da Eguaglianza &
Libertà
Sindacati, come uscire
dallangolo
Limpennata dei debiti pubblici per far fronte
alla crisi ha ancor più indebolito il potere
contrattuale delle organizzazioni dei lavoratori,
ridotte ormai agli accordi di concessione, uno scambio
ineguale tra occupazione e peggioramento nelle
condizioni di lavoro. Bisogna abbandonare lostilità al
cambiamento e varare una strategia unitaria che abbia
tra gli obiettivi anche la produttività
Gianni Italia
I paesi di più antica industrializzazione soffrono tutti
di un debito pubblico elevato. Oltre alle altre ragioni
storiche che sono diverse da paese a paese il debito è
cresciuto a causa dei finanziamenti al sistema del credito
per far fronte alla crisi finanziaria recente. Ora le
politiche economiche che vengono adottate sono orientate
alla riduzione del debito operando attraverso ladozione
di vincoli definiti per legge addirittura di livello
costituzionale . E questa la proposta che il governo
tedesco ha lanciato ai governi dei paesi dellUnione
Europea che hanno adottato la moneta unica. Anche se tale
misura non venisse introdotta come vincolo per tutti i
paesi delleurozona è prevedibile che verranno adottati
più severi vicoli di bilancio. Si stanno precisando
interventi di contenimento della spesa pubblica quali il
blocco delle indicizzazioni, linterveto sui sistemi
pensionistici e altri provvedimenti.
Nel frattempo sono già state adottate misure severe che
hanno comportato il blocco dei salari per i dipendenti
pubblici e manomissioni che hanno teso a limitare il
potere contrattuale del sindacato oltre a tagli
indiscriminati allo Stato sociale. Cè nei paesi
industrializzati una sorta di rigetto delle libertà
sindacali nonostante che presso lOrganizzazione
Internazionale del Lavoro, una istituzione tripartita che
raggruppa governi, sindacati e datori di lavoro, sia stata
adottata due anni fa una risoluzione dal significativo
titolo Decent work , Decent life. Una risoluzione che,
considerando le carenze registrate dalla dimensione
sociale della globalizzazione, impegnava le parti a porvi
rimedio dedicando ad essa le risorse provenienti dai
vantaggi accumulati dagli Stati e dalle imprese per
migliorare sia la qualità del lavoro che i sistemi di
welfare.
Siamo però in presenza di un forte indebolimento del
potere sindacale nei paesi industrializzati e di una
debolezza ancora più grande con forti limitazioni alle
stesse libertà sindacali nei cosiddetti BRIC. Tra questi
solo il Brasile ha un forte sindacato, radicato nei luoghi
di lavoro ma gravemente condizionato da una legge che ne
limita il potere negoziale. E un dato di fatto che con la
globalizzazione la riduzione di potere in campo economico
degli Stati nazionali si riflette negativamente anche sul
sindacato, che fatica a confrontarsi con le aziende
multinazionali, grandi o piccole che siano.
La politica sindacale è per queste ragioni dominata dai
cosiddetti accordi di concessione, che si traducono in
uno scambio ineguale tra garanzie per loccupazione e
peggioramento nelle condizioni di lavoro e delle
prestazioni dello Stato sociale. Ci sono situazioni come
quelle di alcuni Stati Usa dove i governatori vogliono
eliminare per legge i diritti di contrattazione per i
sindacati dei lavoratori pubblici e invocano a sostegno di
questa posizione lobbligo federale del pareggio di
bilancio.
Nella sostanza di fronte a debiti pubblici elevati si
adottano da parte dei governi misure che riducono le
prestazioni dello Stato sociale, limitano la
contrattazione sindacale e accrescono la pressione fiscale
e parafiscale su lavoratori e pensionati. Anche il governo
italiano è da tempo entrato in questa logica e il
sindacato confederale, diviso, non è in grado di andare
oltre a timide e sterili proteste (Cisl e Uil) o a
vigorosi, ma poco produttivi, scioperi generali (Cgil)
E necessario che il sindacato confederale italiano esca
da sterili contrapposizioni e ritrovi la volontà di
ricerca di una strategia unitaria per incidere sulla
gravissima situazione attuale. Senza una unità di azione
condivisa non si va da nessuna parte e a farne le spese
sono i lavoratori e i pensionati. Tre i temi da inserire
in questa ipotesi di nuova convergenza interconfederale:
il lavoro, la produttività e le relazioni industriali.
