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sviluppo senza crescita, si può



da l'unità


PIETRO GRECO

Sviluppo senza crescita? Si può
Qualita e sostenibilità dell'economia in una "Lettera aperta agli
economisti"
Dibattito del Manifesto a cura di Carla Ravaioli: quello che conosciamo, e
che devasta il pianeta, è l'unico modello di crescita possibile?

Dibattiamo il mito ormai insostenibile della crescita materiale illimitata.
E costruiamo un progetto politico fondato su un obiettivo sociale ed
economico maturo: lo sviluppo umano. E' questa nella sua essenza, la
proposta che un gruppo di intellettuali della sinistra attento ai temi
dell'ambiente esprime in un libro, Lettera aperta agli economisti. Crescita
e crisi ecologica, appena uscito per i tipi della Manifestolibri a cura di
Carla Ravaioli. Si tratta di un dibattito che si è sviluppato nel corso di
alcuni mesi sulle pagine del Manifesto. E che si riproporrà domani,
mercoledì, nella conferenza pubblica organizzata a Roma dall'Associazione
per il Rinnovamento della Sinistra a partire dalle ore 15.00 presso la
Biblioteca del Parlamento, a Via del Seminario 76, con note introduttive di
Fulvia Bandoli, Augusto Graziani e Giorgio Nebbia.
La proposta avanzata dal gruppo di intellettuali è forse opinabile nel
merito (e qualcuno, per la verità, la rifiuta addirittura con sdegno), ma è
quanto mai tempestiva, opportuna e lucida nel metodo. Il problema dello
"sviluppo sostenibile" o, se volete, della "qualità dello sviluppo" è
infatti più che mai attuale. E' il tema che sottende ai rapporti economici e
politici più caldi tra Europa e Stati Uniti. E' il tema che sottende ai
rapporti tra Nord e Sud del mondo. E' i buona sostanza, il tema che sottende
agli incontri del G8 e alle proteste del variegato "popolo di Seattle". Sarà
il tema su cui si impernierà la Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente
e lo sviluppo che si terrà nel mese di settembre del 2002 a Johannesburg, in
Sud Africa, dieci anni dopo Rio de Janeiro. Insomma, è di gran lunga il tema
principale nell'agenda politica internazionale.

Il problema dello "sviluppo sostenibile" nasce da tre condizioni di fatto
ormai difficili da contenere.

Primo: lo stato dell'ambiente globale e di molti ambienti locali sta
peggiorando. La temperatura media del pianeta sta aumentando. I deserti
avanzano. Le foreste arretrano. L'acqua potabile è una
risorsa che diventa sempre più rara. Una parte cospicua di questo
cambiamento ambientale globale è frutto della dissipazione dei capitali
naturali prodotti sia per depletion (uso delle risorse) che per pollution
(inquinamento) dalle attività umane. Le conseguenze di questi cambiamenti
ecologici hanno effetti sociali sempre più evidenti. In breve: già oggi
peggiorano la qualità della vita di centinaia di milioni di uomini.
Soprattutto nel Terzo Mondo, ma non solo nel Terzo Mondo.

Secondo: aumenta la ricchezza prodotta nel mondo. Nel 2000 il prodotto
interno lordo del pianeta è stato di 42.000 miliardi di dollari: 7 volte più
che nel 1950. Ma aumentano anche le disuguaglianze economiche e sociali.
L'80/% di questa ricchezza è a disposizione del 20% della popolazione
mondiale. Il reddito pro capite della metà dell'umanità non supera i due
dollari al giorno; 1,2 miliardi di persone vivono con un solo dollaro al
giorno. Cresce la differenza tra paesi ricchi e paesi poveri. Mentre
ricchezze enormi si concentrano nelle mani di una élite sempre più
ristretta. Il bilancio annuale di una singola grande azienda multinazionale
come la General Motors (164 miliardi di dollari) supera di circa il 25%
quelle del più ricco paese dell'Africa sub-sahariana, il Sud Africa (129
miliardi di dollari).
Le duecento persone più ricche del pianeta dispongono di più risorse dei due
miliardi di persone più povere.

Terzo: l'attuale modello di sviluppo fondato sulla crescita della produzione
e dei consumi di beni materiali in un'economia di mercato risulta sia
ecologicamente sia socialmente insostenibile.

Le reazioni a questa situazione obiettiva sono le più svariate. Ma è
possibile ridurle a tre tipologie principali.
La prima è quella che, nei fatti, nega che i tre dati siano strettamente
collegati. Molti economisti e, soprattutto, molti politici continuano
a credere che non c'è sviluppo possibile senza crescita.
La insostenibilità sociale può essere recuperata
solo attraverso un costante aumento dei beni materiali prodotti. Solo una
maggiore ricchezza è compatibile con una migliore distribuzione della
ricchezza. In questo quadro, i vincoli ambientali vanno certo tenuti in
conto, ma sono subordinati alla priorità assoluta della crescita.

