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Sent: Friday, May 06, 2011 10:05 AM
Subject: R: acqua oro blu tra 35 anni
resteremo a secco
Buongiorno,
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Da: economia-request at peacelink.it
[mailto:economia-request at peacelink.it] Per conto di ANDREA
AGOSTINI Inviato: venerdì 6 maggio 2011 6.36 A:
economia Oggetto: acqua oro blu tra 35 anni resteremo a
secco
ACQUA ORO BLU. Il
mondo ha sempre più sete e tra 35 anni resterà a secco
Data di
pubblicazione: 22.03.2011
Autore: Fazio, Luca
Il rapporto
acqua-città, il dramma dei paesi poveri e le buone pratiche nel colabrodo
Italia. A meno di tre mesi dal referendum, la giornata mondiale dell'acqua
diventa l'occasione per rispondere alle sfide globali rappresentate dalla
gestione della risorsa più preziosa
Ci sono due motivi sostanziali per
cui la giornata mondiale dell'acqua quest'anno è dedicata al tema Acqua per la
città: come rispondere alle sfide dell'urbanizzazione. La metà del genere
umano vive in agglomerati urbani, e si calcola che tra vent'anni quasi il 60%
della popolazione sarà stipata nelle principali città del mondo: 5 miliardi di
persone. Essendo così decisivo il rapporto acqua-città, il problema ormai
chiama direttamente in causa la responsabilità politica delle singole
amministrazioni, delle aziende e di tutti i cittadini che possono influire
direttamente nella gestione dell'acqua in contesti urbani - basti pensare al
referendum di giugno. Di questa sfida parla il dossier preparato dal Comitato
italiano Contratto Mondiale sull'acqua (www.contrattoacqua.it).
La
situazione mondiale
La mancanza di acqua nelle aree più povere del
pianeta (Asia e Africa) apre scenari drammatici. Almeno 5 milioni di persone
ogni anno abbandonano le campagne per trasferirsi in città, 493 milioni di
persone non hanno servizi sanitari, 789 milioni sopravvivono senza accesso
all'acqua e il 27% della popolazione urbana nei paesi del sud del mondo non ha
la rete idrica in casa. E il futuro non promette niente di buono, se è vero
che nei prossimi venti anni in questa area del pianeta la popolazione è
destinata a raddoppiare. Ma l'impatto dell'urbanizzazione ormai si fa sentire
anche nelle città industrializzate, dove 497 milioni di persone hanno servizi
igienici in comune e dove il 38% della crescita della popolazione è
concentrato nelle periferie, con accampamenti totalmente sprovvisti di acqua e
servizi. Sono i poveri che abitano a «casa nostra».
Acqua e povertà
La sfida più importante sarebbe quella di fornire acqua a quelle 828
milioni di persone che oggi vivono nelle baraccopoli. I poveri, oltretutto,
pagano un litro d'acqua fino a 50 volte di più dei loro vicini ricchi, in
quanto sono costretti a rifornirsi dai privati. Stime non proprio confortanti
dicono che la popolazione dei quartieri poveri è destinata ad aumentare di 27
milioni di persone all'anno. Ma c'è chi muore di sete e chi l'acqua può
sprecarla: si passa da una disponibilità media pro-capite di 425 litri al
giorno per un cittadino statunitense ai 10 litri per un abitante del
Madagascar (237 per un italiano e 20 per una intera famiglia africana). Allora
si può ben dire, come ha scritto L'Osservatore Romano, che «l'acqua è un bene
troppo prezioso per obbedire solo alle ragioni del mercato e per essere
gestita con un criterio esclusivamente economico e privatistico».
Inquinamento, salute e sprechi
Ogni giorno, nelle principali
città, 2 milioni di tonnellate di rifiuti umani vengono smaltiti in corsi
d'acqua. La mancanza di impianti di depurazione nei paesi poveri, e gli
scarichi industriali fuori controllo, provocano gravi problemi di salute (la
malaria è ancora una delle principali cause di morte in molte aree urbane). La
gestione degli acquedotti fa acqua da tutte le parti: i livelli di perdita
delle reti idriche raggiungono anche il 70%, con una disonorevole media
italiana del 47%. In totale, la quantità d'acqua potabile che ogni anno viene
dispersa nelle principali città è stimata attorno ai 500 milioni di metri
cubi.
Città e acque in bottiglia
Gli italiani continuano ad
essere i più forti bevitori in Europa di acqua minerale (194 litri a testa,
più del doppio della media europea, per un totale di 12,5 miliardi di litri
imbottigliati). Le aziende produttrici gestiscono affari colossali (2,3
miliardi di euro all'anno) pagando alle Regioni pochissimi euro all'anno per
lo sfruttamento delle fonti di acque minerali: sono 189, per 321 marche
commercializzate. A livello di bilancio familiare, significa che una famiglia
di quattro persone spende tra 320 e 720 euro all'anno per bere acqua minerale.
