come combattere il liberismo globale



da repubblica.it giovedi 10 gennaio 2008
 
Come combattere il liberismo globale

Perché anche il nostro mercato azionario arrivi aessere maturo occorre bandire qualsiasi forma di controllo di minoranza e i patti parasociali, che costituiscono un´anomaliatutta italiana
GUIDO ROSSI

Nel capitalismo finanziario recente i mercati non sono più i luoghi dell´investimento, ma i teatri della liquidità, mentre al loro interno le bolle speculative non sono alimentate dagli acquisti spericolati di azioni da parte dei singoli, ma dai giochi finanziari degli operatori che agiscono col denaro e i beni di terzi.
Nella vita societaria italiana, come ben sappiamo, la "prassi autocratica" è sopravvissuta nei decenni, col conforto della legislazione e, meritevoli distinguo a parte, della dottrina giuridica nella sua quasi interezza. In prima fila fra i custodi di questa poco venerabile tradizione si è schierata allora, e continua a schierarsi oggi, Confindustria, che ha sempre sostenuto e giustificato i patti parasociali, ritenuti l´unico antidoto efficace al contagio delle scalate. E i patti proteggono le società, ma da un nemico per loro molto più temibile di qualsiasi concorrente sul mercato: le istanze dei soci minoritari e, in definitiva, la democrazia azionaria. Si tratta di un fatto molto grave, perché non stiamo parlando di un´anomalia più o meno preoccupante del diritto societario, ma di una lacuna inaccettabile su un piano molto più generale, dal momento che lede un cardine della libera concorrenza.
Per questo nelle discussioni sulla riforma (urgente) dei mercati finanziari italiani si dovrebbe sempre ricordare che insieme alle norme specifiche sulla tutela delle minoranze e sulla regolamentazione degli intermediari andrebbero ripensate anche la struttura e l´operatività delle agenzie indipendenti, oltre beninteso al ruolo della magistratura. Perché i nostri mercati approdino a una fase matura è dunque necessario bandire qualsiasi forma di controllo minoritario. Si tratta, ancora una volta, di un´anomalia italiana. (...)
A prescindere dalle singole soluzioni da adottare, il punto degli interessi che il diritto societario deve rappresentare è di fondamentale importanza. Di quali interessi si tratta, innanzitutto? Come devono calibrarsi le posizioni di creditori e azionisti rispetto all´istituto, secondo molti desueto, del capitale sociale? In che modo i controlli interni e l´informazione contabile e finanziaria devono tutelare gli investitori? In caso di operazioni societarie straordinarie, come soddisfare le esigenze industriali dell´impresa senza intaccare le aspettative degli investitori? Come si armonizzano gli interessi nazionali con la disciplina delle scalate? Sono domande che non possono avere risposte tradizionali. (...)

