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olio extravergine: sofisticazioni in italia
- Subject: olio extravergine: sofisticazioni in italia
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Sat, 25 Aug 2007 06:25:00 +0200
Da il Salvagente 23-30 agosto 2007
le rivelazioni del " New yorker " sulle
sofisticazioni
L'ELDORADO ITALIANO DELL'EXTRAVERGINE E
DELLE TRUFFE
di Giorgia Nardelli
Nient'altro che truccato. L'extravergine di oliva
italiano, quello che consumiamo tanto quanto quello che esportiamo, è " troppo
spesso " una brutta miscela fatta in laboratorio, dove sono sapientemente
amalgamati e trattati oli di semi esteri con spremute di oliva.
La denuncia piove dritta dagli Stati Uniti. Sei
mesi di lavoro, e in sette pagine di inchiesta fitte fitte il settimanale New
Yorker torna a denunciare l'Italia come l'Eldorado dell'olio adulterato. Un
paese in cui spacciare una miscela di oli scadenti per pregiato estravergine
made in Italy, è redditizio quanto il traffico di cocaina, ma con molti meno
rischi.
E' davvero così? L'inchiesta del New Yorker parte
da sedici anni fa, nel 91, quando un grande scandalo da milioni di euro arrivò a
sfiorare anche le multinazionali dell'alimentazione. Si scoprì infatti che la
pugliese Riolio, azienda produttrice tra le piu' floride, importava dall'estero
olio di nocciola, che poi modificava in laboratorio per renderlo simile
all'extravergine. Le partite di olio arrivavano nei porti pugliesi, di li nei
laboratori dell'azienda, per essere venduti a nomi come Nestlè, Unilever, e
Bertolli, i quali si dichiararono ignari di tutto.
Non era la sola, la Riolio. Pochi anni ancora e nel
1994 la Guardia di Finanza scoprì il coinvolgimento nel grande affare di
un'altra ditta, Casa Olearia. Stesso sistema e stesso giro. Storia passata e
digerita, verrebbe da pensare. Non secondo il New Yorker, che nell'inchiesta
tende a dimostrare come i grandi inganni siano una realtà ancor più che viva e
fiorente.
TRAFFICO MILIONARIO
Le tesi del giornale americano sembrano confermate in parte anche dai dati
ufficiali. Solo lo scorso giugno la Guardia di Finanza ha scoperto ancora in
Puglia una frode da otto milioni di euro. Partite di olio tunisino, greco e
spagnolo venivano vendute come extravergine italiano. E a dare una scorsa ai
numeri emersi a conclusione del programma straordinario coordinato dall'
Ispettorato repressione frodi, non si tratta certo di una scoperta isolata. In
soli tre mesi, da gennaio al 31 marzo, il coordinamento di Guardia di Finanza,
Agenzia delle Dogane, Guardia Forestale, Nas e Nac ( il Nucleo antifrodi dei
Carabinieri ) , ha consentito di effettuare controlli su 787 operatori, per un
totale di 54 milioni di litri di olio di oliva ( si fa per dire ). Le
irregolarità riscontrate sono state 176 , vale a dire più di un operatore su
cinque, i sequestri sono stati 13, per 90 mila litri di prodotto. Un risultato
ottenuto grazie alla " straordinarietà " dei controlli che si sono avvalsi di
esami himici e organolettici. Spesso è stato proprio l'assaggio a segnalare un
problema che altrimenti non sarebbe emerso.
Le irregolarità più frequenti, manco a dirlo, sono legate alla scoperta di
" prodotti stranieri spacciati per nostrani, extravergini che si sono rivelati
miscele di oli di semi di pessima qualità " spiegano dall'Ispettorato
repressione frodi. La maggior parte delle truffe, specie le più ardite, " sono
quelle di ditte minori che sofisticano partite di prodotto, poi le immettono
nella grande distribuzione, spesso a prezzi irrisori, e si dileguano terminata
la fornitura. Abbiamo decine di marchi finiti nel nulla e decine di denunce
contro ignoti, in pratica contro società che dopo la truffa si volatilizzano ".
Più che fondato che si tratti degli stessi soggetti, che ripetono di volta in
volta lo stesso gioco.
