territorio dalla crescita sregolata alla cura dell'esistente



  da Eddyburg
 
Città e territorio: dalla crescita sregolata alla cura dell’esistente
Data di pubblicazione: 18.09.2010

Autore: Baioni, Mauro; Salzano, Edoardo

Testo inviato alla seconda assemblea nazionale del movimento Stop al consumo di territorio. Sarzana, 18-19 settembre 2010


Il motore della crescita

Abbiamo alle nostre spalle un ciclo edilizio straordinario per intensità e durata, paragonabile solamente a quello del “boom” economico degli anni ’60. La presenza di una domanda significativa (1) , la facilità di accesso al credito, le politiche nazionali (2) e la deregulation urbanistica hanno innescato una miscela esplosiva. In un quindicennio sono stati costruiti alloggi, edifici industriali e commerciali, strutture ricreative e turistiche per svariati miliardi di metri cubi. Investire nel mattone è stato facile e redditizio: i prezzi si sono impennati verso l’alto, raggiungendo i valori massimi dell’intera storia del novecento, gli investimenti hanno avuto rendimenti superiori persino a quelli dell’oro, e i profitti delle compravendite sono rimasti nelle mani dei proprietari delle aree e in quelle dei grandi costruttori. Si chiama rendita urbana questa enorme ricchezza che non abbiamo saputo né contenere, né tassare, né convertire in opere utili per la collettività.

Collusione pubblico privato e cattura del regolatore

In cambio di pochi spiccioli, si lasciano nelle mani degli immobiliaristi decisioni cruciali sulla localizzazione degli interventi, sulla qualità degli spazi pubblici, sulle destinazioni d’uso. In molte città, a partire da Roma e Milano, il decisore pubblico (regolatore) è stato catturato dai percettori delle rendita urbana: le scelte non sono definite sulla base di una domanda sociale, né tengono conto dell’esigenza di tutela dell’ambiente e del paesaggio o di una qualche razionalità funzionale, ma rispondono ad una logica meramente immobiliare. Nel medio periodo non soltanto questa deriva minaccia la qualità dell’ambiente e della città, ma rischia di mettere in ginocchio anche i bilanci: i nuovi abitanti e le nuove funzioni generano una domanda aggiuntiva di servizi a cui l’amministrazione comunale deve fare fronte con risorse proprie. Si produce quindi un doppio trasferimento di spese: dal privato alla collettività e dai bilanci correnti a quelli futuri. Infine, conviene ricordare che percettori della rendita sanno farsi ascoltare molto bene e con tutti i mezzi: non di rado, infatti, dietro l’evidente collusione pubblico-privato abbiamo visto svilupparsi la corruzione.

I diritti negati

Il suolo consumato, il paesaggio deturpato, la città dilatata e sfrangiata, il disastro dei trasporti, i fabbisogni delle famiglie senza risposta: gli effetti negativi di questo sviluppo malsano sono talmente evidenti che non occorre certo essere urbanisti o esperti di scienze ambientali per rendersene conto. Anche la parte più sana dell’economia soccombe di fronte all’inefficienza delle città e al capitalismo di rapina. In un paese che privilegia rendite e camarille, non può che sentirsi straniero chi vede nel lavoro uno strumento mediante il quale l’uomo è in grado di comprendere il mondo (cioè tutto ciò che è fuori di sé) e di governarlo (cioè di utilizzarlo ai fini propri e della propria specie).

Un altro modo di guardare al territorio e alla città

Che fare per contrastare questa deriva? Lo strumento attraverso il quale contrastare la speculazione (cioè quella componente della domanda che trova la sua principale o esclusiva giustificazione nella convenienza contingente dei promotori) è la pianificazione. E’ solamente attraverso i piani urbanistici che è possibile selezionare quali componenti della domanda di uso e trasformazione del territorio è opportuno soddisfare. Ed è con la pianificazione, non certo attraverso una congerie di accordi con questo o quel costruttore, che possiamo farci carico del territorio che ereditiamo e del progetto di futuro che vogliamo costruire.

Riqualificazione vuol dire prestare attenzione a quel che c’è

Se definiamo le scelte di piano guardando prioritariamente alla domanda sociale e ai vantaggi collettivi, non sarà difficile rendersi conto che all’interno del territorio urbano vi sono ampi spazi per soddisfare le esigenze presenti e quelle del prossimo futuro. Se consideriamo il territorio e la città come un bene comune e non come una riserva di caccia per gli investimenti immobiliari, ci renderemo conto che la crescita infinita – tanto verso l’esterno, quanto verso l’alto – è priva di giustificazioni. A valle di un secolo in cui si è costruito molto, e non di rado molto male, è necessario occuparsi prioritariamente di quello che già c’è. Le occasioni di intervento non mancano: molte aree hanno perso l’originaria funzione e possono essere trasformate, interi segmenti delle periferie necessitano di interventi diffusi sugli edifici e sugli spazi scoperti, molte aree interstiziali e di frangia, se ripensate e riprogettate, possono costituire altrettante “occasioni di socialità”.

Sfide di oggi e per il domani

La crisi attuale ha interrotto bruscamente il formidabile ciclo edilizio cominciato agli inizi degli anni novanta. Tutto è cambiato: gli scenari demografici e quelli economici, per quanto possiamo capire in questa fase di repentino cambiamento, indicano che non sussistono i presupposti per una nuova fase espansiva. Proseguire sulla stessa strada è quindi dannoso e inutile. Nell’immediato, occorre ripensare profondamente l’azione pubblica. Il federalismo e il trasferimento agli enti locali dei beni demaniali sono il primo banco di prova per quelle amministrazioni locali che non vogliono farsi complici del saccheggio dei beni comuni e riaffermare il diritto ad una città pensata dagli abitanti in funzione delle esigenze di tutti.

La sfida per il domani riguarda un ripensamento complessivo dell’economia e delle forme di insediamento sul territorio che ne sono la concretizzazione materiale. Oggi, ad un’economia distorta e a disuguaglianze sociali crescenti corrisponde un assetto territoriale scriteriato, tanto disorganizzato quanto squilibrato, tanto caotico quanto iniquo. Arrestare l’espansione informe della città significa, in fin dei conti, compiere il primo passo per sottrarsi a questa deriva.


note
(1) Immigrazione, nuove famiglie, desiderio di cambiare casa o città, ristrutturazione del commercio, della produzione e dei servizi hanno alimentato il mercato edilizio.
(2) Abolizione dell’equo canone e liberalizzazione dei canoni di locazione, scudo fiscale, dismissione dei patrimoni immobiliari pubblici, condono edilizio, “piano-casa”. Del tutto coerenti con questa impostazione sono – inoltre – le politiche di contenimento della spesa pubblica degli enti locali, congegnate in modo tale da indurre gli enti locali ad agevolare gli investimenti immobiliari.