riduciamo le mistecche e la terra ci ringraziera'



da TuttoScienze
LA STAMPA
mercoledì24 settembre 2008
Il contro-summit di Venezia
DAL CIBO AVVELENATO ALL'AGRICOLTURA ECO-COMPATIBILE
Riduciamo le bistecche e la Terra ci ringrazierà

I sacrifici da fare subito: gli europei devono rinunciare a 15 chili di carne a testa l'anno Solo così si ridurrà il tremendo inquinamento degli allevamenti, dai pesticidi ai gas serra

Il compito base dell'agricoltura nei Paesi avanzati non è coltivare cibo per gli uomini, ma per nutrire gli animali.
Il 60% di tutti i raccolti in Nord America e in Europa è destinato, infatti, agli allevamenti. Ma gli animali, specialmente quelli di maggiore taglia, sono «convertitori» poco efficienti dell'energia contenuta nella carne che mangiamo. Intanto, il consumo di carne pro capite nei Paesi avanzati continua a crescere (in Italia è tre volte i livelli del 1960 e in Spagna è del 40% più elevato che in Germania), anche se i sussidi agli agricoltori e il degrado ambientale vanno a braccetto e stanno raggiungendo valori record. Questo modello, quindi, non può reggere e uno dei modi più efficaci per trasformarlo è cambiare le nostre abitudini a tavola.
Le migliori statistiche sul grado di efficienza raggiunto nell'alimentazione degli animali sono quelle del dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti: mostrano che anche il metodo più avanzato per produrre carne - vale a dire il pollame nutrito con una dieta bilanciata (e in perfette condizioni climatiche) -ha bisogno di 2,2 chili di cibo per ottenere un chilo
utilizzabile. Il 55% della massa di un pollo è commestibile e, perciò, ci vogliono quattro chili di cibo per ricavare un chilo di carne. L'alimentazione, di solito, è un misto di mais (la    principale
fonte di carboidrati) e di soia (per le proteine) e, sfruttando la tecnica più diffusa di fertilizzazione e di coltivazione, questi quattro chili necessitano di 50 grammi di azoto sintetico e di almeno 4 mila litri di acqua.
Lo stesso calcolo può essere fatto per i maiali: in questo caso ci vogliono 10 chili di cibo per ogni chilo di carne, oltre a 125 grammi di azoto e almeno 10 mila litri di acqua. Le medie per i bovini, invece, sono più difficili da calcolare, perché alcuni animali sono nutriti esclusivamente con erba, mentre altri sono allevati con varie combinazioni di mangimi, più erba o fieno: il minimo richiesto è di 15 chili di cibo per un chilo di carne, 200 grammi di azoto e 15 mila litri d'acqua per ogni chilo di carne che arriva in tavola.
Il consumo pro capite di carne è oggi di circa 85 chili all'anno negli Usa e di 65 nell'Ue. Si tratta di livelli di molto superiori a qualsiasi logica esigenza nutrizionale di proteine animali di alta qualità: non danno alcun vantaggio per la salute o la longevità, se paragonati con diete solo moderatamente ricche di proteine animali. Anzi, è proprio vero l'opposto, dal momento che le attuali diete a base di carne (associate alla diminuzione dell'esercizio fisico) sono legate a una diffusione senza precedenti dell'obesità, con tutti i gravi danni alla salute che derivano. Ridurre, quindi, i consumi nell'Unione Europea (del 15%) e in Nord
America (del 25%) non soltanto non provocherebbe alcun problema nutrizionale (anche dopo una riduzione di questa portata l'apporto medio giornaliero di proteine rimarrebbe attorno ai 100 grammi pro capite, ben al di sopra dei bisogni naturali), ma non richiederebbe neanche grandi sacrifici, limitandosi a ridimensionare abitudini carnivore esacerbate.
I miei calcoli mostrano che questa riduzione del consumo pro capite - a circa 65 chili all'anno per i 340 milioni di abitanti degli Stati Uniti e del Canada e a circa 50 per i 400 milioni di abitanti dei 15 Paesi occidentali dell'Ue - eliminerebbe di colpo la necessità di coltivare 120 milioni di tonnellate di cereali destinati all'allevamento ogni anno. Di conseguenza, si consumerebbero
anche 2 milioni di tonnellate di fertilizzanti sintetici azotati in meno e 120 chilometri cubi di acqua in meno. Bastano pochi esempi per illustrare l'enormità di una simile riduzione. L'intera massa dei cereali scambiata ogni anno è di 250 milioni di tonnellate, poco più del doppio del risparmio indicato. Il taglio di due milioni di fertilizzanti azotati, poi, significa una riduzione
del 10% di prodotti
inquinanti che finiscono nell'acqua potabile a causano in tutto il mondo fenomeni di eutrofizzazione delle acque costiere, con gravi danni all'ambiente. E 120 chilometri cubi di acqua risparmiati equivalgono a tutti quelli usati in agricoltura da Italia, Francia e Gran Bretagna messe assieme.
Questi sono solo calcoli approssi-
mativi e, probabilmente, dati un po' più alti o un po' più bassi possono essere ricavati usando metodologie diverse. Ma l'ordine di grandezza non cambia: l'impatto sarebbe straordinario, soprattutto per gli equilibri ecologici. Oltre alle riduzioni citate, ci sarebbe anche un taglio dei consumi di energia e, quindi, delle emissioni di Co2, sia per la riduzione delle coltivazioni sia per il minor uso di sostanze chimiche che vanno sintetizzate in lunghi processi industriali. Ci sarebbero anche minori emissioni di No2, un potente gas serra, che deriva dall'uso di fertilizzanti nei campi. E ci sarebbero due ulteriori vantaggi a lungo termine, con importanti implicazioni finanziarie: più soldi da investire in aree che non siano quelle dei sussidi all'agricoltura e allo stesso tempo una popolazione molto più in salute.
I governi e gli esperti sono alla continua ricerca di strategie efficaci per affrontare le sfide molteplici con cui soddisfare i crescenti bisogni energetici, limitare il degrado ambientale e assicurare un'alimentazione corretta: la transizione verso quella che chiamo una «dieta razionalmente carnivora» è perciò una strategia che porta benefici di lungo termine in ognuna di queste sfide. E la tendenza non dovrebbe fermarsi a 65 o 50
chili di carne all' anno per persona: dopo tutto, nella dieta mediterranea (probabilmente la logica più sana di nutrirsi e che, purtroppo, è scomparsa sia in Italia sia in Spagna) i livelli erano di appena 20-25 chili di carne all'anno.
Adesso le probabilità di una transizione verso una dieta carnivora razionale sono piuttosto buone: una migliore informazione sull'alimentazione, la necessità impellente di abolire i sussidi all'agricoltura e di proteggere l'ambiente sono tutti fattori che favoriscono una svolta simile.
 
