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il bene comune e l'alternativa
- Subject: il bene comune e l'alternativa
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Fri, 30 Nov 2012 06:44:43 +0100
da ControLaCrisi.org
Venerdì 02 Novembre 2012 GIOVANNA RICOVERI
Il bene comune e l'alternativa al capitalismo Per evitare che tutto finisca in un calderone indefinito, dobbiamo distinguere e dare priorità alle risorse naturali, decisive per la sopravvivenza dell'umanità. Solo dopo vengono conoscenza e cultura, servizi e internet. Le comunità e i movimenti ambientalisti devono diventare una voce che decide insieme alle altre istituzioni del territorioI beni comuni naturali, legati ai quattro elementi di Empedocle -acqua, aria, terra e fuoco- possono esprimere, riletti alla luce del presente, un modello sociale e produttivo alternativo, ma non sostitutivo, a quello capitalistico. Hanno questa valenza perché mettono in discussione il capitalismo da tre angolature essenziali: l'economia di mercato e quindi la mercificazione delle cose e delle persone; la proprietà privata e quindi lo sfruttamento del lavoro e della natura; la democrazia rappresentativa, che nella globalizzazione neoliberista non garantisce la partecipazione e il controllo dei cittadini, neanche in misura limitata. I beni comuni naturali sono risorse fisiche essenziali alla sopravvivenza, e sono pertanto diritti universali, come sostengono i giuristi; ma non sono diritti universali, che diventano beni comuni se e quando le risorse naturali, cui i diritti si riferiscono sono gestiti "in condivisione". Non è la destinazione dei beni comuni che li rende tali: le risorse essenziali alla sopravvivenza sono beni comuni "a prescindere", anche se appropriate o "recintate" dal capitale. Né i beni comuni naturali diventano tali grazie alla conversione delle produzioni e alla riteritorializzazione dei mercati, che sono un tassello decisivo dell'alternativa, ma non trasformano in beni comuni i settori produttivi riconvertiti. I beni comuni non sono neanche "il" bene comune, che è invece l' interesse generale di un paese, garantito dai governi. La letteratura sui beni comuni (scarsa in lingua italiana) e il dibattito corrente (spesso ridondante), dividono i beni comuni in quattro categorie: i beni comuni naturali, quelli culturali (il linguaggio, la conoscenza, il patrimonio artistico); quelli sociali (i servizi pubblici e le acquisizioni dello welfare); e quelli digitali (internet in tutte le sue articolazioni). Prendere a prestito una espressione simbolica come i beni comuni è utile, ma a condizione che non si faccia un calderone trattando allo stesso modo quel che è diverso, e deve essere analizzato nella sua specificità. La rilevanza dei beni comuni naturali, a volerla
riassumenre in un solo concetto, è proprio la loro diversità e specificità di
luogo e di tempo. La cultura sottostante i beni comuni naturali è opposta a
quella del capitalismo: mentre la prima valorizza la diversità e il locale,
considerandoli la vera ricchezza di un popolo e di una comunità; la seconda li
nega in nome dell'ideologia dell'homo oeconomicus che rende un uomo eguale a
tutti gli altri, un'ora di lavoro eguale a tutte le altre, la competitività una
necessità intrinseca ancor prima che economica, legata al profitto. Non esiste
una definizione unica dei beni comuni naturali, la cui forza è proprio la
flessibilità con cui le comunità - i soggetti titolari dei beni comuni -
riescono ad adattarsi al variare delle situazioni.