L'impatto ambientale di questo consumo scriteriato è presto detto:
l'Italia produce 12,4 miliardi di bottiglie l'anno consumando 655 tonnellate
di petrolio, scaricando in aria 910 mila tonnellate di CO2 e (nella
spazzatura) 200 mila tonnellate di plastiche, il cui smaltimento è a carico
degli enti locali, cioè dei cittadini. Inoltre, solo il 18% delle acque
minerali imbottigliate viaggia su rotaia: significa che ogni anno 300 mila Tir
fanno avanti e indietro per far aumentare i profitti stratosferici delle
multinazionali o delle aziende che imbottigliano un bene comune.
Buone
pratiche in città
Il Comitato italiano per un Contratto mondiale
dell'acqua dieci anni fa ha lanciato l'idea di ricostruire e riattivare nelle
città «punti d'acqua pubblica» come momenti di riscoperta e socializzazione
del bene più prezioso. Da eventi inizialmente simbolici, oggi hanno preso
corpo tre specifiche campagne che danno un prezioso contributo nella
costruzione di un nuovo rapporto tra acqua e città.
1) L'etichetta
dell'acqua del sindaco: si tratta di una campagna di sensibilizzazione per
contrastare la tendenza a denigrare l'acqua del rubinetto, sottoscritta da
diverse amministrazioni che hanno «sponsorizzato» la bontà della loro acqua,
con il risultato che oggi l'acqua del rubinetto, dopo anni, è riapparsa nelle
mense scolastiche di diverse città (Roma, Firenze, Milano, Bologna,
Perugia...).
2) Le Case dell'Acqua: diverse amministrazioni hanno
reintrodotto punti di ristoro collettivi (in giardini, piazze, scuole e
stazioni) per contrastare l'uso di acque minerali.
3) Le fontanelle
pubbliche: la proposta di realizzare nuove fontanelle o erogatori di acqua
pubblica (anche frizzante) è stata accolta da numerosi comuni italiani, che
oggi offrono ai cittadini sorsate di prodotto gratis o a prezzi stracciati.
Piccole gocce di saggezza.
Meno minerale e più rubinetto
Gli
italiani spendono di più per comprare acqua minerale che per acquistare vino.
Dai dati forniti dall'Istat in occasione della Giornata mondiale dell'acqua,
Coldiretti ha desunto che l'acquisto di minerale è la prima voce di spesa del
bilancio familiare destinata alle bevande (19,71 euro al mese per famiglia).
Tra alcolici e analcolici, ogni famiglia italianaspende complessivamente 41,06
euro al mese. La minerale per la prima volta ha superato il vino per il quale
le famiglie italiane spendono 12 euro mensili. Negli ultimi 30 anni la spesa
per il vino si è dimezzata, il consumo procapite è sceso a 40 litri per
persona all'anno, per un totale di 20 milioni di ettolitri circa. L'uso della
minerale è in calo mentre cresce il consumo dell'acqua del rubinetto (+1,2%
negli ultimi dieci anni). Secondo l'Istat la spesa media per famiglia per il
servizio idrico integrato domestico (acquedotto, canone fognatura, canone di
depurazione) si aggira intorno ai 270 euro all'anno. Una famiglia su dieci
(10,8%) lamenta disservizi nell'erogazione. L'Italia è come sempre divisa in
due. Al sud le segnalazioni di inefficenze salgono al 18,7% (Calabria 33,4%,
Sicilia 28,3%). Al nord si fermano al 5,8% delle famiglie. Conseguentemente al
sud si spende di più per l'acqua minerale (20,34 al mese per famiglia contro
18,75 euro spesi al nord). Il calo di consumo di minerale cresce tanto più
aumenta la fiducia nei confronti dell'acqua del rubinetto. Il 32,8% delle
famiglie ha almeno un componente che non si fida dell'acqua del rubinetto con
punte là dove è peggiore la situazione degli acquedotti (Sicilia, 64,2%,
Calabria 52%). Le famiglie che acquistano minerale nel 2009 erano il 63,4%,
mentre nel 2000 erano il 64,2%. La fiducia nel rubinetto però crolla quanto
più aumentano i costi in bolletta. Rispetto al 2008 i rincari medi si
attestano al 6,7% (Viterbo +53,4%, Treviso +44,7%). Dal 2000 ad oggi, 80
capoluoghi su 115 hanno ritoccato la bolletta per un aumento totale del 64,4%.
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