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A cento anni dalla nascita di Capitini (Matteo Soccio)
-------------------- UNA VITA PER LA NONVIOLENZA --------------------
Nato a Perugia il 23 dicembre 1899, amava dire di se' che era della stessa
generazione di Gobetti e dei Rosselli. Il padre era un modesto impiegato
comunale che aveva l'incarico di suonare nelle ore di rito il campanone della
torre campanaria del palazzo comunale (uno dei piu' belli dell'Umbria
medievale). Proprio sotto la torre era situato l'appartamento della famiglia e
lo studiolo che Aldo aveva ricavato in un piccolo vano che era attraversato
dai tiranti delle campane (con gran fragore quando venivano suonate), quello
stesso studiolo per il quale passarono quasi tutti gli uomini migliori
dell'opposizione antifascista e tanti giovani che egli educava ed incitava
alla liberta'.
Nel 1933, per aver rifiutato di prendere la tessera del partito fascista che
Giovanni Gentile voleva imporgli, Capitini fu cacciato via dal posto di
segretario-economo che occupava presso la Scuola Normale di Pisa, dove gia' si
andavano costituendo gruppi di antifascisti. Dovette tornare a Perugia a
vivere in poverta' con i suoi genitori, dando qualche lezione privata mal
retribuita. Ma non resto' un isolato. Dal 1933 alla fine della guerra -come
ricorda Geno Pampaloni -"Capitini incontro' tutti, parlo' con tutti: mite e
faccendiero, nonviolento e pugnace, candido e irreducibile, portava in ogni
suo atto un fervore contagioso". In un periodo difficile per l'antifascismo
(nel '37 moriva Gramsci, i fratelli Rosselli venivano assassinati , la
congiura di "Giustizia e Liberta'" era in piena crisi) egli divenne un punto
fermo per molti giovani intellettuali, intessendo, soprattutto nell'Italia
centrale, una fittissima rete di collegamenti antifascisti.
Nel 1937 Benedetto Croce pubblico' presso l'editore Laterza, con il
titolo di
"Elementi di un'esperienza religiosa", alcuni dattiloscritti che Capitini
faceva girare tra i giovani. Fu il primo libro edito di Capitini, accolto
allora da molti come "un autentico dono della provvidenza", perche' immetteva
nella cultura stagnante e conformista del periodo fascista un germe nuovo e
rivoluzionario. Il libro, che per il titolo di sapore pietistico riusci' a
sfuggire alla censura fascista, circolo', ebbe successo e notevole influenza,
si rivelo', come scrisse Barolini, una "frustata di alto pathos morale" capace
di svegliare tante coscienze addormentate dal fascismo.
Per avere un'idea del coraggio civile dell'autore sottolineiamo il fatto che
non in tempi migliori ma in quegli anni, e in quel libro, Capitini faceva
l'elogio della non-collaborazione e la conseguente esaltazione dell'obiezione
di coscienza e della resistenza passiva di tipo gandhiano. Capitini era
convinto che con la non-collaborazione il fascismo poteva cadere e gli
"Elementi" provavano che era possibile superare i miti dell'Italia fascista e
ogni altra forma di violenza e di totalitarismo, partendo da un punto di vista
superiore a quello meramente politico, motivando religiosamente la propria
avversione e il proprio impegno.
Molti oggi hanno dimenticato che gran parte dell'avversione al fascismo
nacque nelle generazioni tormentate di allora, a partire da posizioni di
insoddisfazione etico-religiosa, e che i giovani orientati in senso etico-
politico avevano quasi tutti sentito l'influsso di Capitini. E' impossibile
calcolare quanti, amici e ignoti, gli devono la loro esistenza etica e la
decisione politica.
Con Guido Calogero fondo' nel 1938-39 quel "Movimento liberalsocialista" (da
cui doveva nascere il Partito d'Azione) che tanta parte ebbe nel far crescere
il numero degli oppositori al Regime, sviluppando quella formula del
"liberalsocialismo" che per Capitini non significava semplicemente
giustapposizione della parola "liberta'" alla parola "socialismo", quasi ad
attenuare la portata di quest'ultimo, ma "potenziamento" di entrambi. Tra i
primi aderenti al Movimento furono giovani di grande valore: Alberto Apponi,
Walter Binni, Norberto Bobbio, Cesare Luporini, Francesco Flora, Ranuccio
Bianchi Bandinelli, Tristano Codignola, Carlo Ludovico Ragghianti, Enzo
Enriquez Agnoletti, Mario Alicata, Giorgio Bassani, Tommaso Fiore, Mario Dal
Pra' e tanti altri. Con molti di questi compagni Capitini fu arrestato e
imprigionato una prima volta alle "Murate" di Firenze nel 1942. Sara' di nuovo
in carcere, una seconda volta, nel 1943 a Perugia, ottenendo la liberta' solo
in conseguenza dei fatti del 25 luglio.