E' possibile tuttavia descriverne i tratti distintivi, uno dei quali è proprio la diversità. Un altro è l'auto-organizzazione della comunità, che è una forma importante di democrazia diretta, capace di correggere e integrare quella rappresentativa. I beni comuni sono infatti sistemi locali, diversi nello spazio anche nello stesso periodo storico, e proprio per questo esprimono una alternativa reale - ancorché parziale - al paradigma del mercato: la loro flessibilità permette di utilizzare al meglio le risorse presenti sul territorio, evitandone il degrado e la distruzione, che sono invece ineliminabili nel modello capitalistico. Sul territorio è inoltre possibile far emergere e valorizzare le risorse umane di creatività, intelligenza ed energia delle persone, che sono la risorsa più scarsa in assoluto in una società ecologicamente e socialmente sostenibile. A sostegno della priorità dei beni comuni naturali,
ci sono diverse ragioni: la prima, quella di essere beni di sopravvivenza senza
i quali nessuno - né ricchi né poveri - può sopravvivere. Dopo, ma solo dopo,
vengono conoscenza e cultura, servizi e internet. Un'altra ragione è che in
ciascuno dei quattro elementi vitali di Empodocle si racchiude tutta la realtà,
quella di oggi come quella di ieri e dell'altro ieri. L'acqua ad esempio non è
solo quella che beviamo ma anche quella per la cura di se, per lo smaltimento
dei rifiuti, per la produzione agricola e industriale, etc. Una terza ragione è
che nel terzo millennio le frontiere del profitto si sono spostate sui beni
comuni e sui beni pubblici, e cioè sul patrimonio consolidato di beni naturali,
infrastrutturali e di servizi, il cui valore è in parte un "regalo" della natura
e in parte frutto dell'ingegno e del lavoro delle comunità e delle popolazioni
locali. Una ricchezza collettiva molto appetibile per le grandi multinazionali e
per la finanza, che è al centro dello scontro sociale in Europa e nelle guerre
in corso in molte parti del mondo per le risorse naturali e il controllo del
territorio.
Nel passaggio dal Medioevo alla Modernità, i beni
comuni sono stati appropriati (enclosed) dal capitale e la natura è scomparsa
dall'orizzonte delle scelte economiche e politiche, come è successo
all'agricoltura contadina nel secolo scorso. La sottovalutazione della natura ha
avuto effetti devastanti e duraturi nel tempo: ha legittimato la schiavitù e il
colonialismo; l'introduzione su vasta scala della chimica in agricoltura; l'uso
generalizzato di energia fossile; l'impiego di tecnologie pericolose e di
sostanze cancerogene nei luoghi di lavoro, dove i lavoratori vanno a morire come
fossero in guerra. Il caso Ilva ne è la riprova inequivocabile, così come gli
incidenti mortali sul lavoro.
L'esperienza europea del Medioevo e quella attuale
nei paesi del Sud del mondo offrono elementi utili a capire come i beni comuni
naturali potrebbero essere riproposti per superare la crisi del capitalismo. Una
condizione è che il progresso non sia identificato con il "nuovo" mentre è un
misto di presente e di passato: fare terra bruciata del patrimonio di esperienze
del passato contraddice infatti ogni regola di buon senso. La crisi del
capitalismo potrebbe essere l'occasione per rilanciare questa esperienza storica
di auto-regolamentazione delle risorse locali e del territorio da parte delle
nuove comunità locali, da identificare nei comitati di lotta e nei movimenti
ambientali e sociali che esistono mumerosissmi ovunque. Un esempio italiano noto
è il Comitato NoTav della Val di Susa.
Un'altra condizione è che a questi nuovi soggetti venga riconosciuto per legge il potere di co-decidere sull'uso del loro territorio, avendo pari dignità rispetto alle altre istituzioni già presenti sul territorio, innanzitutto i governi locali. Il ritorno dei beni comuni qui auspicato, o la loro reinvenzione come sostiene la Fondazione tedesca Heinrich Boell, si colloca in questa prospettiva strategica: richiede di considerare i movimenti ambientali e sociali e i comitati di lotta che operano in difesa delle risorse naturali e della giustizia sociale e ambientale come istanze che esprimono le esigenze del territorio e dei suoi abitanti, avendone il potere formale e sostanziale. Questo modo di intendere i movimenti permetterebbe
di superare il duopolio stato-mercato immettendo nel sistema un terzo soggetto
di democrazia diretta e insieme elementi di democrazia politica, capaci di
rompere gli steccati costruiti dal capitale per concentrare le decisioni che
riguardano tutti nelle mani di pochi, sempre più lontano dai luoghi dove le
persone vivono e possono dire la loro. Si metterebbero così in discussione i
pilastri su cui si regge oggi l'economia mainstream - l'oblio della natura, la
competitività internazionale, la produttività, la competenza, la crescita. In
sintesi, l'ingiustizia sociale e ambientale.
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