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comunicazione e autocomunicazione di massa intervista a manuel castells
- Subject: comunicazione e autocomunicazione di massa intervista a manuel castells
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Wed, 25 Jan 2012 06:42:50 +0100
da democraziakm0
Auto-comunicazione di massa — 23 gennaio 2012 INTERVISTA A MANUEL CASTELLS Dal sito www.outraspalavras.net, una intervista di Sergio Martino, della trasmissione della radio spagnola Radio Europa Abierta a Manuel Castells, sociologo e studioso di internet. Il testo è stato tradotto dallo spagnolo al portoghese da Daniela Frabasile e Gabriela Leite Martins, e dal portoghese all’italiano da www.democraziakmzero.org. Premessa
Negli Stati Uniti, il Congresso esamina leggi (SOPA e PIPA) che possono
impedire lo scambio di contenuti in rete – e, qualora fossero adottata,
riguarderanno gli utenti di Internet in molti paesi. In Cina, la campagna
annunciata dal presidente Hu Jintao per “promuovere l’identità culturale” del
paese comprende un rafforzamento della censura su certi contenuti che circolano
in rete. Ma in tutto il mondo, internet continua a mettere in relazione gli
esseri umani senza alcuna intermediazione di governi o imprese – e in casi
sempre più numerosi, a facilitare movimenti che rovesciano dittature e sfidano
il potere economico. Qual è il futuro di Internet, in mezzo a queste tendenze
tanto contraddittorie?
Ai primi di gennaio, il sociologo Manuel Castells ha dato al programma
Abierta Europa, della radio e televisione pubblica spagnola, un’intervista di
enorme importanza per il dibattito su questi temi. Noto per opere che hanno
affermato nuovi concetti (come la trilogia “L’età dell’informazione”, pubblicata
in Italia da Università Bocconi editore) e, più recentemente, per la sua
scommessa che sia possibile mantenere Internet come spazio per una “cultura
della libertà”, Castells sostiene quattro punti di vista principali:
- Sta nascendo un’era della “auto-comunicazione di massa”. Nelle sue
analisi precedenti, e in quelle di altri autori, si è già parlato in una “era
della comunicazione condivisa”, che dovrebbe sostituire la “comunicazione di
massa”. Castells aggiunge, ora, un altro dato. Oltre a far circolare il
contenuto dei grandi media, ciò che crea lo scambio di contenuti in piccoli
gruppi, i cittadini stanno diventando capaci di parlare alle masse. Le reti
sociali permettono di moltiplicare i messaggi trasmessi da piccoli gruppi questi
quando sono in grado di sensibilizzare la società. Questo è successo, ad
esempio, nelle rivoluzioni tunisina ed egiziana.
- Le grandi aziende con base in Internet sono alleate, nella lotta per la
libertà – ma devono essere regolamentate: Google, Facebook e altri hanno grande
potere di influenza sulla rete. Tuttavia, il loro modello di business le spinge
a opporsi a misure autoritarie di controllo. Hanno imparato a navigare in rete;
hanno necessità di moltiplicare la circolazione di contenuti di ogni genere, per
aumentare i ricavi. Ciò nonostante, Castells sostiene la creazione di consigli
per regolamentare Internet nel pubblico interesse. Possono garantire, ad
esempio, la neutralità della rete, impedendo che una parte degli utenti abbiano
privilegi rispetto ad altri.
- L’idea di una “internet d’élite” non regge ai fatti: 1,7 miliardi di
persone sono connesse – un quarto della popolazione totale del pianeta. Mai un
mezzo di comunicazione ha raggiunto un livello così massiccio. Ma questo numero
si espanderà ancora, e presto, grazie alle tecnologie che portano internet ai
cellulari, cioè a 4,7 miliardi di esseri umani.
- Niente è garantito- Allo stato attuale, anche i controlli stabiliti dai
governi sulla rete (come ad esempio la censura su alcune parole chiave, in Cina)
sono deboli. Per ora, l’orizzontalità radicale di internet è contro la logica
delle autorità – che è quella di controllare le informazioni. L’unica garanzia
per mantenere la rete libera è la mobilitazione permanente dei
cittadini.
