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Capitini: come e' nata la marcia Perugia Assisi



  Il 30 gennaio 1952, quattro anni dopo l'uccisione di Gandhi, si
riuni' a Perugia un notevole gruppo di italiani e di stranieri in
un convegno internazionale per la nonviolenza.

  Nel convegno fu decisa la costituzione di un Centro di
coordinamento internazionale per la nonviolenza, il cui scopo
fosse quello di istituire centri di nonviolenza per approfondire i
principi e i metodi della nonviolenza, per realizzarli e
difenderli, per prendere iniziative di servizio e di assistenza,
affermando un costume di cortesia, concretezza, nonmenzogna.
  I centri dovevano curare particolarmente l'educazione dei
fanciulli anche con doposcuola; favorire libere riunioni di tutti
per l'esame, controllo e soluzione dei problemi, dai piu' alti ai
piu' umili, sempre con attenzione ed entusiasmo di apertura;
sostenere i nonviolenti che avessero fatto l'obbiezione di
coscienza verso il servizio militare. Soprattutto il Centro
intendeva promuovere un'azione popolare di esposizione della
nonviolenza, oltre riunioni di studio e convegni di sviluppo
dell'idea; e si impegnava a stabilire collegamenti tra tutte le
forze della nonviolenza nel mondo ... insistendo su questa
interpretazione:
1) la nonviolenza e' apertura all'esistenza, alla liberta' e allo
sviluppo di tutti gli esseri, e percio' interviene anche nel campo
sociale e politico, orientandolo;
2) la nonviolenza non puo' non essere all'opposizione della
societa' esistente, che pratica scopertamente la violenza oppure
si basa su una violenza (oppressione e sfruttamento)
cristallizzata nel tempo, e solo apparentemente estranea alla
violenza;
3) piu' che nella minuta discussione sui casi individuali la
nonviolenza va portata come metodo costante per le grandi lotte
sociali e politiche, come "rivoluzione aperta" e stimolo alla
pianificazione dal basso, al decentramento e al controllo fatto da
tutti;
4) la nonviolenza non e' passiva, ma attiva, per conoscere gli
aspetti della violenza e per smascherarli impavidamente; per
prendere iniziative di solidarieta' oppure di noncollaborazione,
per soccorrere i sopraffatti, per distinguere tra peccati e
peccatori, aiutando questi a liberarsi dal male: il nonviolento ha
sempre qualche cosa da fare.

   L'idea di una marcia per la pace solo nell'estate del 1960
prese un corpo preciso in riunioni apposite, che portarono alla
formazione di un comitato d'iniziativa. La mia intenzione era che
il gruppo di iniziativa non fosse preminentemente di persone di
partito. Sono un sostenitore di lavoro di _aggiunta_ a quello dei
partiti, che ritengo certamente utili in una societa' democratica,
ma non sufficienti. E sono stato sempre "indipendente" appunto per
promuovere queste iniziative di aggiunta che vanno dai Centri di
Orientamento Sociale, al lavoro per una riforma religiosa, a
questo per la nonviolenza, alla collaborazione con Danilo Dolci.

  Ma debbo dire che oltre quel primo carattere, di iniziativa non
dei partiti, che avrebbe dovuto assicurarmi una piu' facile
adesione da tutte le persone e associazioni operanti in Italia per
la pace, io tenevo sommamente ad un secondo carattere, che anzi
era stato il movente originario del progetto: la marcia doveva
essere popolare e, in prevalenza, regionale. Avevo visto, nei
dopoguerra della mia vita, le domeniche nella campagna frotte di
donne vestite a lutto per causa delle guerre, sapevo di tanti
giovani ignoranti e ignari mandati a uccidere e a morire da un
immediato comando dall'alto, e volevo fare in modo che questo piu'
non avvenisse, almeno per la gente della terra a me piu' vicina.
Come avrei potuto diffondere la notizia che la pace e' in
pericolo, come avrei potuto destare la consapevolezza della gente
piu' periferica, se non ricorrendo all'aiuto di altri e impostando
una manifestazione elementare come e' una marcia?


  Questi quattro caratteri della marcia mi sono stati chiarissimi
fin dal 1960:
1) che l'iniziativa partisse da un nucleo indipendente e pacifista
integrale;
2) che la marcia dovesse destare la consapevolezza della pace in
pericolo nelle persone piu' periferiche e lontane
dall'informazione e dalla politica;
3) che la marcia fosse l'occasione per la presentazione e il
"lancio"  dell'idea del metodo nonviolento al cospetto di persone
ignare o reluttanti o avverse;
4) che si richiamasse il santo italiano della nonviolenza (e
riformatore senza successo).

  Una notevole pesantezza ideologica caratterizza gl'italiani ...
pensano che nell'assoluto, nelle cose serie (religione, politica,
scuola) debba esserci uniformita', e la diversita' sia cosa
degl'individui contingenti e del folclore. Per questo accusano di
eretico, di sovversivo, di diseducatore, chi e' "diverso". Non
sono abituati a collaborare nelle cose serie con i "diversi".

  Fare una marcia con filoccidentalisti e filosovietici non e',
certamente, accettare il patto della Nato oppure il patto di
Varsavia, ma e' parlare a loro francamente della nostra posizione
di neutralisti, in nome del rapporto intimo con tutti e dal basso.

