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Appunti per una pedagogia interculturale



Appunti per una pedagogia interculturale
di Maria Teresa Tarallo

Nella nostra parte di mondo vive ancora una concezione etnocentrica della 
cultura.
Nella storia sono innumerevoli gli esempi di integralismi perpetuati nei 
confronti di culture "inferiori", che valorizzavano aspetti di civilta' 
ritenuti meno validi di quelli dell'uomo bianco.
Ben evidenziato e' questo aspetto dal pedagogista Paulo Freire, come 
riportato nel libro di Leandro Rossi, dal titolo "Paulo Freire profeta di 
liberazione" (edizioni Qualevita).
La cultura libresca, stumento di oppressione da parte del potere, non da' 
importanza alle culture che sono frutto dell'esperienza dell'uomo con il 
mondo e con la natura.
Liberarci da schemi mentali consolidati da secoli di pregiudizi e' un 
compito difficile, ma nello stesso tempo accattivante, per gli educatori 
che vogliono rimettere in discussione se stessi.
Questa capacita' di liberarsi da pregiudizi, piu' difficile nell'adulto, 
risulta molto facile quanto prima venga attuata. Dice Andrea Canevaro 
nell'introduzione al libro dell'Aifo "I voli di Paffi'": "Crescere alla 
liberta' vuol dire avere curiosita', essere interessati all'altro, e essere 
disponibili a che l'altro abbia curiosita' per noi stessi. Certo non 
possiamo trasformare la curiosita' in intrusione. Abbiamo bisogno di punti 
di incontro... che permettono all'interesse e alla curiosita' di diventare 
crescita di liberta'...E la conoscenza e' riconoscimento, di originalita' e 
reciprocita', continuamente riaperta...".
In parole povere, si puo' vivere il rapporto con l'altro non come la 
relazione con un nemico da cui difendersi, anche con l'uso di luoghi comuni 
(gli zingari o i neri sono i cattivi, perche' sporchi, ladri e 
bugiardi...), ma come una risorsa di cui usufruire, perche' alla fine 
scopro che i miei bisogni, le mie aspirazioni, possono essere comuni ad 
uomini che vivono ad altre latitudini.
Diceva don Milani: ''Se voi avete diritto di dividere il mondo in italiani 
e stranieri allora vi diro' che, nel vostro senso, io non ho patria'' 
(Lettera ai cappellani militari). L'uomo libero da stereotipi non ha 
patria, perche' tutti gli uomini sono uniti dalle stesse necessita', hanno 
tutti gli stessi desideri. Cosi' e' anche per i bambini.
Partire da cio' che accomuna i bambini nelle esperienze ( famiglia, casa, 
giochi...) puo' essere l'aggancio per scoprire cio' che unisce, pur nelle 
diversita' di vita.
I bambini si pongono tante domande sul mondo e sulle differenze, o perche' 
le vivono in classe, o perche' in molte citta' si vivono le presenze di 
stranieri con curiosita' e, talvolta, con diffidenza.
Rispondere alle loro domande, stimolarli con i racconti, i dialoghi, far 
capire che nel mondo ci sono cose che ci accomunano e che ci distinguono, 
serve a far superare le paure delle differenze.
Dice Graziella Favaro nell'introduzione al libro dell'Aifo "Gege' e la 
nonna alla scoperta del mondo": "Le differenze che sono intorno a noi, 
vicino o dentro i nostri confini, sono per lo piu' negate, ignorate, oppure 
considerate inquietanti e minacciose". In pochi casi esse sono considerate 
un tratto arricchente della realta', un cambiamento dinamico che stimola 
confronti, cambiamenti e arricchimenti reciproci... Ma tutto questo va 
comunicato con parole che arrivino alla testa e al cuore dei bambini...''.
L'intercultura comincia dove c'e' dialogo, inteso come umilta' e capacita' 
di ascolto. Dice Freire che il vero educatore e' colui che pratica 
l'umilta' nel suo rapporto con l'educando. Cosi' anche un altro grande 
"profeta nonviolento'', Danilo Dolci, anche lui come Freire scomparso da 
poco, dava grande rilevanza, nel rapporto educativo, all'aspetto 
comunicativo inteso come dialogo, non come mera trasmissione di saperi 
depositati da una coscienza all'altra, perpetuanti schemi di potere 