Operare a favore del lavoro vuol dire partire dal dato di
fatto che per molto tempo saremo accompagnati, se non si
interviene con decisione, da tassi di disoccupazione
crescenti come ci viene periodicamente confermato dalle
statistiche ufficiali. Dati ai quali vanno aggiunte le
percentuali di coloro che sono scoraggiati e di quelli
godono di trattamenti di cassa integrazione in deroga ma
sono candidati al licenziamento in quanto il loro posto di
lavoro non esiste più. Cosa ostacola una decisa azione
sindacale e politica per una diversa ripartizione del
lavoro attraverso la riduzione degli orari se non la
mancanza di coraggio e di fantasia? La misura è necessaria
per rendere efficace lassorbimento della disoccupazione.
Gli esempi positivi non mancano sia per i risultati
raggiunti con le riduzioni di orario a livello aziendale
(Volkswagen) che per effetto della legge come in Francia.
Se si riduce lorario a livello aziendale nel caso di
crisi, come avviene per i contratti di solidarietà, a
maggior ragione si potrà ridurre lorario con profitto per
loccupazione quando le aziende sono produttive e in
espansione! Se non si ripartisce il lavoro quando
scarseggia quando si potrà farlo? Su questo problema
E&L ha da tempo posto lurgenza di decisioni coerenti
con la gravità della situazione.
Cè un ulteriore e allarmante aspetto del lavoro che va
urgentemente affrontato ed è il degrado della sua qualità.
Leffetto della disoccupazione, specie ma non solo
quella giovanile e la crescita abnorme del lavoro a tempo
determinato e dei cosiddetti contratti atipici incidono
negativamente sulla qualità della forza lavoro e
disperdono il bagaglio professionale dei giovani. Questo
in ragione anche del fatto che quasi sempre questi
contratti sono offerti per prestazioni dequalificate e
inoltre le aziende, a causa della precarietà dellimpiego,
non promuovono nessuna formazione sul lavoro. I giovani
perdono per questo la formazione scolastica precedente
senza acquisire altre capacità professionali. Anche la
formazione dei lavoratori in generale durante la vita
lavorativa è scarsa. I fondi interprofessionali,
finanziati con il prelievo dello 0,30% del monte salari
aziendale al quale si aggiunge il finanziamento pubblico,
hanno la funzione di finanziare i programmi di formazione
professionale a livello aziendale. Ma essi non sono in
grado di spendere che una minima parte delle risorse che
incamerano per le limitate richieste che ricevono dalle
aziende. Cattiva volontà, scarsa capacità di previsione
dei fabbisogni qualitativi in termini professionali dei
propri lavoratori da parte delle aziende, insignificanza
della pressione sindacali sul tema, fanno sì che una buona
intuizione e soprattutto le ingenti risorse che se ben
spese sarebbero utilissime per i lavoratori rischiano una
gestione burocratica e il probabile fallimento.
Sulla qualità delle competenze dei lavoratori incide anche
il funzionamento della scuola e dellapprendimento.
LItalia è tra i paesi con i più alti gradi di abbandoni
degli studi tra i 27 paesi della Ue. Il 19,2% dei ragazzi
nel 2009 hanno lasciato la scuola e non vi faranno
presumibilmente ritorno in futuro. Il 12,3% hanno
abbandonato gli istituti di secondo grado superiore alla
fine del primo e secondo anno. La rilevazione 2009 di
Eurostat relega lItalia al quartultimo posto tra i paesi
della Ue per la percentuale di popolazione tra i 30 e i 34
anni che ha conseguito la laurea: solo il 19% mentre la
media Ue è al 32,2%. Sono dati che disegnano un futuro di
competenze scarse che incideranno sulla competitività
dellapparato produttivo e amministrativo italiano. Si
dovrebbe operare uno sforzo eccezionale per recuperare
questi svantaggi attraverso un allargamento del diritto
allo studio. Ma la politica scolastica va nella direzione
opposta a questa basilare necessità. Ed è questo il punto
dal quale partire per il miglioramento della posizione
competitiva del nostro paese. In particolare per i
lavoratori, in contemporanea con la riduzione degli orari
che già viene operata con la cassa integrazione in deroga,
si potrebbe lanciare lobiettivo, facendo rivivere le
esperienze del passato come le 150 ore, del
conseguimento della laurea e della licenza di istituti
tecnici superiori per migliaia di persone. Anche allora ci
fu una convergenza tra sindacato ,associazioni datoriali,
provveditorati agli studi, università, ministero e
insegnanti che, per anni, consentì un grande successo per
liniziativa che portò alla licenza media decine di
migliaia di lavoratori.
