monezzopoli mondiale



da Eddyburg
 
Monnezzopoli Globale
Data di pubblicazione: 07.06.2012

Autore: Bottini, Fabrizio

Di spazzatura si vive ma si può morire: in un rapporto della Banca Mondiale esaminati in modo comparativo problemi, casi, esperienze, prospettive di gestione dei rifiuti urbani a scala globale

Diceva Peppino Impastato che “la mafia è una montagna di merda”, elegante accostamento però fuorviante almeno su un punto: l’una si può solo distruggere, l’altra si ricicla. Il problema della montagna si fa però particolarmente grave quando diventa urbana, intesa come rifiuto solido urbano, visto che ne muta radicalmente la composizione, ben diversa dalla puzzolente ma tutto sommato gestibile biomassa rurale. Ecco, proviamo a leggerlo così il futuro prossimo dell’umanità: sempre più urbana, e con quella montagna sempre più incombente, ingestibile, minacciosa, composita. Tradotto in cifre, il nostro stile di vita cittadino globale dieci anni fa voleva dire poco meno di tre miliardi di persone intente ad aggiungere ogni giorno su quel mucchio 640 grammi di schifezze composite ciascuno, dalle bucce alle pile scariche al giocattolo rotto (in totale, facendo un mucchio annuale unico, 680 milioni di tonnellate).

Ma il progresso, lo sappiamo tutti, è inarrestabile se sappiamo impegnarci. In questo caso l’impegno non è mancato di sicuro: oggi noi cittadini siamo un po’ più di tre miliardi, e orgogliosamente sforniamo ogni giorno un chilo e due etti di porcherie da smaltire (1,3 milardi di tonnellate l’anno). Ancora più luminoso il futuro della monnezza previsto per il 2025, quando i residenti urbani saranno 4,3 miliardi, alacremente intenti ad ammucchiare poco meno di un chilo e mezzo di rifiuti ciascuno al giorno, 2,2 miliardi di tonnellate l’anno. Per tornare alla mafia che si citava all’inizio, e ricordando certi interessi in certi metodi di gestione dei rifiuti, pare di vederli esultare davanti a cifre così: appalti truccati per gli inceneritori, una rete globale di discariche abusive, o magari eclatanti sinergie con le grandi opere pubbliche, basta pensare a quel tizio che usava l’autostrada Brescia-Milano in costruzione per stendere decine di chilometri di strato velenoso sotto l’asfalto, in eredità alle generazioni future.

Battutine un po’ sceme a parte, il tema è assai serio, come appare evidente accostando alcune immagini che di solito colpevolmente consideriamo separate. Sui giornali, alla televisione, o anche su questo sito, si parla spesso del rapporto fra urbanizzazione e progresso sociale in tutto il mondo, e la cosa appare abbastanza evidente nei casi di paesi emergenti come India o Cina. Dai villaggi rurali prima i lavoratori poi intere famiglie si trasferiscono nelle mega-città (o magari anche in centri intermedi) dove al minimo aumentano il reddito, le aspettative, iniziano a usufruire di qualche servizio e diritto. Cambiano anche stile di vita, come pure vediamo chiaramente anche solo guardando le immagini di slum e quartieri urbani: i loro rifiuti aumentano, e dalla semplice biomassa delle campagne diventano la composita e micidiale miscela delle città. Lo fanno intuire immagini e buon senso, lo confermano ahimè le cifre raccolte e elaborate dall’ultimissimo rapporto pubblicato per la serie Quaderni Urbani dalla Banca Mondiale, What a waste: a global review of solid waste management, dove in un centinaio di pagine con poche parole e molti dati si fotografa una tendenza. Come sempre al tempo stesso inquietante e ricca di potenzialità: la metropoli è una malattia che contiene storicamente in sé i principi della terapia.

Gli amici cinesi o indiani che respirando i fumi della propria motoretta o dei furgoni altrui si arrabattano giorno dopo giorno a migliorare il loro tenore di vita, iniziano ad ammucchiare sulla porta di casa qualcosa di sempre più simile a quanto sta davanti ai gradini del nostro ingresso la sera, e che l’amministrazione municipale si porta via nella notte. Noi nel frattempo, non paghi dei risultati ottenuti, ci diamo da fare per incrementare e diversificare quella quota pro-capite, e il problema monta, come sanno ormai abbastanza bene i cittadini napoletani, per esempio. Ecco: moltiplichiamo un caso Napoli per le quantità demografiche, territoriali, di consumi collettivi di qualche megacittà asiatica, e cominciamo a farci un’idea. Ma c’è anche qualcosa in più, raccontato nel rapporto What a waste, e che lega la montagna globale di monnezza urbana a un altro aspetto forse ancora più inquietante dei nostri tempi: la minaccia del cambiamento climatico.

Perché esiste un rapporto diretto, forte, immediato, fra la produzione di rifiuti solidi urbani e l’emissione di gas serra, le due curve crescono parallele. Le emissioni post-consumo vengono calcolate a circa il 5% di quelle globali, e in generale ne incorporano di fatto molte altre, ad esempio nel caso della carta (enorme componente della montagna di spazzatura urbana) le cui emissioni si verificano nel ciclo di produzione e distribuzione precedente lo scarto. In questo come in altri casi lavorare in modo integrato nella riduzione dei rifiuti solidi urbani significa anche risalire la corrente, per toccare i nostri modelli di sviluppo là dove si originano i problemi. Lavorare in modo integrato significa anche e soprattutto approccio generale: che tipo di esistenza urbana conduciamo, quali sono i suoi bisogni attuali e le risposte possibili, in quali tipi di spazi e contesti si svolge la nostra esistenza lavorativa, di consumo, di relazioni sociali, come abitiamo, come concepiamo la ricchezza e le sue manifestazioni esterne. Intervenire a partire dai rifiuti solidi urbani è anche una strada per verificare e rafforzare l’azione municipale in generale, sia programmatica che di erogazione dei servizi, e momento di verifica della macchina organizzativa.

 
Concludendo, al solito, con le raccomandazioni propositive, il rapporto indica alle città gli strumenti della
PARTECIPAZIONE e coinvolgimento dei cittadini attraverso programmi di informazione e educazione a comportamenti virtuosi (il riuso, riciclaggio ecc.)
MECCANISMI ECONOMICI per stimolare altri comportamenti virtuosi da parte di cittadini e imprese, dal differenziare le tariffe alla tassazione su alcuni prodotti particolarmente complessi da gestire nella loro vita
SENSIBILIZZAZIONE DIRETTA legando alcune azioni a momenti di vita della cittadinanza, per esempio il compost da rifiuti organici usato nei parchi pubblici, o negli orti di quartiere, o il decentramento di una parte del processo di riuso.
E c’è da stare sicuri almeno di una cosa: la capacità di adattamento dei cittadini, le loro potenzialità di migliorare le politiche urbane pubbliche con l’interazione, sapranno certamente nel giro di una generazione (basta vedere cosa sta accadendo nel campo della mobilità dolce) accelerare tantissimo i processi. Una ipotesi realistica: la montagna di spazzatura incombente forse non ci franerà sulla testa. Ma tocca darsi da fare da subito.