Ecco l’intervista completa è qui sotto, e l’audio, in castigliano, può
essere ascoltato all’indirizzo
http://www.rtve.es/alacarta/audios/europa-abierta/europa-abierta-manuel-castells/1286978/
.
In un mondo che è cambiata tanto e in poco tempo, i mezzi di comunicazione
di massa si stanno trasformando ancora più velocemente. Qual è il senso delle
loro trasformazioni?
I media sono diventati allo stesso tempo globali e locali. Con la
trasmissione digitale, è possibile ricombinare differenti mezzi. Quel che una
volta era una comunicazione molto locale, e c’erano pochi canali e modi di
diffondere i messaggi, si è convertito in una enorme costellazione che è in
tutto il mondo.
Ma la grande trasformazione si è prodotta negli ultimi dieci o dodici anni, quando ha cominciato a diffondersi la comunicazione orizzontale. Ossia non è più quello che va da uno a molti, ma quello che va da molti a molti. In cui ognuno trasmette e seleziona i suoi propri messaggi a partire da internet. Questo ha aperto le frontiere. Chiunque può organizzare il suo proprio canale e le sue proprie reti di comunicazione. Quindi siamo in un sistema di comunicazione duplice, in cui i mass media non regnano più da soli. E’ nato quello che noi chiamiamo “auto-comunicazione di massa” – la comunicazione che noi stessi scegliamo, ma che ha il potenziale per raggiungere le masse, o quel gruppo di persone che definiamo nel nostro network. In “Comunicazione e potere”, uno dei suoi libri più suggestivi (pubblicato in Italia da Università Bocconi, ndt), lei disegna l’utopia di un mondo migliore grazie alla libera comunicazione tra le persone. Tuttavia, ci rendiamo conto, ci sono gli attacchi che vengono fatti alla libertà sulla rete. Pertanto, chiedo, nulla sembra così semplice, non è vero? Le cose sono tutt’altro che semplici – ma non è difficile capire
l’equazione. Chi ha il potere, organizza la rete – che si tratti di potere
economico, dei media, dei politici, chiunque. E chi ha il potere desidera
mantenerlo, cerca il modo di assicurare che i propri interessi e valori siano
meglio serviti rispetto a quelli degli altri nell’organizzazione della società.
Chi è al potere rifiuta i cambiamenti che minacciano il suo
dominio.
Conservare il potere implica mantenere il massimo controllo possibile sull’informazione, e garantire, soprattutto, che i canali di comunicazione siano verticali. In questa logica, pochi devono controllare la comunicazione indirizzandola ai molti che non ce l’hanno. Beh… questo è proprio quello che sta cambiando fondamentalmente! Ma diciamo che niente è facile perché, anche se Internet e le reti mobili consentono una molteplicità e una orizzontalità della comunicazione, anche le grandi aziende possiedono gli stessi canali. E i governi hanno una certa capacità – non decisiva, per fortuna – di controllare e intimidire la libera circolazione delle idee su Internet e sui media mobili. Cioè, la tecnologia consente di operare un’apertura del mondo della comunicazione, ma i poteri economico, politico e dei media continuano a cercare di controllarlo. Il risultato di tutto questo varia secondo i tempi e paesi, e dipende sempre dalla capacità che le persone hanno di mobilitarsi per difendere il loro diritto alla libertà. Potrebbe essere una pura illusione ottica, la sensazione che la nostra
capacità di influenza, e la libertà di informarci, sono ora molto maggiori?
