Grazie per questa ulteriore informazione, e grazie
per l'articolo.
Sono queste informazioni che ci rendono
concreti il senso dei megaprogetti. L'accumulazione capitalistica non
viene fatta soltanto sulla pelle dei lavoratori ma anche distruggendo
l'unico capitale, quella naturale,
che poteva salvarci...
ma oramai, credo, sia tardi..
Tuula Haapiainen
----- Original Message -----
Sent: Monday, March 23, 2009 11:08
AM
Subject: Re: appennino i torrenti
inghiottiti dalla tav
L'articolo è ben fatto. Arriva con almeno 2 anni di ritardo. La
Repubblica ha in passato difeso la costruzione dei tunnel AV senza dare spazio
a chi contestava il progetto, come l'associazione Idra o i comitati del
Mugello. Adesso un tunnel di 7 km si vorrebbe costruire sotto Firenze, con
la stessa superficialità che ha caratterizzato la linea ferroviaria sotto
l'Appennino. Immaginate crolli e cedimenti strutturali simili a quelli del
Mugello sotto i quartieri di una città? Il Comitato fiorentino di cui
faccio parte sta cercando di opporsi all'opera faraonica. Parlando di
"economia" queste grandi opere sono profonde stilettate alla struttura sociale
ed economica del paese. Oltre i danni ambientali (che garantiscono ai
danneggiatori ulteriori guadagni per rimediare i danni fatti) un fiume di
risorse economiche va dalle casse pubbliche nei cc di tutti i più grandi
gruppi finanziari italiani. A Firenze, per il tunnel sotto la città, capofila
è Coopsette, una "cooperativa rossa" emiliana, ma nei subappalti sono invitati
tutti, anche le ditte mafiose. Un saluto dalla Firenze
trapanata TC
ANDREA AGOSTINI ha scritto:
da repubblica.it
22 marzo 2009
LA STORIA Appennino, i
torrenti inghiottiti dagli scavi dell'Alta
velocità Viaggio nel Mugello dove il sistema
idrico è stato distrutto e le falde sono precipitate di centinaia di metri.
Dove un tempo proliferavano trote, gamberi e vegetazione protetta ora ci
sono solo profondi canyon
PAOLO RUMIZ
SAN PIERO A SIEVE - Non servono
sismografi per capire dove passa il tunnel dalla Tav tra Bologna e Firenze.
Basta seguire una traccia di foreste rinsecchite, alvei vuoti, macerie.
Persino i cinghiali rifiutano di vivere lassù. Sopra la "grande opera"
esiste una scia di "grandi disastri" che la segnala fedelmente.
L'abbiamo percorsa, verso Nord, e per capire ci è bastata la parte
toscana. Il Mugello, snodo cruciale dello scavalco appenninico. I danni li
hanno appena quantificati i giudici: 150 milioni di euro solo per lo
smaltimento abusivo dei terreni di scavo. Poi vengono i cantieri
abbandonati, le cave e le frane.
Il peggio è il sistema idrico
distrutto: per ripagarlo non basterebbe una mezza finanziaria. Fra 750
milioni e un miliardo 200 milioni, per ventidue minuti di viaggio in meno.
Spariti o quasi 81 torrenti, 37 sorgenti, 30 pozzi, 5 acquedotti: in tutto
100 chilometri di corsi d'acqua.
Ma le cifre non sono niente. Per
farsi un'idea bisogna sentire il tanfo polveroso della montagna morta.
Rifare i sentieri della Linea Gotica, tra i rovi, come in guerra. Solo che
stavolta i danni non li hanno fatti i generali ma gli ingegneri, che possono
essere peggio. Le ferite delle bombe si rimarginano. Queste restano per
sempre. Siete avvertiti: non siamo di fronte a un evento naturale, ma a
qualcosa di biblico.
Tace la valle del torrente Carzola. Niente più
uccelli. La falda è precipitata di trecento metri e la montagna è sotto choc
idrico. Ha piovuto tutto l'inverno, ma le conifere sono morte, le querce
moribonde. C'erano salmoni, trote, gamberi: ora più nulla. Un catastrofe
come il Vajont, ma alla rovescia
Polvere, silenzio. Nel canyon si
spalanca una finestra di servizio. È sguarnita, potrebbero entrarci uomini e
bestie. Cento metri sotto, il tunnel che ha inghiottito tutto. I tecnici
ricordano quando avvenne. Esplose un getto da 400 litri al secondo a tredici
atmosfere. Da allora, anche se in superficie la valle scende a Nord, le
falde scaricano a Sud, verso Firenze. E del Mugello a secco chi se ne frega.
Paolo Chiarini, 30 anni, ingegnere ambientale, è cresciuto sui fiumi
e, quando il Carza sparì di colpo un giorno di febbraio di 11 anni fa, fu il
primo ad accorgersene. Corse in Comune ad avvertire, ma gli risposero
giulivi: "Per forza, non è nevicato". Capì subito che l'unica acqua che
interessava gli italiani era quella del rubinetto, e fece l'unica scelta
possibile: combattere da solo.
Da allora Paolo ha battuto ogni
rigagnolo e raccolto dati. Oggi ci fa da guida su questa strada partigiana.
A Campomigliaio c'era la piscina naturale dei fiorentini. Poi è arrivata la
talpa maledetta che ha "impattato" la falda e oggi sul greto resta solo un
ridicolo cartello "Divieto pesca" e, a monte, uno scolo fognario a secco.