oppressivo e totalizzante.
Cio' puo' avvenire in un'ottica di psicologia dell'eta' evolutiva che tenga 
conto di alcune conoscenze ormai acquisite in questo campo. E' risaputo che 
non ha senso educare alla pace se non vi e' continuita' comportamentale tra 
i rapporti sociali vicini a noi e quelli distanti nello spazio.
Educare alla pace, secondo Daniele Novara, non vuol dire essere 
acquiescenti, passivi e disinteressati a cio' che accade intorno a noi per 
"quieto vivere". Invece vuol dire incanalare l'aggressivita', biologica e 
naturale, in un atteggiamento positivo e costruttivo, senza soffocare i 
bisogni della persona. Una persona valorizzata per cio' che e', attraverso 
la cooperazione e la negoziazione, anziche' la competizione, la 
prevaricazione, sara' elemento di una societa' pacifica e solidale.
Il modello educativo piu' adatto non e' ne' quello autoritario, ne' quello 
permissivo, bensi' quello autorevole. Vale a dire: non evitare le punizioni 
(atteggiamento permissivo), agire sui comportamenti e non contro i bambini, 
operare per un clima sereno di fiducia e sicurezza.
Il pregiudizio etnico si basa su una deumanizzazione dell'altro dovuta a 
scarso senso di identita' con l'altro, identita' derivante dalla sicurezza 
primaria (Laing) che genera fiducia in se' e negli altri e si costruisce 
precocemente
L' inibizione della soppressione dell'altro, innata della nostra specie e 
negli animali, e' stata eliminata dal "progresso". Il mancato senso di 
identificazione provoca il mancato riconoscimento dell'altro come nostro 
simile (empatia) che diventa un nemico (di fede, di razza, di politica, di 
cultura ecc.).
L'empatia consiste nella capacita' di riconoscere l'altro come simile a 
se', attraverso lo scambio di emozioni e sentimenti che ci accomunano. Ed 
essa diventa anche la capacita' di comprendere che l'altro ha comunque un 
patrimonio personale di esperienze diverso dal proprio, per cui ha un suo 
modo di essere diverso da altri. La negazione dell'altro come simile 
comporta un coinvolgimento del campo affettivo, cognitivo, esperienziale: 
ecco perche' in una situazione conflittuale trovare una soluzione 
cooperativa richiede una ristrutturazione del campo cognitivo ed un 
distacco emotivo dalla situazione frustrante che non e' semplice da 
realizzare. Ecco quindi l'importanza della simbolizzazione, in particolare 
del linguaggio.
Far esprimere ai bambini le loro emozioni e sentimenti e l'aggressivita', 
serve a superare le difficolta' ed avvia all'acquisizione di quel distacco 
emotivo necessario alla collaborazione.
Naturalmente anche il gioco, la recitazione di ruoli, possono diventare 
strumenti per facilitare un distacco emotivo e poter quindi cercare 
strategie risolutive nonviolente. Il gruppo di lavoro diventa parametro di 
confronto tra idee diverse, a condizione che ogni bambino abbia una buona 
capacita' di simbolizzazione e possegga senso di identita' personale e 
sicurezza.


- Appendice -

E' importante chiedersi sempre il perche' di tutte le cose... ad esempio: 
"Perche' non siamo tutti uguali?"
Ecco cosa hanno risposto alcuni bambini di seconda elementare.

Barbara: "I poveri ci danno tante cose e noi non li paghiamo assai".

"E cosa intendi per "tante cose"?"

Barbara: "Banane, ananas, caffe'..."

Ilenia: "Nel mondo ci stanno paesi poveri e paesi ricchi".

Emanuele: "Alcuni nascono ricchi e altri poveri".

Bianca: "Chi nasce ricco ha tanti soldi e li vuole tenere solo per se'".

Stefano: "In certi paesi vengono persone piu' ricche e si credono di 
comandare tutto".

Gabriella: "Dove non c'e' tanto cibo vivono i poveri".

Antonio: "Quando una persona ricca entra in un paese povero e vede tanti 
poveri non fa niente per loro".


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Maria Teresa Tarallo - Taranto
e-mail: mt.tarallo@tin.it
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