Nel 1944, nascosto in campagna per sfuggire ai tedeschi, scrive il libro "La
realta' di tutti" che rappresenta l'antitesi piu' radicale della realta' di
quei tempi. "La realta' di tutti" - di cui parla Capitini - non e' qualcosa
che
costringe e opprime, ma qualcosa di cui tutti fanno veramente parte senza che
ci sia nulla di obbligato: e' la realta' fondata sulla liberta' e sull'amore.
Anche dopo il fascismo Capitini continuo' la sua lotta per affermare questa
realta' di tutti, anche se non aderi' ad alcun partito, anche se fu da questi
troppo spesso isolato e contrastato. Con la liberazione dal fascismo iniziava
il processo di democratizzazione. Capitini, come "indipendente di sinistra",
per contribuire a rinnovare la vita politica e civile dell'Italia dopo un
ventennio di disorientamento fascista, ideo' e promosse un singolare
esperimento di democrazia diretta fondando i C.O.S. (Centri di Orientamento
Sociale). I primi sorsero a Perugia fin dai primi giorni della liberazione
della citta'. Ebbero tanto successo (a significare la presenza di una
imponente domanda di partecipazione e di controllo dal basso) che subito si
diffusero in tutta l'Umbria e in molte citta' dell'Italia centrale (Ancona,
Arezzo, Pisa, Firenze, Bologna ecc.). Si trattava di periodiche assemblee
popolari "su tutti i problemi": da quelli amministrativi cittadini alla
presenza anche del sindaco, del prefetto, dei responsabili dei vari enti di
importanza pubblica; a quelli sociali e politici (discussione dei problemi
dell'epurazione, dei programmi dei partiti, dei problemi della Costituente
ecc.) con il contributo anche dei rappresentanti dei partiti e di qualificati
studiosi. In queste libere assemblee tutti potevano intervenire e parlare
("ascoltare e parlare" ne era il motto), facendo osservazioni, rivolgendo
domande alle personalita' politiche e ai rappresentanti degli enti pubblici,
facendo proposte di provvedimenti. Nessun argomento poteva essere escluso
dalla trattazione, nessun cittadino escluso dalla sala.
Ricordando l'esperienza del C.O.S. di Perugia che nell'ultimo periodo aveva
sede addirittura nel Palazzo comunale, cosi' ne scrisse Capitini: "Il C.O.S.
era noto in citta', molti si ripromettevano di portare li' critiche ammini-
strative, lagnanze anche di questioni personali (per cui venivano nominate
commissioni che accertassero); i giornali pubblicavano ampi resoconti. Nessun
incidente, nessuna violenza scoppio' nella sala, e mai vi fu intervento di
guardie per ristabilire l'ordine nell'ambito dei C.O.S. la violenza era
esclusa, e la sola forza stava nella razionalita', competenza, persuasivita'
del proprio discorso. Molti provvedimenti furono presi in seguito alla
pressione dei C.O.S.; si puo' provare che esso influi' anche
sull'orientamento
politico della citta' perche', sebbene presieduto da me indipendente, erano i
problemi nel loro peso reale che premevano".
Purtroppo nel 1948 i C.O.S. cessarono sia perche' osteggiati dalle ammini-
strazioni comunali che di certo non amavano le libere critiche sia perche' i
partiti di sinistra non li avevano fatti propri come invece, secondo Capitini,
avrebbero dovuto, raccogliendone l'idea, facendoli vivere, diffondendoli "come
unica rivoluzione possibile in Italia".
Non si puo' dire qui diffusamente della straordinaria operosita' di Capitini
di tutto quello che fece in seguito, aiutato da pochi, funzionando da solo
come "centro" di mille iniziative. Capitini le definiva iniziative "di
aggiunta", termine con il quale voleva indicare una prassi che riconosce la
presenza di altro prima dei propri interventi: "Io faccio `aggiunte' -diceva
Capitini -perche' voglio ascoltarti e ne ho bisogno, perche' non voglio
stabilire l'impero mio su di te, perche' riconosco la superiorita' del metodo
nonviolento, perche' preferisco il concetto di `centro' che da', a quello di
societa' chiusa che esclude".