Penso che sia una buona domanda, ma no – chiaramente no. Abbiamo numerosi
studi che dimostrano come le persone hanno molta, anzi moltissima più capacità
di intervenire nello spazio della comunicazione, a partire da internet, che in
qualsiasi altro momento della storia. Tanto che, concretamente parlando, anche
le grandi compagnie dei media, in tutto il mondo, usano i social network
Le barriere di accesso al mondo della comunicazione via Internet diminuiranno molto. La tecnologia è a disposizione di qualsiasi studente. E il capitale necessario per creare un canale su YouTube, per esempio, è relativamente piccolo. Di conseguenza, ci sono centinaia e centinaia e centinaia di alternative, e alcune sono più sofisticate di altre. E se Youtube pratica la censura, o se Facebook controlla quel che si dice o non si dice, la gente semplicemente si sposta su un’altra rete sociale e abbandonano quella che avevano. Questo è quello che è successo con la prima grande rete sociale di comunicazione. Al suo tempo, AOL.com, è stata la grande invenzione, la grande tecnologia. Quando AOL ha cercato di tagliare la libertà di espressione, la gente semplicemente se n’è andata e Aol, praticamente è finita, in termini di rete. Quindi, in un certo senso, per vendere ciò che vogliono quanto a pubblicità, e per ottenere dati sulle persone, le società di internet devono accettare la libertà di espressione. Perché è quello che la gente cerca: esprimersi, organizzarsi e connettersi liberamente. Lo stesso accade con i governi. I governi odiano internet. Perché è una sfida fondamentale a quello che è sempre stato il fondamento del loro potere: il controllo della comunicazione e dell’informazione. I governi dicono Internet sì, ma per quello che mi serve. Utilizzano sempre gli stessi pretesti: la pedopornografia, il terrorismo – come se fossero fondamentalmente problemi della rete. Invece sono problemi della società. E i terroristi usano Internet più per la propaganda, che per organizzarsi. E’ quello che facciamo tutti. Tutti usano Internet per tutto: nel bene e nel male. E i governi odiano qualcosa che sfugge al loro controllo. Ma non ci può essere “un po’” di internet. La rete esiste o non esiste: attaìraverso di essa si trasmette ogni tipo di informazione. Si può cercare di controllarla, come in Cina, con mezzi molto potenti. Ma anche così, non si può davvero controllare ciò che la gente crea. In che modo i governi controllano internet a favore dei governi? Con l’analisi dei contenuti, con i robot, sistemi automatizzati che cercano parole chiave. Per sfuggire al controllo, una strategia è di non dire nessuna delle parole chiave che un robot può interpretare: la democrazia, Tian An Men, Tibet, Taiwan, pornografia, ecc… Se nessuna parola di una lista viene usata, se non si commette nessuna imprudenza in questo senso, i robot non sono in grado di controllare. Ci sono altri sistemi più manuale di intimidire il webmaster, la persona che gestisce ciascun sito, ma questo è molto più artigianale e molto meno efficace. Ossia, quel che i governi fanno per controllare Internet è quello che la polizia ha sempre fatto: tenere un elenco di sospetti abituali e cercare di controllare le e-mail e le web di questi sospetti. Ma c’è un altro cambiamento: l’e-mail non è più la più importante forma di comunicazione, e nemmeno la più comune in Internet. Dal luglio 2009, il numero degli utenti delle reti sociali di comunicazione, come Facebook e altri, è molto più grande di quello di chi usa la posta elettronica. O Twitter…
Twitter anche… ma non è il maggiore. E’ in fase di stallo, in un certo
senso, non permette una interazione sufficientemente ricca, come in altri social
network. E soprattutto perché il vantaggio di Twitter è stato che (e rimane) che
si poteva interagire facilmente con il telefono. Ma ora entriamo nell’era di
iPhone e di altri dispositivi mobili che possono entrare direttamente in
Internet. Si può essere su Facebook senza problemi ed è un grande vantaggio
delle reti sociali con una maggiore larghezza di banda.
Ma il controllo delle informazioni che i governi tentano non si trasferirà
a Google, per esempio? È Google che seleziona quello che si trova e che
stabilisce la preferenza su alcuni siti rispetto ad altri. Stiamo offrendo a una
società privata il potere che deriviamo dal governo e dalle urne?
Ebbene, i governi legittimati attraverso le urne possiedono molti vincoli
ed esistono solo in una parte del mondo. Google ha un potere enorme, soprattutto
tecnologico, e può essere un veicolo di controllo. Ma nella battaglia che
viviamo in questo momento, è più un alleato che un nemico. Coloro che realmente
stanno cercando di controllare – e quelli che possono controllare di più – sono
le imprese proprietarie dei canali di comunicazione, attraverso i quali scorre
la rete. Perché in questo caso, il tipo di censura è molto più diretto: tagliare
l’accesso dell’utente, a meno che vi sia un intervento giudiziario. Possono
tagliare, restringere, differenziare come desiderano. Per questo è così
importante la battaglia per la neutralità della rete.