Ora impariamo anche a pescare di meno
Se non vogliamo dire addio ai pesci, si deve creare subito una rete di aree protette
daniel pauly
UNIVERSITYOF BRITISH COLUMBIA VANCOUVER-CANADA
Lo sfruttamento intensivo dei mari non è affatto calato, anzi. Sta ulteriormente crescendo. Così, la situazione è segnata da una serie di realtà incontrovertibili.
1. La quantità di pescato continua a scendere dalla fine degli Anni 80.
2. Le flotte sono due-tre volte più grandi di quanto è necessario per sfruttare le risorse disponibili.
3. I sussidi governativi hanno superato i 30 miliardi di dollari l'anno.
4. La biomassa dei grandi pesci è stata ridotta a un decimo rispetto agli albori della pesca industriale.
5. Il pescato è assorbito sempre più dalle nazioni ricche, riducendo le quantità per i Paesi poveri.
6. Parte crescente del pescato «piccolo» (sardine e acciughe), che è la preda standard dei grandi pesci, viene utilizzato per gli allevamenti di salmoni e tonni.
La percezione di questa crisi, tuttavia, è stata a lungo mascherata. La Fao, per esempio, si limita a compilare e a pubblicare i dati del pescato forniti dai Paesi membri. D'altra parte questa organizzazione del-l'Onu ha le sue ragioni per dipingere quello della pesca come un settore vincente. Non è un caso che combini
sempre le statistiche di quanto è stato catturato con quelle relative alle produzioni in acquacoltura. Così, dato che quest'ultimo è un business in continuo boom, soprattutto in Cina, i numeri riportano una «produzione» totale di pesce in perenne aumento. Tutto sembra procedere per il meglio, anche se non è affatto così.
A questo punto che cosa si può fare? Gli scienziati hanno suggerito varie soluzioni.
1. La creazione di aree marine protette, indispensabili per ricreare le popolazioni di pesci. Oggi, coprono appena lo 0.7% delle superfici oceaniche.
2. L'«eco-labeling»: è un sistema di controlli che prevede la tracciabilità e, quindi, permette ai consumatori di acquistare prodotti «sostenibili».
3. I sussidi: sono responsabili dell'eccesso di pesca e sono il tallone d'Achille dell'intero sistema. Dovranno essere ridotti.
Al momento si possono prevedere due futuri distinti. Il primo è continuare il «business as usual». Il secondo è ridurre la pressione sugli ecosistemi. Questa seconda opzione, basata sulla conser-sull'autolimitazione, è l'unica possibile: altrimenti i pesci, vista l'emergenza ambientale e climatica, rischiano davvero di non riuscire a sopravvivere.