  Ho dovuto fare uno sforzo verso me stesso per perseverare
nell'idea di muovere molta gente, di chiedere a cio' l'aiuto di
persone che all'inizio sorridevano sulla cosa e che, lungo il
corso, non avrebbero certamente condiviso gli ideali a cui tengo
sommamente; ma era una tentazione che dovevo vincere - quella di
fare una cosa in pochi - in nome di quello sforzo da fare per
arrivare al maggior numero di lontani e periferici.

  Chi e' stato alla marcia e ha visto quale varieta' di persone vi
fosse, delle minoranze religiose e pacifiste (forse per la prima
volta insieme), non pensa che io speravo in un numero maggiore, e
in una quantita' di nostri cartelli molto piu' rilevante. Anche
questo indica che la marcia Perugia Assisi del 24 settembre 1961
e' stata il suscitamento di un pacifismo integrale e nonviolento
molto maggiore e piu' dinamico di quello che c'era prima: oggi si
puo' contare su piu' persone, su migliore volonta', su una
notevole prontezza di attivita'; e' segno che la marcia l'ha fatta
emergere, l'ha polarizzata; il pacifismo di prima era
frammentario, talvolta sedentario e lontano da un contatto con
moltitudini che _possono_ diventare pacifiste integrali.

  [ La marcia e' una decisione pratica, che si prende dopo aver
pensato e parlato, come al sommo di un momento importante, e' una
celebrazione di solidarieta' impegnata. ]
  [ Con questa marcia gli umbri si pongono su un piano universale,
si affratellano ai popoli di tutti i continenti, alzano la loro
voce di amicizia. ]

  La marcia e' stata una manifestazione "dal basso", che ne ha
cominciato tante altre, per isolare i nuclei militaristici e
reazionari. Con l'unione stabilita tra i pacifisti e le
moltitudini popolari, si e' presentato un metodo di lavoro non
piu' minaccioso di violenza, e nello stesso tempo si e' avviata
un'unita' che e' la massima che si puo' stabilire in Italia:
quella nel nome della pace. Si e' avviato un moto degli strati
piu' profondi e dei sentimenti fondamentali del popolo italiano,
un moto che non e' senz'altro politico o di classe, ma e' la
premessa e l'addentellato per ogni lotta ed ogni educazione che
voglia svolgersi in Italia.

  La lotta per la difesa e lo sviluppo della pace porta preziosi
elementi di coesione dal basso contro l'individualismo e il
conformismo e per di piu' associa di colpo le donne, le famiglie,
prima delle lotte politiche. E con l'accento posto sul superamento
dei metodi violenti, sull'apertura e sul dialogo, non solo
sollecita la nostra democrazia, e qualsiasi altra, ma preme sulle
religioni esistenti, perche' sia messo in primo piano il rapporto
nonviolento con tutti gli esseri. Aver mostrato che il pacifismo,
che la nonviolenza, non sono inerte e passiva accettazione dei
mali esistenti, ma sono attivi e in lotta, con un proprio metodo
che non lascia un momento di sosta nelle solidarieta' che suscita
e nelle noncollaborazioni, nelle pretese, nelle denunce aperte, e'
un grande risultato della Marcia.

  Non dico che tutto sia chiaro e acquisito, ma e' certo che ora
ci sono larghi gruppi di italiani che sentono che la nonviolenza
ha una sua parola da dire. Con l'aggiunta della nonviolenza
all'opposizione abbiamo dato vita a un fermento interno, ad uno
scrupolo, ad un'autocritica; il risultato sara' che metteremo
sempre meglio in luce ed isoleremo i gruppi reazionari.

  Inoltre la marcia ha provato che non bastano gli attuali organi
di informazione e di espressione, che la gente voleva e vuol dire
qualche cosa direttamente, "esprimere", e se cio' e' un rimprovero
alle limitazioni e tendenziosita' dei giornali e delle radio, e'
anche un rafforzamento di quella opinione pubblica, che e' alla
base della democrazia e che in Italia e' alquanto incerta.

  Insistiamo perche' le opinioni pubbliche esigano dai loro
governi la immediata ripresa dei negoziati sul disarmo. Ebbene, in
Italia l'opinione pubblica ha avuto la forza di "esigere dai
governi"?  Bisogna accrescere di molto tale forza. Tutte le
societa' nazionali di oggi corrono, piu' o meno, il pericolo della
crescente penetrazione dei nuclei direttivi delle forze militari e
forse gli Stati Uniti, ne porgeranno un esempio cospicuo. D'altra
parte il maggior numero dei giovanii nel mondo vede chiaro, e la
lotta per la pace sta per collegarli, per porli, contro le
tentazioni della violenza da un lato e dell'edonismo dall'altro,
in posizioni di rinnovamento generale, di serieta', di tensione,
di vigilanza.

  A questo lavoro che durera' anni abbiamo con la marcia Perugia-
Assisi dato un contributo. Accompagnai la marcia per i primi sei
chilometri, ed era soltanto festosa;  alle porte di Assisi la
trovai calda, energica, pulsante; movendosi aveva acquistato
entusiasmo e forza. Cosi' sara' del nostro lavoro per la difesa e
lo sviluppo della pace.


Aldo Capitini
[da: "In cammino per la pace"]