Con questo spirito promuoveva e organizzava instancabilmente seminari,
dibattiti, convegni, dimostrazioni, marce, dava vita a movimenti,
associazioni, centri, diffondeva libri, articoli, opuscoli, lettere: sulla
religione, sulla pace, a sostegno dell'obiezione di coscienza e per il suo
riconoscimento legale, sul disarmo, a difesa della scuola laica,
sull'educazione popolare, sul vegetarianesimo e il rispetto degli animali,
sull'avvicinamento tra Oriente e Occidente, sul rinnovamento politico, su
Gandhi, sulla nonviolenza, sul potere dal basso.
In campo religioso, dal 1946 al 1954, animo', prima con il prete scomunicato
Ferdinando Tartaglia poi da solo, un "Movimento di religione", poi "Movimento
di riforma religiosa" che voleva portare a compimento il Risorgimento dando
all'Italia quella Riforma religiosa gia' auspicata da Mazzini e la cui mancata
attuazione era riconosciuta come la causa dei mali maggiori nella storia
successiva d'Italia. In questo Movimento liberi religiosi, evangelici,
cattolici, bahai, quaccheri, ebrei, laici, marxisti, atei che vi
partecipavano, pur nella loro estrema eterogeneita' , finivano col trovare
qualcosa di comune. Capitini vi sottolineava l'idea di apertura, il nesso
della religione con la nonviolenza e con la riforma della societa', l'esigenza
di liberta' nella vita religiosa.
Nel 1952 institui' a Perugia anche un Centro di Orientamento Religioso
(C.O.R.)
per periodiche conversazioni, aperte a tutti sui problemi religiosi. Capitini
contestava l'istituzionalismo religioso, il "sacro di chiusura", come lo
definiva efficacemente, e rivolgeva la sua critica soprattutto alle chiusure e
all'inerzia spirituale della Chiesa cattolica a cui contrapponeva l'apertura
religiosa, la sua "religione aperta" che era criticata e non conformistica nei
confronti della realta' cosi' com'e' ed esigeva una trasformazione profonda di
questa realta'. Nel 1956 la Chiesa condannava all'Indice il libro di Capitini
"Religione aperta". Il decreto veniva pubblicato (coincidenza rivelatrice!)
proprio nel giorno anniversario della Conciliazione tra Chiesa cattolica e
Governo fascista. Capitini rispose l'anno successivo con il suo "Discuto la
religione di Pio XII": non mi va -scrisse -la sua religione che si prende la
responsabilita' di dividere: la religione che professo io, cerca di aggiungere
quello che crede il bene, pagando il prezzo, lieve o grande, di questa
aggiunta, che e' fatta con animo aperto a tutti". In seguito pubblico' altre
opere di polemica religiosa sul battesimo e sul Concordato.
Ma piu' che nel campo religioso Capitini ebbe influenza in altri campi: la
scuola, le idee sociali, la nonviolenza. Nel 1959 promosse l'ADESSPI
(Associazione per la difesa e lo sviluppo della scuola pubblica italiana) che
aveva lo scopo di difendere e promuovere nella sua progressiva attuazione il
principio costituzionale dell'uguale diritto di tutti all'educazione e di
promuovere il rinnovamento democratico della scuola nello spirito del laicismo
contro l'ingerenza clericale. L'associazione ebbe anni di buona efficienza. Ai
problemi educativi e pedagogici dedico' anche la sua attivita' di professore
universitario di pedagogia (insegno' alle universita' di Pisa, Cagliari e
Perugia) e molti suoi scritti tra cui fondamentali i due volumi pubblicati nel
1967-68 da La Nuova Italia e intitolati "Educazione aperta".
L'esigenza educativa fu una costante dell'opera di Capitini che mirava ad
"aprire" negli individui (giovani e adulti) le potenzialita' latenti,
soffocate o represse; a confermare e sviluppare la "tendenza all'unita' amore
verso tutti gli esseri" che c'e' (Capitini ne era persuaso!) in ogni
coscienza.
La sua era una educazione costantemente rivolta al rispetto della vita altrui,
all'affermazione del bene e dei valori: era in modo pregnante "educazione alla
nonviolenza".
