storia successiva, si sa, ha poi seguito altre strade. L’incontro fra Montanelli e don Milani (che conservò e annotò gelosamente gli scritti a lui dedicati dal suo interlocutore) alla fine non ci fu. Così avrebbe poi commentato Montanelli nel ’96, quando le passioni erano ormai spente: «Il mio dissenso fu corretto, se non annullato, da una profonda ammirazione umana. E, ora che è morto, mi chiedo cosa aspetti la Chiesa a farlo santo».



Il libro di Maurizio Di Giacomo, «Don Milani», editore Borla, 401 pagine e 40 mila lire, euro 20,65

Dario Fertilio (Corriere della Sera 16/9/01)