Il Carlone era il paradiso dei pescatori. Oggi è ingombro di
bungalow dai vetri rotti, rottami, tubi, cisterne, caterpillar arrugginiti.
Su un muro, la scritta "Ciao, è stato bello". Sotto, un torrente in agonia.
Ma a monte è peggio. Una strada bianca in mezzo a una foresta sbiadita,
fiancheggiata dai tubi che fino a ieri hanno pompato acqua per tenere in
vita il torrente. Una finzione.
Sopra, una montagna di rocce intrise
di asfalto collante, oli e bitumi. Quando piove, la morchia scola sulla
vasca di captazione del comune di Vaglia, che raccoglie la poca acqua.
Purissima, era, da imbottigliare senza filtro. Tutto quel materiale poteva
essere reimpiegato nel tunnel, come in Svizzera nella galleria del Gottardo.
Qui invece s'è portato tutto in superficie. E nel buco hanno portato ghiaia
fresca, aprendo decine di cave inutili sul monte. Ecco perché la Tav è
costata il quintuplo del previsto.
A San Piero a Sieve la ferrovia
veloce esce a palla di fucile e s'infila sotto l'autodromo del Mugello.
Siamo nel cuore della conca, l'Appennino perde asprezza, l'orrore diventa
bucolico. Tra le fattorie il torrente Bagnone è scomparso. Poco in là, anche
il Bosso. Nove anni fa le sorgenti saltarono tutte assieme, ricorda
l'avvocato Marco Rossi che segue le cause civili. "Quando sparì il torrente
la gente pensò che sarebbe tornato. Invece non tornò. Finita. Arrivarono le
autobotti. Poi il disseccamento salì fino a Farfereto e Striano".
A
Sergio Pietracito hanno fatto di tutto. Gli hanno tolto l'acqua per gli
animali, fatto franare il bosco, aperto crepe in casa, semidistrutto i
frutteti con le polveri, terremotato il sonno con esplosioni, ventole al
massimo, bip di cicalini, fischio di allarmi, rombo di tir in retromarcia.
Poi, a cantiere chiuso, gli hanno ripristinato i terreni con zolle miste a
cemento, plastica e ferri arrugginiti.
Pietracito ha speso 30 mila
euro in avvocati, senza aiuto degli enti locali. L'italiano è solo davanti
al potente. Lui non molla, ma molti altri sono stanchi. Sanno che, più dei
danni, sono i processi a mangiarti la vita. Finisce che sei tu a dover
pagare. La politica cala le brache: è già tanto se i sindaci sono riusciti a
farsi dare il tracciato della galleria.
Risaliamo verso il Giogo
della Scarperia. Ormai è un "trek" nella devastazione. Conifere moribonde,
castagni in sofferenza. Fra un mese gli animali scapperanno anche da qui. A
Lugo hanno visto "i caprioli scendere a valle per bere dai sottovasi dei
giardini". Non era mai successo prima del 2006, quando la Tav ha smesso di
pompare acqua "finta" in quota.
Dopo il crinale, il versante del
Santerno ci sbatte davanti l'ultimo sacrilegio. Sul lato della Sieve avevamo
censito pozzi defunti col nome di santi e beati. Qui, nell'abbazia di
Moscheta, succede di peggio. Hanno rubato l'acqua santa. La pieve, per
riempire il suo secolare abbeveratoio rimasto a secco, deve farsi sparare
acqua da Fiorenzuola. Sempre per quei maledetti ventidue minuti.
Oltre si spalanca un abisso dantesco, il canyon chiamato Inferno.
Era il top del Mugello, segnato su tutte le guide. Trote, gamberi, muschi.
Sopra, il sentiero dove un tempo Dino Campana andava a Firenze incontrando
bande di musicanti e pescatori di fiume. Oggi si cammina a secco tra massi
enormi e smerigliati, segno della sacra potenza uccisa dall'uomo. Chi
pagherà tutto questo? Quale nazione chiederà il conto?
Il fiume
infernale si butta nel Santerno, dove s'apre il cratere della colossale
stazione intermedia della Tav. Intorno, la devastazione. Novanta cave.
Novanta cicatrici. Ed è solo il preludio dell'ultima è più spaventosa
ferita. La più lontana, la meno visibile. La condanna, esecuzione e morte
del torrente Diaterna, con la doppia sorgente biforcuta sotto il Sasso di
San Zanobi.
Ora si procede solo a piedi, tra ghiaie terribili, guadi
algerini, qui nell'Italia di mezzo a fine inverno. Tre anni fa Chiarini vide
e fotografò vasche piene di pesci putrefatti. Da allora è morte biologica.
Querce cadute, polvere, vento, lucertole. Sotto, la galleria spara la sua
traiettoria in un fondale umido carico di bitumi. Qui sopra, il biancore
abbacinante di un greto. La frazione di Castelvecchio - sopra l'ultima
finestra della Tav in terra toscana - ha perso il suo acquedotto nel '98.
Ora vorrebbero costruire un invaso per compensare lo scippo.
Ma per
metterci quale acqua? Con quale canalizzazione? Cementificando gli impluvi?
Ricoprendoli di resine? Coprendo lo scempio con uno scempio ulteriore? La
parola catastrofe non basta. Il viaggio è finito. "Cosa ci riserva il
futuro Dio solo sa" brontola Piera Ballabio, della Comunità montana del
Mugello. "Con la nuova legge sulle grandi opere, i Comuni avranno ancora
meno voce in capitolo. Siamo vicini a una militarizzazione del territorio.
Alla faccia del federalismo".
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