Il fallimento del neoliberismo



IL FALLIMENTO DEL NEOLIBERISMO



La tanto temuta crisi dei mercati finanziari è dunque giunta fino alla
Vecchia Europa. Ieri i listini delle borse, da Francoforte a Londra, da
Parigi a Milano, hanno fatto registrare cali record di quasi dieci punti
percentuali. A niente sono servite le rassicurazioni della BCE e le
dichiarazioni degli ingessati capi di Stato europei dei giorni scorsi, il
trend negativo, la sfiducia, si è espansa a macchia d'olio tra gli
operatori finanziari, segno inequivocabile che qualcosa di marcio sta
bollendo nel pentolone della finanza globalizzata e del tanto strombazzato
neoliberismo deregolato e deregolatore.

Adesso voglio vedere se fra i coriferi del capitalismo a qualunque costo -
umano, sociale, etico - ci sarà qualcuno che avrà l'onestà di dire che
questa idea di società è miseramente fallita così com'era successo nell'89
al comunismo, e che quello che sta succedendo negli Stati Uniti a banche e
assicurazioni, che stanno trascinando nel baratro pensioni e risparmi di
milioni di cittadini, è per l'Occidente uno sconquasso della stessa
drammatica intensità della caduta del muro di Berlino per il mondo che si
ispirava ai principi del marxismo.

Perché questa fragilità, questa corrotta ambiguità dell'economia di mercato
era palese da tempo, eppure molti degli ultras del liberismo si ostinavano
a sottolineare la "fine delle ideologie". Ma se scavavi tra le pieghe del
discorso, scoprivi che in realtà l'unica ideologia che questi ultrà
reputavano morta e da seppellire era quella comunista. E anche quando erano
costretti ad ammettere che in nome del libero mercato erano stati compiuti
crudeli genocidi (come in Africa o in America latina), con aria falsamente
ingenua erano pronti a chiederti: "Ma cosa mi offri in cambio? Non esiste
un'alternativa". E quindi si poteva mentire al mondo per fare le guerre,
vendere armamenti, saccheggiare risorse, o si poteva condannare alla fame e
alla miseria interi continenti, magari per difendere solo i privilegi e
continuare a rapinare le ricchezze dell'umanità meno attrezzata, meno
pronta ad affrontare le sfide capziose del mercato.

Ci avevano detto che il liberismo era l'unica salvezza dell'umanità, un
sistema che aveva una soluzione per tutto, perché comandava l'infallibile
mercato e la ricetta si era rivelata indiscutibile: quando l'economia non
funzionava, bastava privatizzare e tutto si sarebbe risolto.

Una presa per i fondelli colossale, senza il minimo pudore, se uno come
Giulio Tremonti, il ministro dell'economia di un governo come quello di
Silvio Berlusconi, che le regole non le ha mai rispettate, si è subito
adeguato come un burocrate sovietico: "Dalla crisi si esce con più
intervento pubblico. Se il male è stato l'assenza di regole, la cura può
essere solo nella costruzione di regole". Neanche un ministro democristiano
dell'epoca della Cassa del mezzogiorno avrebbe potuto cambiare abito così
in fretta. Avevamo dunque ragione noi, quella moltitudine di donne e uomini
classificati come il popolo di Seattle ed erano nel giusto noi che a
Genova, nel 2001, protestavamo contro il potere mercatista del G8 subendo
una violenta e brutale repressione; sembra almeno questa la conclusione
alla quale sono giunti il presidente Usa George Bush, liberista pentito
trasformatosi in un batter di ciglia nel nuovo Roosvelt, e i suoi accoliti
(Sarkozy, Berlusconi e Merkel). I fautori del mercato sopra a tutto si sono
accorti, forse troppo tardi, di stare scherzando col fuoco del crack
finanziario globale. Eliminazione del potere centralizzatore degli Stati e
carta bianca consegnata agli stregoni della Banca Mondiale e del Fondo
Monetario Internazionale, una razza di predatori e di sciacalli che, in
pochi anni, è riuscita a fare strazio delle  risorse finanziarie globali.
Guadagnare subito e guadagnare il più possibile in barba alla solidarietà e
ad un funzionale e conveniente sistema di welfare pubblico, il risultato è
sotto gli occhi di tutti: una crisi del capitalismo dalle conseguenze
ancora ignote, anche se gli "esperti" si ostinano a negare per evitare un
disastroso "effetto Argentina".

La verità è che siamo in una crisi probabilmente peggiore di quella del
1929, che portò ad approvare legislazioni molto severe per regolamentare
gli eccessi della finanza, regole che sono state progressivamente
smantellate nel corso degli ultimi 30 anni, sull'onda del pensiero
neoliberista che postulava un sempre minore intervento dello Stato nelle
questioni economiche e la capacità dei mercati di autoregolamentarsi.
Anche a seguito degli ultimi interventi pubblici in soccorso della finanza,
sarebbe il caso di ammettere una volta per tutte che la fase
politico-economica neoliberista si è chiusa con un solenne fallimento. E'
ora di voltare pagina e di rivedere alla base la governance internazionale
e i meccanismi di controllo, vigilanza e regolamentazione dei mercati
finanziari. Se è probabilmente troppo tardi per evitare gli effetti
peggiori di questa crisi, è l'unica strada possibile per evitare di
ripartire come se nulla fosse successo, navigando a vista in attesa della
prossima tempesta.



Italo Di Sabato


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