Come ho già sostenuto altrove, il richiamo alla lex mercatoria è solo la copertura, nemmeno troppo efficace, di un "diritto del più forte" apertamente contrapposto a quello dello Stato e dei legislatori, che appare ormai «l´estrema riserva Apache del diritto propriamente inteso». Ed è a favore o contro questa lex che il giurista è chiamato a prendere posizione.
Le leggi societarie e quelle che regolano i mercati eccedono sul piano della quantità, e difettano sul piano della qualità. Vanno dunque ridotte e riscritte. In realtà bastano poche norme, basta concentrare il fuoco sui punti critici, o volendo anche su uno solo, la vera matrice di tutte le crisi: il conflitto di interessi. La cui eliminazione, per essere effettiva, dovrebbe comportare anche quella di tutti i suoi epifenomeni. In altre parole, bisognerebbe, anzi bisognerà, vietare espressamente, o controllare nel modo più severo, la circolazione di tutti o quasi i prodotti che oggi il risparmiatore sprovveduto – ma di fronte all´offerta dei mercati finanziari attuali, al suo sinistro esoterismo di massa, siamo tutti sprovveduti – viene invitato ad acquistare da banche poco affidabili o intermediari senza scrupoli: i derivati, gli strutturati, i collaterali, e così via.
Quali che siano, le nuove norme dovranno comunque prevedere sanzioni adeguate, sia sotto il profilo civile sia sotto il profilo penale. Tutto il contrario di quanto avviene oggi in Italia, dove a una superfetazione normativa corrispondono sanzioni inesistenti o inapplicate, per l´inefficienza delle autorità indipendenti come per l´inadeguatezza di una magistratura imbrigliata da un sistema istituzionale carente. (...)
L´ultima questione da chiarire riguarda i possibili sviluppi dell´istituto su cui il capitalismo quale lo abbiamo conosciuto fin qui si è fondato: la società per azioni. L´affacciarsi sui mercati di nuove forme societarie, che pur prevedendo il ricorso al pubblico risparmio hanno una fisionomia simile a quella della società di persone, e il predominio di attori strutturalmente molto simili come i fondi di ogni genere e grado... sembrerebbero indicare che la società per azioni, quantomeno come forma privilegiata, se non esclusiva, della grande impresa che ricorre ai mercati finanziari, è giunta al termine del suo ciclo storico. È possibile che le due forme convivano, e in particolare che la più recente acquisti maggior peso sui mercati privati non regolamentati, dove la vigilanza è quasi assente. È tuttavia possibile, anzi probabile, che un intervento dei legislatori preciso ed efficace comporti anche una revisione sostanziale dei princìpi politici ai quali il capitalismo finanziario si è affidato e con cui è prosperato sia nelle democrazie liberali, sia negli Stati totalitari. Difficile immaginare che conflitto d´interessi e opacità si possano estirpare senza conseguenze, ad esempio, per la normativa fiscale, per quella del credito, e per tutte le altre a cascata.
Il punto da cui si può partire è la creazione di un´autorità europea di vigilanza sui mercati finanziari. Solo un inizio, certo, ma promettente, e se l´Unione si è dotata di una normativa antitrust moderna ed efficiente, non si vede perché non dovrebbe saper disciplinare i propri mercati finanziari. Se ciò accadesse, il passaggio ad analoghe strutture di carattere e ambito globali potrebbe rivelarsi molto meno faticoso e tormentato del previsto. Sono temi su cui raggiungere un consenso di base è possibile. È appena accaduto per una materia molto più controversa come la moratoria sulla pena di morte, può accadere ancora.
Certo, nel caso dei mercati finanziari il nemico è più sfuggente, la situazione più vischiosa. Ma che la nuova lex mercatoria globale sia un nemico è sotto gli occhi di tutti.
L´ultima risorsa di quanto resta degli Stati sovrani, lo abbiamo visto, è un regulatory overshooting mestamente provinciale, una frenesia legiferante che si traduce in un intrico di norme il cui unico scopo sembra quello di annullarsi a vicenda. Eppure, per non chiudere su una nota troppo deprimente, la decostruzione è cominciata. Solo cinque anni fa, la corporate governance sembrava un articolo di fede inattaccabile. Poi, in poche settimane, è caduta sotto i colpi del Sarbanes-Oxley Act, e delle leggi a quest´ultimo ispirate. Non si vede perché qualcosa di simile non possa accadere con le altre degenerazioni del capitalismo finanziario, che minacciano, molto prima dei nostri conti correnti, la struttura stessa delle società in cui viviamo.

Contro patologie così contagiose e virulente occorrono terapie molto energiche. Va messo a punto un cocktail di farmaci, alcuni dei quali, fortunatamente, sono già in fase sperimentale. Altri se ne sperimenteranno, ma molto più degli interventi in sé conta, come sappiamo, la visione d´insieme che li ispira. E che in questo caso non può non essere un diritto finalmente, autenticamente universale.
Qualche lettore potrà chiedersi, a questo punto, se non si stia sentendo riproporre il vecchio sogno di Kant, lo jus cosmopoliticum. Be´, sì, certo. Se il mondo occidentale, e se per questo anche i suoi concorrenti asiatici, ha fin qui accettato, anzi, incoraggiato il ritorno alla perniciosa prassi medievale che li sta travolgendo, non si vede perché dovrebbe rifiutare a priori una civile e decorosa fantasticheria settecentesca. Quantomeno, sarebbe un passo avanti di cinque secoli.