I
prezzi dei farmaci comparati con i relativi prezzi di altri paesi, devono
per forza essere messi in relazione al potere di acquisto e al livello dei
prezzi locali.
In
Germania per esempio un caffè in tazza grande, in autostrada, costa 3 euro. In
Italia 0,85€.
Se
compariamo il prezzo delle aspirine in Italia e Germania, vedremmo che lì
costano meno, in ragione del potere di acquisto.
Sono
d'accordo che i medicinali siano prodottio dallo stato, con il sistema 'nè
perdita nè profitto' per mantenere basso il prezzo di acquisto, visto
che sono un bene di primaria necessità.
Non ho
mai trovato un imprenditore che non piangesse sempre per soldi, pochi
quelli che guadagna, molti quelli che spende, sempre per gli
altri...
Saluti
Tarcisio Bonotto
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Proutist Universal
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Questo articolo ce lo potevamo
risparmiare
Ho fatto spesso ricerche sui prezzi degli stessi farmaci
nei diversi paesi europei e i dati, presi dalle unioni consumatori o da
giornali, indicano strepitose differenze tutte in perdita per il nostro
paese
Questo articolo è fasullo come quando le banche italiane
dicevano che non era vero che i loro servizi costavano di piu' in tutta
Europa.
Inoltre penso che il fatto stesso che vi sia una casa
farmaceutica che vende a uno Stato in totale monopolio sia un'offesa al buon
senso e al mercato
cordialmente
viviana vivarelli
----- Original Message -----
Sent: Wednesday, February 14, 2007 6:31
AM
Subject: dialogo sui farmaci e sul loro
prezzo
da il manifesto 02 Febbraio
2007
intervista Dialogo
sui farmaci e sui loro prezzi Valentino
Parlato Guglielmo Ragozzino «Nazionalizzare l'industria
farmaceutica», e altre provocazioni. Parla l'industriale Claudio Cavazza,
presidente della Sigma Tau Valentino Parlato Guglielmo
Ragozzino
Claudio Cavazza è il presidente della società farmaceutica
Sigma Tau, una delle maggiori a capitale italiano. Il manifesto ha chiesto
al dottor Cavazza le sue posizioni in tema di prezzo dei farmaci, ricerca
italiana e sull'eventualità di una nazionalizzazione del settore, visto che
si tratta di un monopsonio (caso di un unico compratore, lo stato). Così, lo
abbiamo incontrato per un paio d'ore e abbiamo chiesto spiegazioni. Qui di
seguito pubblichiamo le risposte dell'industriale.
«E' possibile un
dialogo tra uno sporco capitalista come me e il manifesto? Io dico di sì,
perché penso che la vera discriminante sia tra classe parassitaria e classe
produttrice. Voi sostenete che i medicinali in Italia siano più cari che
all'estero. Non spero di farvi cambiare idea. Dico solo che si tratta di un
falso o, peggio, è un luogo comune, come quelli raccolti da Flaubert nel suo
"Dizionario". E' comune in tutti i paesi ripetere: siamo i più grandi
consumatori di farmaci.... Le nostre medicine sono le più care del
mondo...E' il rapporto con il farmaco ad essere ambiguo, a ogni latitudine.
Comunque è inoppugnabile che in Italia le medicine costino meno che altrove,
in tutta Europa. E' probabile che la confusione, il luogo comune, nascano
dall'esperienza degli acquisti dei farmaci da banco, a prezzo libero: ma
rappresentano in tutto un 15% della spesa per farmaci. Le statistiche
ufficiali, non italiane, ma tedesche, dicono che alla produzione i farmaci
italiani costano meno. Facendo il prezzo italiano uguale a cento, l'indice
francese è 111, quello inglese è 124, quello tedesco è 129, quello americano
264. E' vero, ho parlato di nazionalizzazione. L'ho fatto per provocare.
Prima, in un'intervista al Sole e poi con il Riformista. Il fatto è che sono
"loro", al governo, che controllano il prezzo e lo decidono, servendosi
anche delle regioni. Hanno una netta preferenza per il prezzo più basso
possibile, ciò che è certo demagogico, ma non è ragionevole come può
sembrare. C'è un primo passaggio, all'Aifa, l'Agenzia italiana del farmaco,
il cui compito è anche quello di controllare i prezzi. Un secondo controllo
avviene al momento della contrattazione, poi è la volta delle Regioni e
quando è tutto finito e contrattato, il prezzo pattuito te lo ribassano
d'imperio. Ma non siamo noi farmaceutici i responsabili del disavanzo del
settore sanitario! Così, se il prezzo dei farmaci lo fissa lo stato, allora
lo stato si deve assumere anche il compito di produrne. Voglio citare un
caso. Ho comprato, per produrlo a mia volta, un farmaco che serve per
indurre il parto... aiutarlo, insomma. E' un principio attivo le cui qualità
non sono ancora esaminate del tutto. Per dirne una, abbastanza sorprendente,
aumenta la libido dei maschi, per ora solo dei topi, in laboratorio. Ma
torniamo all'uso principale. Sono sei fiale, sterili. Il prezzo fissato è
due euro e io, Sigma Tau, ne incasso uno. Come è possibile pensare
ragionevolmente che oggi con un euro si possano fare sei fiale, la scatola,
il foglietto illustrativo, il lavoro amministrativo? A due euro si vendono
bene le caramelle, forse. Sarebbe come se voi del manifesto foste costretti
a vendere il giornale a 10 centesimi. Anzi, perché non lo fate? Non potete?