Dobbiamo a Capitini se oggi la nonviolenza in Italia ha una certa
maturita' e
credibilita'. Per la nonviolenza nessuno ha fatto piu' di lui. Nel 1952
costitui' a Perugia un "Centro di coordinamento internazionale per la
nonviolenza" e, dopo la marcia Perugia-Assisi del '61, da lui promossa, il
"Movimento Nonviolento". Nel 1964 fondo' il mensile "Azione Nonviolenta" che
continua ancora le pubblicazioni come organo del Movimento Nonviolento, ed il
periodico "Il potere e' di tutti", che trattava in modo specifico i temi della
democrazia diretta, della partecipazione e del controllo dal basso.
Della nonviolenza Capitini dava due definizioni. La prima era posta in
termini positivi: "attiva apertura all'esistenza, alla liberta', allo svi-
luppo, alla compresenza di tutti gli esseri"; la seconda in termini negativi:
"la scelta di un modo di pensare e di agire che non sia oppressione o
distruzione di qualsiasi essere vivente, e particolarmente di esseri umani".
Uno dei caratteri essenziali della nonviolenza, secondo Capitini, e' che "essa
non e' mai perfetta e non finisce mai". La nonviolenza -amava spesso dire- fa
bene a chi la fa e a chi la riceve. Con questa espressione voleva dire che la
nonviolenza e' un valore che puo' essere riconosciuto anche da chi non la
pratica.
Durante la sua vita non fu toccato mai dal successo mondano, non ebbe mai
ambiti riconoscimenti. D'altronde non li cercava, ne' l'insuccesso lo
scoraggiava. Solo nel 1967, un anno prima della morte, troppo tardi perche'
gli
fosse di qualche aiuto, gli fu conferito un Premio straordinario Viareggio per
il suo saggio "La compresenza dei morti e dei viventi", pubblicato dal
Saggiatore di Milano.
Ha scritto e pubblicato molti altri libri. Oltre a quelli gia' citati
ricordiamo: "Vita religiosa" (1942), "Atti della presenza aperta" (1943), "Il
problema religioso attuale" (1948), "Italia nonviolenta" (1949), "Nuova
socialita' e riforma religiosa" (1950), "L'atto di educare" (1951), "Il
fanciullo nella liberazione dell'uomo" (1953), "Colloquio corale" (1956),
"Rivoluzione aperta" (1956), "Aggiunta religiosa all'opposizione" (1958),
"L'obbiezione di coscienza in Italia" (1959), "La nonviolenza oggi" (1962),
"Severita' religiosa per il Concilio" (1966), "Antifascismo tra i giovani"
(1966), "Le tecniche della nonviolenza" (1967).
Non possiamo qui illustrare le varie componenti del suo pensiero assai
originale: la persuasione religiosa, l'apertura, l'aggiunta, la tramutazione,
la compresenza, l'omnicrazia (o potere di tutti), la festa, la coralita' della
produzione dei valori, l'idea della totalita' rovesciata dall'uno-tutto
hegeliano all'uno-tutti, l'atteggiamento profetico, l'appassionamento per il
singolo e soprattutto per gli ultimi (gli sfiniti, gli esseri umani, i morti),
la realta' liberata ecc. Ne' possiamo ricercare nell'opera che ci ha lasciato
dei modelli precostituiti.
Egli ci ha indicato invece una prospettiva che si fonda su una profonda
"scontentezza della realta'", a tutti i livelli (per i suoi limiti ed errori,
le ingiustizie, le sopraffazioni, gli egoismi, la ferocia, l'indifferenza, la
menzogna), sulla volonta' di trasformarla (ricercando e realizzando cio' che
possiamo volere insieme, tutti insieme), sulla persuasione del valore
dell'uomo, sulla massima apertura che e' rinuncia a sopprimere l'avversario
e a
perseguitare il dissenziente.
In momenti come il nostro, in cui la violenza ha assunto un ruolo e una
presenza cosi' massicci e disastrosi, la lezione che impariamo da Capitini e'
questa: non basta il disgusto per la violenza, e' necessario che questo si
trasformi in un impegno piu' profondo e appassionato. "Perche' questo disgusto
divenga un `valore' -diceva Capitini-, cioe' sia non stanchezza ma attivita',
non debolezza ma forza spirituale, ci vuole altro, e cioe' una persuasione
interiore, una fede un ragionamento fatto tra se', e la certezza che la
nonviolenza sarebbe affermata in qualsiasi occasione, prospera e avversa, di
esuberanza e di spossatezza, di guerra e di pace. Allora si comprende che
l'affetto alla nonviolenza e' ben piu' di una reazione, ma educazione ad
altro,
sollecitazione a scorgere l'orizzonte di un mondo che e' tutto dalle nostre
forze interiori, e non dal possesso di armi o di bombe".
Matteo Soccio 1978