come praticare la sostenibilità



da greenreport.it 
06/03/2009
 
Praticare la sostenibilità: verso un target pro capite di risorse?
Alcuni prestigiosi istituti di ricerca, come il Factor 10 Institute, fondato da Friderick Schmidt-Bleek, uno dei grandi pionieri delle ricerche sui flussi di materia, hanno organizzato uno straordinario World Resources Forum che avrà luogo a Davos nel settembre prossimo con le puntuali proposte di target pro capite di risorse da raggiungere entro il 2050
 
ROMA. Nonostante la gravissima crisi finanziaria ed economica che stiamo attraversando e nonostante gli straordinari progressi che sono stati fatti per individuare nuovi indicatori di benessere e ricchezza (anche nelle sedi istituzionali più autorevoli, come quelle delle Nazioni Unite) il progresso economico e la ricchezza nazionale sono ancora misurati con il Prodotto Interno Lordo. Le politiche economiche mirano tuttora ad incrementare la produttività del lavoro ed il volume di produzione. Ma moltissimi fattori che costituiscono la “ricchezza reale” stanno invece progressivamente declinando.

Il noto economista e premio Nobel, Joseph Stiglitz, in un suo libro dal titolo La globalizzazione che funziona (Edizioni Einaudi, 2006) scrive: «Nel lungo periodo, il mondo deve affrontare la difficilissima sfida della sostenibilità ambientale. Dieci anni fa erano solo gli attivisti e gli esperti a nutrire preoccupazioni in merito all’ambiente e alla globalizzazione. Oggi, questi temi sono pressoché universali. Se non troveremo un modo per limitare i danni ambientali, per risparmiare energia e conservare le altre risorse naturali, oltre che per rallentare il riscaldamento del pianeta, siamo destinati al disastro. Il riscaldamento globale è ormai un problema che investe tutti. I risultati positivi legati allo sviluppo, specialmente in India e in Cina, hanno fornito a questi paesi i mezzi per aumentare il consumo di energia, ma l’ambiente che ci circonda non è in grado di sostenere questo impatto. Si profilano all’orizzonte gravi problemi se tutti cominceranno a emettere gas serra al ritmo che gli Stati Uniti tengono ormai da anni. La buona notizia è che a questo punto se ne sono resi conto quasi tutti, tranne qualcuno a Washington, ma cambiare gli stili di vita non sarà certo facile».

Anche un altro noto economista, Jeffrey Sachs, direttore dell’Earth Institute della Columbia University e special adviser del Segretario Generale delle Nazioni Unite sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, ricorda nel suo ultimo libro Common Wealth. Economics for a Crowded Placet, (pubblicato da Allen Lane nel 2008) che, con una popolazione in crescita entro il 2050 come indicato da tutte le previsioni delle Nazioni Unite (che potrebbe oltrepassare i 9 miliardi di abitanti mentre oggi siamo 6,7 miliardi), il prodotto globale lordo in quell’anno potrebbe essere di 420.000 miliardi di dollari. La domanda che sorge spontanea è come sia veramente possibile che si possa continuare su questa strada senza creare una situazione di preoccupante collasso della nostra civiltà rispetto alla capacità dei sistemi naturali della nostra Terra di mantenerci.

Nelle pagine del suo volume sullo stato stazionario, pubblicato nel 1977 (Lo stato stazionario Sansoni editore), il grande bioeconomista Herman Daly scrisse: «Sebbene molti discutano se un’ulteriore crescita demografica sia desiderabile, pochissimi mettono in discussione la desiderabilità o la possibilità di un’ulteriore crescita economica. In verità, la crescita economica è l’obbiettivo più universalmente accettato nel mondo. Capitalisti, comunisti, fascisti, socialisti vogliono tutti la crescita economica e si sforzano di renderla massima. Il sistema che cresce al tasso più alto è considerato il migliore. Il fascino della crescita è che su di essa si fonda la potenza della nazione e rappresenta un’alternativa alla ridistribuzione come mezzo per combattere la povertà. (…) Se si intendesse aiutare seriamente il povero, si dovrebbe fronteggiare il problema morale della ridistribuzione e cessare di nasconderlo dietro la crescita globale».

Nel 2006 il Sustainable Europe Research Institute (SERI), insieme ad altri prestigiosi istituti scientifici, ha contribuito notevolmente alle ricerche sul metabolismo delle nostre società rendendo noto i dati sui flussi di materia a livello mondiale derivanti dalle più recenti ricerche (vedasi il sito http://www.materialflows.net) molte delle quali dovute al progetto europeo MOSUS (Modelling opportunities and limits for restructuring Europe towards sustainability).

Il consumo mondiale di risorse naturali come il petrolio, il carbone, i metalli, i materiali da costruzione ed i prodotti dell’agricoltura e della selvicoltura è aumentato anno dopo anno. La quantità annuale di risorse estratte dagli ecosistemi del mondo è cresciuta dai 40 ai quasi 60 miliardi di tonnellate annue dal 1980 al 2006, un incremento di un terzo in soli 22 anni.

Nello stesso tempo il progresso tecnologico ha consentito una maggiore efficienza della produzione. Rispetto al 1980 oggi, mediamente, si utilizza un 25% in meno di risorse naturali per produrre un’ unità di valore economico.

Nonostante ciò, essendo l’economia mondiale cresciuta nello stesso periodo dell’82%, questo guadagno di efficienza viene, di fatto, sorpassato dalle dimensioni e dall’incremento complessivi della produzione e del consumo.

Gli scenari futuri dimostrano ulteriori preoccupanti livelli di crescita. Gli studiosi stimano un’estrazione di risorse per 80 miliardi di tonnellate per il 2020, e sembra superfluo ricordare che oggi, gli abitanti in Africa consumano almeno dieci volte di meno degli abitanti nei paesi industrializzati. E’ evidente quanto sia oggi straordinariamente necessario un negoziato globale sui target mondiali di consumo delle risorse.

Alcuni prestigiosi istituti di ricerca, come il Factor 10 Institute, fondato da Friderick Schmidt-Bleek, uno dei grandi pionieri delle ricerche sui flussi di materia, stanno operando in questo senso ed hanno organizzato uno straordinario World Resources Forum che avrà luogo a Davos nel settembre prossimo con le puntuali proposte di target pro capite di risorse da raggiungere entro il 2050. Se si avviasse un negoziato di questo tipo (del quale quello sul clima è senz’altro un primo esempio concreto, con l’indicazione di target specifici di riduzione delle emissioni di gas serra) i vari paesi del mondo potrebbero avere il tempo concreto per mettere in pratica le politiche necessarie a raggiungere tali target.