Ne sono certi i produttori di olio italiani, che vivono il traffico
illegale, secondo loro molto più esteso di quanto sembri, sulla loro pelle. La
loro accusa è circostanziata: parte dell'olio di semi che arriva legalmente
registrato nei nostri porti, pagato a un prezzo di appena 15-20 centesimi al
litro ( come per l'olio di nocciola ), poi finisce nelle industrie di olio di
oliva, dove vine miscelato illegalmente.
SEMI SPARITI
I soli numeri delle importazioni di oli di semi potrebbero
indurre a qualche sospetto. Secondo i dati dell'Ismea, ne importiamo all'anno
circa 800mila tonellate, ma i consumi domestici si attestano intorno alle
140mila tonnellate. Dove finiscano le restanti 660mila tonnellate è impossibile
saperlo, perchè la parte di oli acquistati e utilizzati dall'industria
alimentare non è documentata.
Antonio Barile, responsabile della Confederazione Italiana
agricoltori Puglia ha occupato più volte per protesta i porti di Bari e di
Monopoli , crocevia di traffici poco chiari. E come gli altri non ha dubbi: "
Quello dell'adulterazione è un problema strutturale del comparto italiano. Parte
dell'extravergine in commercio è davvero adulterato con olii di nocciole, e olio
lampante " dice. " L'olio lampante è quello spremuto dall'oliva caduta a terra,
è molto più acido e non è commestibile, ma viene raffinato con processi chimici
e unito a una percentuale di olio extravergine per fare olio di oliva
".
Il problema, come spiegano anche dall'Agenzia delle
Dogane, è che l'importazione di oli di semi e lampanti è ovviamente legale. Ma
il buco nero è nell'assenza di informazioni su cosa ne fanno gli acquirenti dopo
l'acquisto. D'altra parte " Fermare tutti i carichi, dati i volumi di import ed
export, equivarrebbe a paralizzare il sistema " spiegano sconsolati alle
Dogane.
Se non puo' essere scoperto prima , il mix illegale
dovrebbe almeno essere fermato una volta che arriva nelle costose bottiglie di
extravergine, dunque. Invece secondo molti anche in questo caso le maglie della
legge e dei controlli non bastano. E la pratica illegale è così comune da
drogare l'intero mercato dell'olio, sostiene l'oleologo Roberto Scopo, che per
anni ha affiancato Veronelli nella battaglia per l'olio di qualità. " I
controlli di routine sull'extravergine si basano il più delle volte sulla sola
acidità, che deve essere attorno allo 0,8 per cento e sui livelli di perossido,
di regola intorno ai 20
.Lavorando in laboratorio un olio
lampante non commestibile si riesce però ad ottenere l'acidità desiderata, e
basta qualche miscela per ingannare i test tradizionali
e ufficialmente riconosciuti. Sarebbe sufficiente , invece , rintracciare i
valori dei polifenoli , che sono solo nell'olio extravergine di oliva, e che
danno la certezza matematica di trovarsi di fronte a questo
prodotto.
Il problema esiste ancora ma non per i grandi
nomi
Quella doccia fredda proprio non ci voleva per
l'export dell'olio italiano. Tanto piu' in un momento in cui le importazioni in
Usa crescevano a un ritmo del 10 per cento l'anno.
Leonardo Colavita , presidente di Assitol, l'associazione
che riunisce tutte le imprese dell'olio, non nasconde la sua irritazione. E come
c'era da attendersi, lui che è anche a capo di uno dei grandi produttori
italiani, difende la sua categoria, quella degli " industriali dell'olio ". "
Contraffare l'olio di oliva? Non è più un problema di oggi. Per una grande
impresa è difficile, stupido e controproducente. Basti pensare al numero di
controlli effettuati sulle industrie del comparto " . Questo
l'assunto.
Signor Colavita, l'inchiesta del New Yorker , dunque,
descriverebbe le brutte abitudini di un lontano passato?
No , il problema esiste ancora. Esiste però a livello dei
piccoli produttori, quelli che vendono al dettaglio e che possono con maggiore
facilità smerciare merce sofisticata. Quello che racconta Mueller ( il
giornalista ndr ) nell'articolo del New Yorker accadeva quindici anni
fa.
Vuole dire che adesso le cose sono cambiate?