La scarsa produttività è un altro aspetto che caratterizza
la situazione del paese. Scarsa produttività
dellindustria e dei servizi e ancor di più della pubblica
amministrazione. Allo scopo, in questo ultimo settore, non
è servita la introduzione dei tornelli allingresso dei
ministeri, cari al ministro Brunetta, né le indicazioni
per una struttura del salario che premiasse il merito. Al
contrario con lultimo accordo separato nel comparto di
Cisl e Uil, senza la Cgil, si sono ripristinati gli scatti
di anzianità e i livelli stipendiali uguali per tutti. Ma
è chiaro da tempo, come molti autorevoli studi hanno
dimostrato, che una amministrazione pubblica efficiente
non si ottiene con palliativi ma con un intervento in
profondità sulla organizzazione del lavoro e sulla
pianificazione. Ambedue argomenti indigesti alla dirigenza
pubblica che è abbarbica nella difesa della procedura e
della norma e che è ormai vittoriosa anche contro i
novisti alla Brunetta oltre che culturalmente egemone
nei sindacati confederali.
Cè da domandarsi come i sindacati del settore possano
continuare con limmobilismo e con lostilità verso ogni
cambiamento. Non basta certamente la constatazione magari
compiaciuta che la dinamica dei salari dei lavoratori
pubblici è stata superiore negli anni scorsi a quella dei
settori esposti alla concorrenza internazionale perché il
cambio del vento si è già sentito con il blocco
contrattuale deciso dal governo mesi fa. In ogni caso il
freno alla spesa pubblica continuerà e più forte se
passeranno le indicazioni tedesche che trovano concorde il
nostro ministro dellEconomia. Una decisa azione
riformatrice che produca una crescita della produttività
nel settore pubblico conviene ai sindacati per essere più
forti contrattualmente e fa bene al paese per uscire dalle
angustie della crescita attuale.
Mentre si aspettano risposte su questo tema è urgente
affrontare il problema della produttività nel settore
privato ed esposto alla concorrenza internazionale. La
questione è decisiva per la competitività dellindustria e
dei servizi e quindi per la crescita economica del paese
ma lo è anche per il sindacato. E non solo per lovvia
constatazione che ciò produrrebbe benefici riflessi
sulloccupazione, ma anche perché migliorerebbe la
posizione contrattuale dei sindacati e con questa la
crescita auspicabile dei salari in un contesto non
inflazionistico. Per intervenire efficacemente è
necessario affrontare il problema nei luoghi di lavoro,
non certo con discorsi sullazionariato dei lavoratori e
simili fumisterie. La partecipazione a livello aziendale
ha un campo di lavoro importante se si occupa del
miglioramento delle pratiche operative e
dellorganizzazione del lavoro anche per la crescita della
produttività. Era questo un terreno sul quale il
sindacato, specie industriale, aveva fatto nel passato (ma
quanti anni sono alle nostre spalle!) esperienze
significative in molti settori.
Esperienze internazionali hanno prodotto miglioramenti
organizzativi con rilevanti effetti positivi sulla
produttività e sulle condizioni di lavoro e sono ormai
adottati su larga scala in particolare nel settore
dellauto. Come è stato autorevolmente sostenuto anche
recentemente, a margine di un convegno sulle recenti
intese alla Fiat, ci sono ampi margini di miglioramento
nella organizzazione del lavoro e della produzione, non
solo nelle grandi aziende ma anche nelle medie e nelle
piccole aziende che avrebbero positivi riflessi sulla
crescita della produttività. La adozione di organizzazioni
della produzione più efficaci possono essere il risultato
di un dialogo a livello aziendale tra lavoratori e
gerarchie che potrebbe essere incentivato dalla
contrattazione aziendale sia sugli strumenti per tale
dialogo sia sui risultati economici al raggiungimento
degli obiettivi congiuntamente prefissati. Se si vuol
evitare che anche con laiuto degli sgravi fiscali
introdotti su un indistinto e largamente discrezionale
salario di produttività siano le direzioni aziendali a
promuovere la partecipazione dei lavoratori attraverso
metodi di coinvolgimento che non riconoscono un ruolo
positivo alla contrattazione collettiva è necessario che
il sindacato abbia una propria idea della partecipazione e
delle sue finalità, tra le quali, insieme al miglioramento
della produttività, ci può essere la crescita
professionale e il riconoscimento ai lavoratori di un
ruolo non subalterno nellimpresa.