Negli Stati Uniti, questo è decisivo. L’amministrazione Bush procedeva consegnando le reti di telecomunicazione alle grandi imprese, secondo i loro criteri. Obama ha fatto una grande campagna per preservare la neutralità della rete, e ha delegato questo al nuovo presidente della commissione generale per la comunicazione, che sta cercando di mentenere questa neutralità. Google ha potere, naturalmente, nella misura in cui è un motore di ricerca che utilizza i propri criteri. Dicono che gli algoritmi sono casuali, ma in realtà non è così: usano i propri criteri e condizionano ciò che cerchiamo e ciò che non cerchiamo. Ma quel che non possono fare è controllare l’accesso, controllare la comunicazione, perché quanto più traffico, contenuti e attività c’è in Internet, meglio è per loro. Vivono per aumentare la libera comunicazione su Internet, e non per limitare ciò che ci offre. Google è un affare, non una ideologia. Quanto più internet e più comunicazione, tanto più profitto c’è per Google. Ma in certo modo, come lei ha detto, è assolutamente necessaria una regolazione seria nell’interesse pubblico. Un regolamento della comunicazione intera, e in particolare di internet. Per esempio, in Catalogna, abbiamo il Consiglio dell’audiovisivo, che ha un’attività molto seria e una funzione di pubblico interesse. Questi consigli normativi sono a volte particolarmente politicizzati, ma è essenziale che regolino secondo il pubblico interesse, non nell’interesse del governo. I mass media hanno cominciato a trasmettere eventi come i funerali di
Michael Jackson su Facebook. condividevano quel che vedevano e condividevano
direttamente i loro sentimenti. Stiamo vivendo una globalizzazione di
sentimenti, più di quanto non sia già avvenuto fino ad ora?
Sì, effettivamente. Questo è un esempio eccellente. In modo un po’ meno
interattivo (perché non c’era Facebook), è quel che è accaduto per il funerale
di Lady D, come momento di comunione generale del compianto di milioni di
persone in tutto il mondo.
Ma direi che più importante di questo esempio è l’idea di collegare i mass media tradizionali con i nuovi mezzi dic omunicazione su Internet. Cioè, siamo in un processo di convergenza tecnologica e anche di convergenza comunicativa. Vediamo due mondi diversi: il mondo della comunicazione di massa e il mondo della auto-comunicazione di massa, ma oggi essi stanno interagendo. Ogni canale televisivo sa che deve contare sulla interazione dei media in Internet. Sta nascendo un ibrido. Ma attenzione: siccome Internet non è controllabile, perché i mass-media effettivamente interagiscano con la comunicazione che raggiunge la rete, sarà necessario che riducano il livello di controllo su ciò che essi stessi diffondono. Sarebbe una rivoluzione, che però non è ancora arrivata ai media. Lo stesso si può dire per i governi e i politici. Perché possano fare un uso efficiente di Internet, hanno bisogno di accettare l’autonomia dei cittadini. Questo è stato il genio di Obama ed è difficile perché quasi nessun politico ha accettato di lasciar liberi i sentimenti dei cittadini perché essi stessi si organizzino. E anche Obama, da quando è arrivato alla Casa Bianca, ha limitato abbastanza quel che i cittadini possono o non possono fare su Internet. Questo è il tema: Internet è un mezzo di comunicazione libero. Qualsiasi tipo di interazione con Internet – sia dei media, politica o culturale – implica la rinuncia a buona parte del controllo verticale che i mezzi di comunicazion eesercitano. Questo, sì, è un processo di trasformazione che sta evvenendo e che si può vedere dall’esempio del funerale di Michael Jackson. Chi non è su Internet non esiste più?
In politica, se qualcuno non sta nella comunicazione – sia attraverso i
media o via Internet – non esiste. Le persone esistono anche lontano da
internet, naturalmente, ma limitano fortemente le possibilità di interazione e
informazione. Gli studi dimostrano che più si sta su internet, più possibilità
si hanno di relazioni, amici, attività, informazioni sociali e politiche,
informazioni culturali. L’internauta è un essere attivo, l’idea che la rete
toglie le persone dal mondo è confutata da lleprove empiriche.