Non è tutto rose e fiori, certo. Anche oggi esistono
truffe e frodi, ma sono di tipo diverso. Proprio di recente la mia ditta si è
ritrovata coinvolta in una truffa milionaria. Avevamo acquistato da un fornitore
pugliese una quantità di olio italiano. Risultava italiano dai documenti, non
avevamo altro modo per distinguerlo. Da una indagine si viene però a sapere che
quel prodotto non era affatto pugliese, bensì straniero. E abbiamo avuto un
forte danno. Non è raro che rifilino olio greco o tunisino per nazionale, ma noi
non abbiamo strumenti per riconoscerlo.
Sulla qualità merceologica però , avete gli strumenti per
vigilare.
Sì, in effetti le maggiori truffe in questo senso
riguardano la provenienza. La nostra azienda, come le altre associate ad Assitol
effettua analisi di laboratorio e organolettiche per dare l'extravergine
migliore. Solo in laboratorio effettuiamo 23 test chimici.
Non è possibile che qualche grande produttore spacci per
extravergini miscele di oli vari?
E' una tecnica che non conviene. Il raffinato di olio di
oliva ( la miscela di olio lampante deacidificata in laboratorio, utilizzata di
regola solo per il normale olio di oliva, ma usata nelle mistificazioni , ndr. )
costa a un'azienda omai quanto l'extravergine. Noi lo paghiamo circa 2,90 euro
al litro, contro i 3 - 3,50 del pregiato extravergine. Il rischio non varrebbe
l'impresa.
L'origine oscura delle olive
IL MADE IN ITALY? RESISTE SOLO NELLE
PUBBLICITA'
Su 1,2 milioni di tonnellate di olio che si
fregiano del prezioso marchio tricolore, meno della metà vengono dai nostri
confini. Le altre? Impossibile saperlo leggendo le
etichette.
Il marchio non lascerebbe spazio a dubbi. In bella vista,
sotto la scritta Carapelli, ecco l'indicazione del luogo: Firenze. Per il
consumatore l'associazione è più che immediata: evidentemente quell'olio vien
fatto a Firenze. Peccato che di italiano, il caro vecchio olio tra i più noti
del mass market italiano abbia ormai poco, a cominciare dalla proprietà. Da
ormai più di qualche anno Carapelli è stato acquistato dalla multinazionale
spagnola Gruppo Sos Cuetara, e che detiene il 15 per cento del mercato e ha
acquisito altri brand storici come Sasso e Friol. Stesso destino per
l'altrettanto noto Bertolli ( con i suoi marchi Dante e San Giorgio ) entrato
nella grande famiglia della multinazionale Unilever. " L'unico marchio rimasto
italiano tra quelli storici è ormai Monini, che ha riscattato le quote
societarie del proprietà del gruppo Star", dice Giuseppe Politi, presidente
della Confederazione italiana agricoltori ( Cia ). Non dovrebbe essere un fatto
nuovo , d'altronde , se dietro nome , etichette e immagini che suggeriscono la
presenza di un prodotto " made in Italy " si nasconda un olio che di italiano ha
ben poco, anche quando extravergine. E' ormai un dato acquisito che gli oli
imbottigliati dalle grandi ditte " italiane " , provengono in buonissima parte
da Grecia , Spagna , Tunisia, e altri paesi del Mediterraneo. Dove il prezzo di
manodopera e materia prima è notevolmente inferiore, e consente grandi
risparmi.
Numeri alla mano il fenomeno è " trasparente " : l'Italia
consuma 750mila tonnellate. In totale 1,2 milioni di tonnellate di prezioso "
made in Italy " . Peccato che quello realmente prodotto da olive italiane si
limiti, mediamente , a 570mila tonnellate. Secondo gli ultimi dati Istat ,
inoltre , nel primo trimestre del 2007 l'importazione è cresciuta del 30 per
cento. Numeri difficili da equivocare , ma non per le etichette e il packaging
che suggeriscono cose diverse , e che non sono passate inosservate: "
L'Antitrust ha avuto un bel da fare in questi anni a dirimere questioni di
pubblicità ingannevole da parte di consorzi dop e consumatori , che segnalavano
i trucchi di chi tendeva ad accreditare per italiani oli dalle dubbie origini "
spiega Stefano Masini di Coldiretti. Un esempio per tutti: di fronte alla
quantità di bottiglie che richiamano all'olio toscano, la produzione di quel
territorio è appena il 3 per cento di quella nazionale, contro il 60 per cento
della puglia, il 20 per cento di Calabria e Sicilia.