Antagonismo o docile coinvolgimento sono entrambi modalità
che riducono il ruolo del sindacato nelle aziende alla
testimonianza o alla subalternità: in entrambi i casi in
posizione marginale. Ma questo è un vantaggio effimero per
limpresa in quanto marginalizza lincidenza positiva sul
processo produttivo di quella che per una stagione è stata
chiamata la risorsa lavoro. La valorizzazione della
contrattazione nella sua dimensione autonoma e collettiva
attraverso il sindacato a livello aziendale può essere un
fattore positivo per creare un clima costruttivo e
favorevole alla partecipazione con positivi riflessi sulla
partecipazione. Anche qui lesperienza tedesca insegna sia
alle imprese che al sindacato italiano.
Fino ad ora la Confindustria e le altre organizzazione
datoriali hanno mantenuto una posizione quantomeno ambigua
sulla partecipazione dei lavoratori nellimpresa. Essa
viene considerata una evenienza possibile ma non un scelta
sulla quale investire e cosi è la situazione a livello
aziendale. Anche la reazione dei vertici confindustriali
verso le proposte di legge presentate in Parlamento,
nonostante la loro impostazione che si incentra sulla
volontarietà della scelta partecipativa, è negativa e in
ogni caso contraria ad una eventuale legge di sostegno.
Il sindacato è anchesso impastoiato tra proclami più che
altro ideologici e che spesso vertono su contenuti
partecipativi che sono scarsamente incentrati sul ruolo
dei lavoratori nel impresa e nei processi produttivi e una
incapacità di mettere a frutto i pochi spazi contrattuali
acquisiti.
Laspetto in questione è rappresentato dallo spazio che si
vuol dare alle relazioni industriali nel sistema
produttivo. Se cioè si considerano una risorsa ai fini
della crescita e lo strumento attraverso il quale si
garantisce un equilibrio redistributivo equo della
produttività, dove equo vuol dire contrattato tra le parti
secondo regole condivise. Per questo insieme di problemi è
necessaria una profonda riflessione sulle forme ma anche
sugli obiettivi delle rappresentanze dei lavoratori e dei
sindacati a livello aziendale. Il negoziato che dovrebbe
aprirsi con la Confindustria, previo accordo tra Cgil,
Cisl e Uil, dovrebbe essere favorevole a riconsiderare
tutta la materia delle relazioni industriali e quindi in
modo più ampio dello stesso documento unitario del 2008.
Laccordo del 2009, non sottoscritto dalla Cgil, aveva
lasciato la questione delle regole delle rappresentanze
fuori da quella intesa separata. A questo fine appare
utile tentare strade nuove definendo assetti delle
rappresentanze aziendali specializzate. Riprendendo una
intuizione nata nellambito del gruppo di Torino, che tra
le altre cose favorì laccordo sulle Rsu del 1993, si può
immaginare un organismo sindacale con compiti
partecipativi eletto da tutti i lavoratori e un secondo
organismo eletto su liste sindacali dai soli iscritti con
compiti di contrattazione e gestione contrattuale a
livello aziendale.
La necessità di una convergenza tra le Confederazione è
sotto gli occhi di tutti e soprattutto è la sola garanzia
di una più efficace tutela dei lavoratori. Tale intesa non
può avere come unico scopo le regole di comportamento
intra-sindacati e quindi facilitare una competitività
negativa anche se meglio regolata, cosa di per sé
necessaria ma non sufficiente, ma dovrebbe misurarsi con
una strategia sindacale di più ampio respiro. E chiaro
che i rapporti attuali tra le Confederazioni sono tali che
immaginare a breve un ritorno alla saggezza risulta
difficile ma una strategia costituente per un rinnovato
ruolo dei sindacati e dei lavoratori nella società
italiana va comunque perseguita da coloro che non sono
stati contagiati dalla partigianeria e hanno a cuore le
sorti del sindacato e dei lavoratori.
(19/03/2011)