L'articolo è ben fatto. Arriva con almeno 2 anni di ritardo. La
Repubblica ha in passato difeso la costruzione dei tunnel AV senza dare
spazio a chi contestava il progetto, come l'associazione Idra o i
comitati del Mugello.
Adesso un tunnel di 7 km si vorrebbe costruire sotto Firenze, con la
stessa superficialità che ha caratterizzato la linea ferroviaria sotto
l'Appennino. Immaginate crolli e cedimenti strutturali simili a quelli
del Mugello sotto i quartieri di una città?
Il Comitato fiorentino di cui faccio parte sta cercando di opporsi
all'opera faraonica.
Parlando di "economia" queste grandi opere sono profonde stilettate
alla struttura sociale ed economica del paese. Oltre i danni ambientali
(che garantiscono ai danneggiatori ulteriori guadagni per rimediare i
danni fatti) un fiume di risorse economiche va dalle casse pubbliche
nei cc di tutti i più grandi gruppi finanziari italiani. A Firenze, per
il tunnel sotto la città, capofila è Coopsette, una "cooperativa rossa"
emiliana, ma nei subappalti sono invitati tutti, anche le ditte mafiose.
Un saluto dalla Firenze trapanata
TC
ANDREA AGOSTINI ha scritto:
da repubblica.it
22 marzo 2009
LA STORIA
Appennino, i torrenti inghiottiti dagli
scavi dell'Alta velocità
Viaggio nel Mugello dove il sistema idrico è stato distrutto
e le falde sono precipitate di centinaia di metri. Dove un tempo
proliferavano trote, gamberi e vegetazione protetta ora ci sono solo
profondi canyon
PAOLO RUMIZ
SAN PIERO A SIEVE - Non servono sismografi per capire dove passa il
tunnel dalla Tav tra Bologna e Firenze. Basta seguire una traccia di
foreste rinsecchite, alvei vuoti, macerie. Persino i cinghiali
rifiutano di vivere lassù. Sopra la "grande opera" esiste una scia di
"grandi disastri" che la segnala fedelmente.
L'abbiamo percorsa, verso Nord, e per capire ci è bastata la parte
toscana. Il Mugello, snodo cruciale dello scavalco appenninico. I danni
li hanno appena quantificati i giudici: 150 milioni di euro solo per lo
smaltimento abusivo dei terreni di scavo. Poi vengono i cantieri
abbandonati, le cave e le frane.
Il peggio è il sistema idrico distrutto: per ripagarlo non basterebbe
una mezza finanziaria. Fra 750 milioni e un miliardo 200 milioni, per
ventidue minuti di viaggio in meno. Spariti o quasi 81 torrenti, 37
sorgenti, 30 pozzi, 5 acquedotti: in tutto 100 chilometri di corsi
d'acqua.
Ma le cifre non sono niente. Per farsi un'idea bisogna sentire il tanfo
polveroso della montagna morta. Rifare i sentieri della Linea Gotica,
tra i rovi, come in guerra. Solo che stavolta i danni non li hanno
fatti i generali ma gli ingegneri, che possono essere peggio. Le ferite
delle bombe si rimarginano. Queste restano per sempre. Siete avvertiti:
non siamo di fronte a un evento naturale, ma a qualcosa di biblico.
Tace la valle del torrente Carzola. Niente più uccelli. La falda è
precipitata di trecento metri e la montagna è sotto choc idrico. Ha
piovuto tutto l'inverno, ma le conifere sono morte, le querce
moribonde. C'erano salmoni, trote, gamberi: ora più nulla. Un
catastrofe come il Vajont, ma alla rovescia
Polvere, silenzio. Nel canyon si spalanca una finestra di servizio. È
sguarnita, potrebbero entrarci uomini e bestie. Cento metri sotto, il
tunnel che ha inghiottito tutto. I tecnici ricordano quando avvenne.
Esplose un getto da 400 litri al secondo a tredici atmosfere. Da
allora, anche se in superficie la valle scende a Nord, le falde
scaricano a Sud, verso Firenze. E del Mugello a secco chi se ne frega.
Paolo Chiarini, 30 anni, ingegnere ambientale, è cresciuto sui fiumi e,
quando il Carza sparì di colpo un giorno di febbraio di 11 anni fa, fu
il primo ad accorgersene. Corse in Comune ad avvertire, ma gli
risposero giulivi: "Per forza, non è nevicato". Capì subito che l'unica
acqua che interessava gli italiani era quella del rubinetto, e fece
l'unica scelta possibile: combattere da solo.
Da allora Paolo ha battuto ogni rigagnolo e raccolto dati. Oggi ci fa
da guida su questa strada partigiana. A Campomigliaio c'era la piscina
naturale dei fiorentini. Poi è arrivata la talpa maledetta che ha
"impattato" la falda e oggi sul greto resta solo un ridicolo cartello
"Divieto pesca" e, a monte, uno scolo fognario a secco.
Il Carlone era il paradiso dei pescatori. Oggi è ingombro di bungalow
dai vetri rotti, rottami, tubi, cisterne, caterpillar arrugginiti. Su
un muro, la scritta "Ciao, è stato bello". Sotto, un torrente in
agonia. Ma a monte è peggio. Una strada bianca in mezzo a una foresta
sbiadita, fiancheggiata dai tubi che fino a ieri hanno pompato acqua
per tenere in vita il torrente. Una finzione.
