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Sent: Monday, March 09, 2009 1:28
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Subject: [educazione] Il Sionismo non è
l'Ebraismo
Il
Sionismo non è l'Ebraismo.
qui di
seguito puoi trovare una lettera di Moni Ovadia ad Israele comparsa nel 2006
su L'Unità,
che non
vuole essere una giustificazione, ma una precisazione imprescindibile...per
non dimenticare.
laura tussi
Lettera di un ebreo a Israele
di Moni Ovadia *
Yad Vashem è il museo dell’Olocausto di Gerusalemme, il
sacrario della Shoah, ma per gli israeliani è ben altro che questo. Quel luogo
è per molti aspetti, il topos del senso stesso dell’esistenza di Israele come
stato ebraico. Ogni cittadino, ogni fanciullo, ogni soldato, si reca in
pellegrinaggio in quel luogo per assumere il pieno statuto identitario di
ebreo israeliano. Ogni persona, dal semplice turista o viaggiatore, al più
illustre politico in visita in Israele, quale che sia la ragione della sua
presenza, sa che ha il dovere di rendere omaggio alle vittime dello sterminio
nazista recandosi a Yad Vashem.
Con quel solenne pellegrinaggio, il visitatore riconosce il
suggello con cui lo stato d’Israele assume su di sé un’intera eredità. Per un
grandissimo numero di ebrei che si riconoscono nelle istituzioni ufficiali,
Israele diviene acriticamente e senza mediazioni, passato, presente e futuro.
Per essi la diaspora perde significato in sé per divenire appendice di un
ritorno in pectore anche se procrastinato sine die. Di fatto, essi si sentono
israeliani in standby.
Le recenti drammatiche vicende mediorientali, richiedono una
rimessa in questione di questi assetti israelo-ebraici e delle dinamiche
psicologico-culturali che vi sottostanno. Il movimento sionista ha avuto fra i
suoi obbiettivi primari quello di normalizzare gli ebrei, collocandoli in una
terra con la quale avevano un’antico legame e facendone un popolo come gli
altri. Quando il primo ebreo fu arrestato per furto e messo in prigione nella
neonata entità statuale ebraica, il padre fondatore e primo capo del governo,
David Ben Gurion, esultò: «Siamo un paese normale!». Mai affermazione fu più
rovinosamente scentrata. Israele è tutto fuorché un paese «normale». La
sua collocazione geografica è in Medio Oriente ma in questo momento la
sua vocazione è occidentale. Per certi aspetti potrebbe essere uno stato degli
Stati Uniti, anche se più di metà della sua popolazione viene da stati arabi e
il 17% di essa è arabo-palestinese. La sua politica, in grande misura
coincide con quella delle amministrazioni americane. E' stato fondato da
scampati alle persecuzioni antisemite zariste e degli stati autoritari
centro-orientali e da sopravvissuti alla Shoà, ha piena dunque titolarità a
quella eredità, ma gli ebrei sterminati dai nazisti erano quanto c’è di più
lontano da quello che è oggi l’ebreo israeliano. Quelli parlavano lo
yiddish ed erano a proprio agio in molte altre lingue, vivevano a cavallo dei
confini, erano cosmopoliti, ubiqui, inquieti, refrattari alle logiche
militari, poco interessati, quando non ostili ai nazionalismi, erano
smunti, fragili, dediti allo studio, alle professioni liberali, intellettuali,
al piccolo o grande commercio, appartenevano alla categoria dei paria
perseguitati emarginati, erano dalla parte degli sconfitti. L’israeliano delle
nuove generazioni si esprime in ebraico moderno, una lingua costruita
desantificando l’ebraico biblico e piegandolo alle esigenze di una nazione e
la sua seconda lingua è l’inglese.
L’israeliano sta con i vincitori, è forte, determinato,
orgogliosamente nazionale, militarmente molto preparato, capace di essere
agricoltore e soldato quanto intellettuale e tecnico, ma anche taxista,
ingegnere, negoziante o impiegato, operaio e persino occupante e poliziotto di
un altro popolo, cosa inconcepibile per un ebreo della diaspora che subì lo
sterminio.
Oggi, che nuovamente un leader fanatico di un paese islamico
chiede la cancellazione dello stato sionista dalla carta geografica, in
Israele e nella diaspora, si evoca il legame con la Shoà in modo univoco e
schematico quasi a volere stabilire un parallelo inaccettabile con il ghetto
di Varsavia. Ma ancorché Israele viva in stato di grande difficoltà e subisca
il terrorismo e l’aggressione di Hezbollah sulla carne della propria gente,
pensare di rappresentare la tragica eredità dello sterminio solo con un
modello rigido per giustificare l’uso indiscriminato della propria soverchia
forza militare e radere al suolo intere città provocando quasi esclusivamente
morti civili, è scambiare etica per propaganda.
Se Israele vuole assumere l’eredità di quell’ebraismo ridotto in
cenere, deve assumerne la piena eredità morale, cessare di vessare ed
imprigionare un altro popolo, diventare più piccolo, molto più democratico,
abbandonare la mistica della potenza, diventare leader del processo di pace ed
assumere la funzione di ponte fra occidente e Medio Oriente.
* www.unita.it, Pubblicato il 05.08.06