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sobrietà ed autoproduzione di beni
- Subject: sobrietà ed autoproduzione di beni
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Mon, 27 Aug 2007 06:28:49 +0200
da carta.org [27.06.2006] Sobrietà e autoproduzione di beni di Maurizio Pallante Fonte: greenreport La decrescita felice di Pallante: "Sobrietà e autoproduzione di beni" Intervista con il saggista che oggi vive nelle campagne astigiane, autoproducendo e cercando la massima riduzione degli scambi mercantili LIVORNO. Mentre in tutto il mondo, destra e sinistra si confrontano su come accelerare la crescita economica, Maurizio Pallante sostiene la decrescita. Anzi la "Decrescita felice", che è il titolo del suo ultimo libro (Editori riuniti, pp. 134 euro 12). Cos'è la decrescita felice? "Partiamo da un presupposto: in un mondo di risorse finite, per quanto
ampie, e di una capacità finita di assorbire gli scarti della produzione, solo
due categorie possono pensare alla crescita infinita: gli economisti e i pazzi.
Per spiegare la decrescita e poi al decrescita felice è quindi necessario
partire dalla crescita economica: che nella nostra società non è la crescita dei
beni e dei servizi messi a disposizione da un sistema economico e produttivo a
una popolazione, ma la cresciuta delle merci, cioè degli oggetti e dei servizi
scambiati con denaro. Merci e beni sono concetti molto diversi fra loro, le
faccio un esempio: se si percorre una strada in auto si consuma benzina, cioè
una merce, e cresce il pil e quindi il benessere sociale. Se per lo stesso
tratto si va più piano perché ci sono curve, si consuma più benzina, e aumenta
il pil. Quindi se si sta in coda per un'ora cresce il benessere. Viceversa se
nell'orto di casa si autoproducono e si mangiano i propri pomodori, si fa
diminuire il Pil, per cui paradossalmente i pomodori autoprodotti diminuiscono
il benessere sociale. Questa è la crescita.
La decrescità è invece sobrietà nell'uso delle risorse (che sono finite e che richiedono una capacità di carico da parte della terra per assorbirle), lo sviluppo dell'autoproduzione di beni e servizi in sostituzione di merci equivalenti. La decrescita è anche felice quando all'autoproduzione si aggiungono scambi mercantili senza denaro, fondati sul dono e sulla reciprocità, che quindi creano anche solidarietà e hanno valore aggiunto, quello di portare felicità". Ultimamente una parte della sinistra mette in discussione sia il concetto
che la prassi della crescita e che, addirittura, qualche ambientalista storico
giudica fatuo e datato questo dibattito, almeno da quando gli ambientalisti
hanno cercato di introdurre in economia le leggi della termodinamica. Lei che
cosa ne pensa?
"Penso che noi siamo alla vigilia di una revisione del pilastro su cui si è
fondata la cultura del modo di produzione industriale, cioè delle regole che
hanno governato per 200 anni l'economia e la scienza dell'occidente. Questo
dibattito è appena all'inizio e quindi ci sono confusioni, parzialità, errori. È
un processo comunque inevitabile, perché c'è la necessita di un nuovo paradigma
culturale: finora destra e sinistra sono state due varianti dello stesso modello
industriale, concordi nel ritenere che la crescita economica sia un fatto
positivo e conflittuali solo nella distribuzione della ricchezza prodotta
attraverso la crescita. Anche il dibattito ambientalista è concentrato sul tema
dello sviluppo sostenibile, che è un modo di riproporre la crescita depurandola
dai suoi aspetti più distruttivi. L'esempio è il dibattito sulle fonti
alternative: se il petrolio non basta più a sostenere la crescita occorre
trovare nuove fonti che possano sostituirlo. Il punto di vista della decrescita
invece inserisce le rinnovabili all'interno di un dibattito incentrato sulla
riduzione della domanda e non sulla sostituzione dell'offerta".
Qualche anno fa si pensava che con l'avvento della società e dell'economia
dell'informazione ci stessimo avviando verso una "dematerializzazione" delle
produzioni e dei consumi e quindi, inerzialmente, verso la sostenibilità
ambientale. Ciò se, e in quanto, si è avverato, riguarda l'utilizzo di energia e
materia per unità di prodotto ma, proprio la crescita dei volumi prodotti
vanifica questo sforzo. Lei cosa ne pensa?
"Non è assolutamente avvenuto, tant'è che il consumo di risorse,
soprattutto di tipo energetico, è aumentato. L'informatizzazione ha accelerato
il processo di consumo e ha favorito l'avvento della globalizzazione: e
l'estensione del mercato a livello mondiale ha portato all'aumento dei
trasporti, delle distanze di spostamento delle merci e del consumo di
risorse".
L'argomento utilizzato dai sostenitori ad oltranza della crescita economica
illimitata, magari anche di qualità, è che altrimenti non ci sarebbero risorse
da ridistribuire e di ciò ne soffrirebbero i più deboli e i meno abbienti. Lei
non crede che sia questo il pericolo?
"I fatti dimostrano che la crescita economica negli ultimi anni ha
aumentato le disuguaglianze tra ricchi e poveri. Allora il problema non è quello
di consentire lo sviluppo dei popoli poveri, cioè l'inserimento in un meccanismo
fondato sulla crescita e sulla sostituzione dei beni con le merci, ma l'uscire
dalla povertà consiste in una più equa distribuzione delle risorse reali. Non si
è poveri se si può comprare poco, ma si è poveri se non si può comprare il
necessario per vivere. Povero è chi non può mettere pomodori sulla tavola,
mentre per gli economisti è povero che non può comprare pomodori sufficienti a
sopravvivere. La soluzione per i Paesi più poveri non consiste quindi nel loro
ingresso nell'economia mercantile, ma è consentire loro una più equa
distribuzione di risorse, all'interno di un'economia regionale fondata sulla
produzione di beni e non sull'acquisto di merci".
Nel suo vivere quotidiano come applica la decrescita felice?
"Intanto sono andato a vivere in campagna e affianco un'attività di
autoproduzione a un attività intellettuale che mi consente di avviare scambi di
tipo mercantile. Il mio orto mi fornisce molti prodotti, che in gran parte
riesco anche a conservare per l'inverno. Inoltre ho un'autoproduzione di
prodotti intermedi come pane, yogurt, succhi, marmellate. Quello che invece
sento come forte carenza è il fatto di non essere stato ancora capace di
costruire rapporti comunitari con gruppi di persone che hanno fatto le mie
stesse scelte di vita, e con cui realizzare forme di scambio basate sul dono e
la reciprocità".
Il suo concetto di decrescita è piuttosto diverso quindi da quello di uno
dei più grandi teorici della ricerca: Latouche ha uno stile di vita piuttosto
diverso dal suo.
"Conosco abbastanza bene Latouche e quindi lo stimo molto anche perché è
stato un precursore delle tematiche della decrescita. Però è vero che lui non
mette sufficientemente l'accento sull'aspetto dell'autoproduzione e anzi mi
critica garbatamente per l'eccessiva enfasi che io ci metto. Credo che
l'elemento su cui occorre approfondire la discussione sia sulla differenza tra
beni e merci e sulla mercantilizzazione (o come dice Latouche
"ognimercificazione"): la decrescita passa attraverso la riduzione degli scambi
mercantili, almeno nella stessa misura della
sobrietà".
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