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Il fallimento del neoliberismo
- Subject: Il fallimento del neoliberismo
- From: "italo disabato" <italo.disabato at rifondazione.it>
- Date: Fri, 10 Oct 2008 09:06:21 +0200
IL FALLIMENTO DEL NEOLIBERISMO La tanto temuta crisi dei mercati finanziari è dunque giunta fino alla Vecchia Europa. Ieri i listini delle borse, da Francoforte a Londra, da Parigi a Milano, hanno fatto registrare cali record di quasi dieci punti percentuali. A niente sono servite le rassicurazioni della BCE e le dichiarazioni degli ingessati capi di Stato europei dei giorni scorsi, il trend negativo, la sfiducia, si è espansa a macchia d'olio tra gli operatori finanziari, segno inequivocabile che qualcosa di marcio sta bollendo nel pentolone della finanza globalizzata e del tanto strombazzato neoliberismo deregolato e deregolatore. Adesso voglio vedere se fra i coriferi del capitalismo a qualunque costo - umano, sociale, etico - ci sarà qualcuno che avrà l'onestà di dire che questa idea di società è miseramente fallita così com'era successo nell'89 al comunismo, e che quello che sta succedendo negli Stati Uniti a banche e assicurazioni, che stanno trascinando nel baratro pensioni e risparmi di milioni di cittadini, è per l'Occidente uno sconquasso della stessa drammatica intensità della caduta del muro di Berlino per il mondo che si ispirava ai principi del marxismo. Perché questa fragilità, questa corrotta ambiguità dell'economia di mercato era palese da tempo, eppure molti degli ultras del liberismo si ostinavano a sottolineare la "fine delle ideologie". Ma se scavavi tra le pieghe del discorso, scoprivi che in realtà l'unica ideologia che questi ultrà reputavano morta e da seppellire era quella comunista. E anche quando erano costretti ad ammettere che in nome del libero mercato erano stati compiuti crudeli genocidi (come in Africa o in America latina), con aria falsamente ingenua erano pronti a chiederti: "Ma cosa mi offri in cambio? Non esiste un'alternativa". E quindi si poteva mentire al mondo per fare le guerre, vendere armamenti, saccheggiare risorse, o si poteva condannare alla fame e alla miseria interi continenti, magari per difendere solo i privilegi e continuare a rapinare le ricchezze dell'umanità meno attrezzata, meno pronta ad affrontare le sfide capziose del mercato. Ci avevano detto che il liberismo era l'unica salvezza dell'umanità, un sistema che aveva una soluzione per tutto, perché comandava l'infallibile mercato e la ricetta si era rivelata indiscutibile: quando l'economia non funzionava, bastava privatizzare e tutto si sarebbe risolto. Una presa per i fondelli colossale, senza il minimo pudore, se uno come Giulio Tremonti, il ministro dell'economia di un governo come quello di Silvio Berlusconi, che le regole non le ha mai rispettate, si è subito adeguato come un burocrate sovietico: "Dalla crisi si esce con più intervento pubblico. Se il male è stato l'assenza di regole, la cura può essere solo nella costruzione di regole". Neanche un ministro democristiano dell'epoca della Cassa del mezzogiorno avrebbe potuto cambiare abito così in fretta. Avevamo dunque ragione noi, quella moltitudine di donne e uomini classificati come il popolo di Seattle ed erano nel giusto noi che a Genova, nel 2001, protestavamo contro il potere mercatista del G8 subendo una violenta e brutale repressione; sembra almeno questa la conclusione alla quale sono giunti il presidente Usa George Bush, liberista pentito trasformatosi in un batter di ciglia nel nuovo Roosvelt, e i suoi accoliti (Sarkozy, Berlusconi e Merkel). I fautori del mercato sopra a tutto si sono accorti, forse troppo tardi, di stare scherzando col fuoco del crack finanziario globale. Eliminazione del potere centralizzatore degli Stati e carta bianca consegnata agli stregoni della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, una razza di predatori e di sciacalli che, in pochi anni, è riuscita a fare strazio delle risorse finanziarie globali. Guadagnare subito e guadagnare il più possibile in barba alla solidarietà e ad un funzionale e conveniente sistema di welfare pubblico, il risultato è sotto gli occhi di tutti: una crisi del capitalismo dalle conseguenze ancora ignote, anche se gli "esperti" si ostinano a negare per evitare un disastroso "effetto Argentina". La verità è che siamo in una crisi probabilmente peggiore di quella del 1929, che portò ad approvare legislazioni molto severe per regolamentare gli eccessi della finanza, regole che sono state progressivamente smantellate nel corso degli ultimi 30 anni, sull'onda del pensiero neoliberista che postulava un sempre minore intervento dello Stato nelle questioni economiche e la capacità dei mercati di autoregolamentarsi. Anche a seguito degli ultimi interventi pubblici in soccorso della finanza, sarebbe il caso di ammettere una volta per tutte che la fase politico-economica neoliberista si è chiusa con un solenne fallimento. E' ora di voltare pagina e di rivedere alla base la governance internazionale e i meccanismi di controllo, vigilanza e regolamentazione dei mercati finanziari. Se è probabilmente troppo tardi per evitare gli effetti peggiori di questa crisi, è l'unica strada possibile per evitare di ripartire come se nulla fosse successo, navigando a vista in attesa della prossima tempesta. Italo Di Sabato <http://www.italodisabato.org/>www.italodisabato.org
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