E non c'è nessun modo per i consumatori di capire da dove
venga il prodotto, perchè la legge europea su questo argomento è molto generosa
( per i produttori ).
Tnto per cominciare vieta la denominazione di origine per
gli oli non vergini, i " volgari " oli di oliva. Quanto ai vergini e agli
extravergini, la consente, ma solo come facoltativa, e ciò significa che il
produttore può anche fare a meno di indicare da dove viene la materia prima
dell'alimento che vende. Ma quando sceglie di farlo, e decide di indicare che il
proprio extravergine è italiano, ha un buon margine di " gioco " . Il
regolamento comunitario 1019/2002 prevede che l'origine di un paese possa essere
indicata se almeno il 75 per cento del prodotto proviene da quel dato paese " ,
spiega Massimo Gargano, il presidente dell'Unaprol, consorzio nazionale degli
olivicoltori. Per fare un extra italiano, quindi è sufficiente utilizzare per
tre quarti " materia prima " nazionale, e riempire il restante 25 per cento con
una miscela che puo' essere tunisina o marocchina. Niente paura, tengono tutti a
precisare, non è detto che olio africano o greco sia necessariamente più
scadente del nostro, d'altra parte, spiegano all'Agenzia delle Dogane, i
controlli sugli oli importati riguardano anche e soprattutto gli aspetti
sanitari, per verificare che i prodotti rispondano a certi standard europei (
molto più rigidi, per esempio, in fatto di pesticidi ). " Resta il fatto "
spiega Gargani, " che i consumatori non sanno da dove viene ciò che mangiano
".
Le cose vanno peggio per il meno pregiato " olio di oliva
". Questo prodotto è fatto con una miscela di olio di lampante ( quello con
acidità al 3 per cento , non commestibile ), che poi viene deacidificato in
laboratorio, e , infine miscelato con extravergine. In questo caso non solo è
vietata qualsiasi indicazione d'origine, ma non esiste neanche l'obbligo di
indicare la percentuale di extravergine aggiunta per rendere il prodotto più
nobile.
Porti e sbarchi
QUEI CARICHI CONTROLLATI A
CAMPIONE
Nei porti italiani arrivano i carichi di oli " vari "
destinati a diventare extravergine. E dagli stessi porti partono gli
extravergine che finiranno all'export, ancora una volta col rischio di essere
adulterati. E' per questo che una buona parte dei controlli predisposti dal
programma straordinario dell'Ispettorato repressione frodi ha coinvolto
l'Agenzia delle Dogane.
Nell'impossibilità di verificare che tutta la merce sia in
regola, i controlli nei porti vengono effettuati in maniera mirata, basandosi
sul profilo di rischio relativo a ogni carico, che consente di individuare, a
partire dalla tipologia del prodotto trasportato e del soggetto a cui è
destinato ( o che lo invia ) , le partite più delicate.
"Controllati speciali " , naturalmente , sono i soggetti
già segnalati alle autorità giudiziarie, o le ditte che fanno movimenti di merce
quantomeno sospetti. L'Agenzia delle Dogane si serve infatti di un data base che
contiene i dati di tutte le merci importate ed esportate nei porti italiani, con
le informazioni relative al mittente e al destinatario, al valore, al paese di
origine, a quello di destinazione, e alla quantità. Se una ditta importa per
esempio un quantitativo enorme di olio di semi, e dalla banca dati risulta un
esportatrice di solo olio di oliva , è certo che sarà tra i soggetti da tenere
particolarmente d'occhio. Allo stesso modo è considerato sospetto un numero
consistente di carichi proveniente da un paese che tradizionalmente non è un
grande esportatore di olio.
E' a questo punto che parte l'analisi dei documenti, ed
eventualmente il controllo del carico e le successive analisi chimiche
sull'olio. La presenza di qualcosa di sospetto porterà l'ispettorato a
effettuare poi verifiche nello stabilimento di provenienza o di arrivo del
carico. Come è successo nei mesi scorsi durante le attività del programma
straordinario. Che ha consentito di realizzare quanto redditizio sia l'affare
del " falso " olio di oliva. L'assioma è semplice, spiegano alle Dogane, il
rischio di frodi è alto quanto più è alta la domanda del prodotto. E l'olio "
italiano " è ormai richiestissimo tanto in patria quanto
all'estero.
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