Ma vorrei dire che questa domanda sta diventando un po’ vecchia. E’ come chiedere se noi esistiamo senza elettricità. Sì, è chiaro che la gente può vivere felicemente senza di essa: per brevi momenti nella foresta, contemplando il corso del fiume, leggendo un libro… D’altra parte, l’elettricità è la base della civiltà industriale che abbiamo costruito. Oggi abbiamo 1,7 miliardi di utenti di Internet in tutto il mondo (nel 1996 erano circa 40 milioni…). Una barriera allo sviluppo della rete era la mancanza di piattaforme mobili: nel 2012, la comunicazione interpersonale non passa principalmente attraverso linee fisse, ma dai dispositivi mobili, come telefoni i cellulari. Ebbene, il numero delle linee mobili è aumentato da 16 milioni nel 1991 a 4,7 miliardi. Il pianeta è praticamente collegato – compresi i paesi poveri. Questa piattaforma provocherà una nuova fase di espansione e di sviluppo di Internet. Ciò significa che la rete oggi ha lo stesso significato che l’elettricità ha rappresentato per lo sviluppo della società industriale. La questione diventa quindi diventa priva di significato. Non viviamo su Internet, ma con essa. E’ una parte essenziale della nostra vita, e una cultura della libertà. Se ci sono persone che non vogliono Internet – le persone anziane, per esempio, che abbiamo individuato in alcune delle nostre ricerche – hanno tutto il diritto di sostenere questa tesi. Dobbiamo garantire, ad esempio, che i servizi pubblici non siano distribuiti solo in rete, perché la gente ha sempre bisogno di avere il diritto di optare per altre tecnologie. Ma insisto, è la stesso che poter scegliere di vivere senza elettricità. Internet, telefoni cellulari, le reti sociali sono elementi che cambiano il
modo di connettersi, e aprono anche un nuovo mondo di opportunità, in un momento
di crisi. E’ il momento di sondare le opportunità di occupazione e di business
attraverso la rete?
Certamente. Ciò che non reggerà è il modello globale del capitalismo finanziario che abbiamo. Il nucleo di questo sistema è crollato. Tutta la crescita economica dipendeva da una domanda legata alla facilità del credito, credito con un capitale inventato a partire da manipolazioni matematiche dei mercati finanziari. Questo è finito, e c’è un riflesso di contrazione totale dell’economia, che i governi cercano di arginare, dicendo che bisogna “tornare a quel che c’era prima, lalo stesso tipo di economia”. Molti economisti in tutto mondo – e io sono tra questi – non credono sia possibile o fattibile tornare allo stesso modello. Non significa dire che il capitalismo è finito, ma questo tipo di capitalismo finanziario speculativo sì. La soluzione, nel quadro dell’economia di mercato, non passa attraverso la stimolazione della domanda, né per restringerla ancora di più – ma stimolando un nuovo tipo di offerta, e produrre di più con meno. Consumare meno, con un’economia più piccola e più dinamico, con più tempo libero, di modo che il motore della produzione non sia la domanda, ma l’innovazione, la capacità di produrre cose nuove. E qui abbiamo internet e più in generale tutto il mondo della cultura e della produzione digitale. Questo è l’elemento chiave. Io credo che qui, oggi, ci sia la possibilità di costruire piccole imprese, attività con molti potenziali imprenditori giovani che hanno conoscenze, e che possono trovare mercati di nicchia. Il problema è che in Spagna e in tutta Europa le istituzioni finanziarie non accettano l’idea di lavorare con il rischio. Guardano agli imprenditori con l’idea che il capitale di rischio è capitale per la banca e rischio per l’imprenditore … Penso che ci sia una possibilità aperta. Se riuscissimo a superare la cultura burocratica del governo e la cultura del controllo bancario – speculano con i nostri soldi, ma non rischiano i loro – è possibile avviare una economia sana con basi più sane di querlla che abbiamo visto cadere. |
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