Sopra, una montagna di rocce intrise di asfalto collante, oli e bitumi.
Quando piove, la morchia scola sulla vasca di captazione del comune di
Vaglia, che raccoglie la poca acqua. Purissima, era, da imbottigliare
senza filtro. Tutto quel materiale poteva essere reimpiegato nel
tunnel, come in Svizzera nella galleria del Gottardo. Qui invece s'è
portato tutto in superficie. E nel buco hanno portato ghiaia fresca,
aprendo decine di cave inutili sul monte. Ecco perché la Tav è costata
il quintuplo del previsto.
A San Piero a Sieve la ferrovia veloce esce a palla di fucile e
s'infila sotto l'autodromo del Mugello. Siamo nel cuore della conca,
l'Appennino perde asprezza, l'orrore diventa bucolico. Tra le fattorie
il torrente Bagnone è scomparso. Poco in là, anche il Bosso. Nove anni
fa le sorgenti saltarono tutte assieme, ricorda l'avvocato Marco Rossi
che segue le cause civili. "Quando sparì il torrente la gente pensò che
sarebbe tornato. Invece non tornò. Finita. Arrivarono le autobotti. Poi
il disseccamento salì fino a Farfereto e Striano".
A Sergio Pietracito hanno fatto di tutto. Gli hanno tolto l'acqua per
gli animali, fatto franare il bosco, aperto crepe in casa,
semidistrutto i frutteti con le polveri, terremotato il sonno con
esplosioni, ventole al massimo, bip di cicalini, fischio di allarmi,
rombo di tir in retromarcia. Poi, a cantiere chiuso, gli hanno
ripristinato i terreni con zolle miste a cemento, plastica e ferri
arrugginiti.
Pietracito ha speso 30 mila euro in avvocati, senza aiuto degli enti
locali. L'italiano è solo davanti al potente. Lui non molla, ma molti
altri sono stanchi. Sanno che, più dei danni, sono i processi a
mangiarti la vita. Finisce che sei tu a dover pagare. La politica cala
le brache: è già tanto se i sindaci sono riusciti a farsi dare il
tracciato della galleria.
Risaliamo verso il Giogo della Scarperia. Ormai è un "trek" nella
devastazione. Conifere moribonde, castagni in sofferenza. Fra un mese
gli animali scapperanno anche da qui. A Lugo hanno visto "i caprioli
scendere a valle per bere dai sottovasi dei giardini". Non era mai
successo prima del 2006, quando la Tav ha smesso di pompare acqua
"finta" in quota.
Dopo il crinale, il versante del Santerno ci sbatte davanti l'ultimo
sacrilegio. Sul lato della Sieve avevamo censito pozzi defunti col nome
di santi e beati. Qui, nell'abbazia di Moscheta, succede di peggio.
Hanno rubato l'acqua santa. La pieve, per riempire il suo secolare
abbeveratoio rimasto a secco, deve farsi sparare acqua da Fiorenzuola.
Sempre per quei maledetti ventidue minuti.
Oltre si spalanca un abisso dantesco, il canyon chiamato Inferno. Era
il top del Mugello, segnato su tutte le guide. Trote, gamberi, muschi.
Sopra, il sentiero dove un tempo Dino Campana andava a Firenze
incontrando bande di musicanti e pescatori di fiume. Oggi si cammina a
secco tra massi enormi e smerigliati, segno della sacra potenza uccisa
dall'uomo. Chi pagherà tutto questo? Quale nazione chiederà il conto?
Il fiume infernale si butta nel Santerno, dove s'apre il cratere della
colossale stazione intermedia della Tav. Intorno, la devastazione.
Novanta cave. Novanta cicatrici. Ed è solo il preludio dell'ultima è
più spaventosa ferita. La più lontana, la meno visibile. La condanna,
esecuzione e morte del torrente Diaterna, con la doppia sorgente
biforcuta sotto il Sasso di San Zanobi.
Ora si procede solo a piedi, tra ghiaie terribili, guadi algerini, qui
nell'Italia di mezzo a fine inverno. Tre anni fa Chiarini vide e
fotografò vasche piene di pesci putrefatti. Da allora è morte
biologica. Querce cadute, polvere, vento, lucertole. Sotto, la galleria
spara la sua traiettoria in un fondale umido carico di bitumi. Qui
sopra, il biancore abbacinante di un greto. La frazione di
Castelvecchio - sopra l'ultima finestra della Tav in terra toscana - ha
perso il suo acquedotto nel '98. Ora vorrebbero costruire un invaso per
compensare lo scippo.
Ma per metterci quale acqua? Con quale canalizzazione? Cementificando
gli impluvi? Ricoprendoli di resine? Coprendo lo scempio con uno
scempio ulteriore? La parola catastrofe non basta.
Il viaggio è finito. "Cosa ci riserva il futuro Dio solo sa" brontola
Piera Ballabio, della Comunità montana del Mugello. "Con la nuova legge
sulle grandi opere, i Comuni avranno ancora meno voce in capitolo.
Siamo vicini a una militarizzazione del territorio. Alla faccia del
federalismo".
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