Una seconda posizione (che è già minoritaria) non nega che i tre dati siano
strettamente correlati. Nega che ci sia bisogno di un cambiamento del
modello di sviluppo. Molti economisti attenti ai problemi dell'ambiente
propongono la "crescita compatibile". Sostengono, cioè, che la crescita
nell'ambito di un'economia di mercato non può né deve essere fermata; può
essere però resa compatibile con l'ambiente e la giustizia. In particolare
la compatibilità tra crescita economica e ambiente sarebbe rese possibile
dalla diminuzione dell'intensità di materia e dell'intensità di energia: in
un'economia di mercato avanzata, infatti, per produrre un dollaro di
ricchezza occorre sempre meno materia e meno energia.

La terza posizione, quella espressa dagli estensori della lettera aperta
agli economisti, sostiene la necessità inderogabile di cambiare il modello
economico e propone, quindi, uno "sviluppo senza crescita". La diminuzione
dell'intensità di materia e di energia infatti non è sufficiente a rendere
ecologicamente sostenibile la crescita economica: perché l'aumento
rapidissimo dei consumi sta determinando comunque un aumento della quantità
di materia e di energia usati dall'uomo, ovvero un aumento dell'"impronta
umana" sull'ambiente. Inoltre il modello fondato sul valore assoluto del
mercato sta dimostrando di essere incapace di ridistribuire in modo equo la
ricchezza e recuperare l'insostenibilità sociale della crescita. Insomma, se
vogliamo perseguire la sostenibilità ecologica e sociale dell'economia
dobbiamo abbattere il mito della crescita. E sostituirlo con nuovi valori.
Impresa titanica, anche se senza alternative. Che si espone a un rischio,
puntualmente rilevata dall'economista Augusto Graziani. Indulgere a una
visione neobucolica e sostanzialmente conservatrice: di ritorno a un
improbabile "stato di natura" che finirebbe per cristallizzare lo status quo
e condannare la gran parte dell'umanità a condizioni di sottosviluppo
perpetuo.

La sostenibilità ambientale verrebbe perseguita a scapito della
sostenibilità sociale. Questo rischio esiste. E può essere evitato solo
assumendo una visione dinamica del rapporto tra uomo e (resto della) natura,
che è un rapporto coevolutivo. In altri termini, chi persegue lo "sviluppo
senza crescita" socialmente equo deve avere una visione critica, ma
progressiva della conoscenza scientifica e dell'innovazione tecnologica.
Resta il problema di quali valori, progressivi, è possibile porre al centro
del progetto di sviluppo, una volta cancellato il valore della crescita.

Esiste un simile valore progressivo? Da molto tempo un gruppo di economisti,
alcuni dei quali collaboratori delle Nazioni Unite, formulano critiche
serrate al vecchio modo, quantitativo, di misurare la ricchezza delle
nazioni. E ne propongono uno più qualitativo. Non misuriamo, dicono, solo
quanti beni materiali hanno i cittadini di una nazione (calcolo sintetizzato
nel PIL, il prodotto interno lordo). Ma misuriamo anche il modo in cui
questi beni sono usati. Cerchiamo di misurare la ricchezza di una nazione
anche sulla base di indici immateriali come la cultura, la salute, la
qualità dell'ambiente, la qualità della vita.

L'indicazione è interessante. Perché propone un quadro in cui l'economia
cessa di essere un fine e (ri)diventa il mezzo per migliorare la condizione
umana. In questa visione assume un senso compiuto disaccoppiare la crescita
dallo sviluppo.

Se cerchiamo il benessere complessivo dell'uomo, scrive Paolo Sylos Labini,
in una società avanzata la crescita dei beni materiali non è più così
importante, una volta soddisfatte le esigenze fondamentali. In una società
avanzata che ha soddisfatto le esigenze fondamentali di beni materiali dei
suoi cittadini lo sviluppo dell'uomo può essere pensato attraverso la
ricerca di uno stato immateriale di benessere: la salute, la cultura, la
qualità della vita. In questa visione dello sviluppo è contenuta la
sostenibilità sociale (è prioritario fornire tutti i cittadini dei beni
materiali fondamentali) ed è contenuta la sostenibilità ambientale (stato
stazionario dei consumi di materia/energia, attenzione alla qualità
dell'ambiente quale aspetto primario della qualità della vita).

Gli estensori della lettera aperta invitano gli economisti a dare sostanza
scientifica a questo progetto. O, come si direbbe in gergo, a internalizzare
i vincoli economici. Ma il progetto, a ben vedere, non riguarda solo gli
economisti. Il progetto riguarda la politica. E, in particolare, la politica
della sinistra. Perché offre alla sinistra una griglia potente per
interpretare e cercare di modificare il mondo nell'era della
globalizzazione. Forse questa offerta merita di essere attentamente valutata
e dibattuta.