Bene, neanch'io. Non è vero invece che non ci sia più un'industria
italiana del settore. Ci sono Menarini, Chiesi, Abiogen, Rottapharm, Zambon,
Bracco, Recordati...noi... Una decina d'imprese abbastanza grandi. Il
livello della farmaceutica italiana era di assoluta eccellenza e l'abbiamo
perduta. Ancora recentemente eravamo in testa, nel campo dei vaccini e la
ricerca la si fa ancora, in Italia, solo che ormai è della Novartis, la
conglomerata svizzera. D'altro canto, anche a me capita di riuscire a
sviluppare un nuovo farmaco proprio con i finanziamenti di Novartis, facendo
con gli svizzeri un accordo. La nostra ricerca italiana di nuovi principi
attivi spesso può arrivare fino a un certo punto. Se questo era vero in
passato, ora lo è anche di più. Grandi imprese storiche sono entrate a far
parte di gruppi internazionali. Farmitalia e Carlo Erba, sono state cedute
da Montedison. Forse il limite loro era di fare troppa ricerca, data la
limitatezza del mercato interno. Sviluppare un farmaco costa almeno 400
milioni di euro. Questo è il livello del rischio. A volte la puntata non
riesce, a volte il successo si rivolta contro come nel caso del Vioxx,
l'antiartritico dell'americana Merck, ritirato con una marea di
contestazioni e di cause, dopo aver fatto un record di vendite. Merck,
numero uno mondiale, stava per saltare per aria. Pfizer, un'altra azienda
eccellente, il nuovo numero uno, è essa stessa in cattive acque; così
licenzia migliaia di addetti... Io in 50 anni non ho mai licenziato nessuno
e non vorrei essere costretto a farlo adesso. Ma voglio dire una cosa che
apparirà paradossale. Le imprese italiane non hanno rinunciato alla ricerca
e investono molto. Parlo per me che ho una pipeline di ricerca spettacolare,
una delle migliori d'Europa. E parlo per gli altri, che costituiscono un
settore in pieno sviluppo, nel quale piccoli gruppi di ricerca, appoggiati
da piccoli centri universitari, stanno facendo cose molto buone. La
ricerca è la mia speranza ma è anche la mia disperazione: E' un settore il
nostro in cui vi sono capacità straordinarie: per tutti cito un caso, quello
di Laura Ferro che ha portato la sua struttura di ricerca, Gentium, a Wall
Street, direttamente, e ora è classificata come una delle cinquanta donne
più importanti al mondo. E' molto difficile la ricerca qui da noi. Facciamo
il caso di un farmaco nuovo che mi costa, come ho detto, 400 milioni di
euro. Il suo prezzo in farmacia dovrebbe essere di 30 o 40 euro, per un po'
di tempo. Invece ci sono ben presto i generici che costano 3 o 4 euro...
Nessuna pubblica amministrazione consentirà mai di pagare il primo prezzo.
Mi fate notare che è un caso di moneta cattiva che scaccia la buona... La
legge di Gresham, mi pare. Ma voglio rimanere sul mio terreno: questi
industriali dei generici non hanno altro che uffici legali che servono a
buttare giù il prezzo. Il prezzo che il pubblico paga quando compra un
medicinale corrisponde però più al costo della ricerca che a quello della
materia prima, del principio attivo; perché dopo dieci anni il costo della
materia prima si riduce a poco. Il caso è spinoso, ma si può risolvere con
una politica attiva per la ricerca. Questo governo, come i precedenti, aveva
promesso una politica per la ricerca e poi non ha fatto niente. Notate che
noi facciamo il 15% della ricerca del paese. Va a finire che scriverò una
lettera a Prodi per investirlo della questione. Mi capirà, spero. Non
tutti al governo vedono di buon occhio la ricerca farmaceutica, però...Non
mi credete? ...Pensate a un ministro dell'economia che abbia fatto un
contratto, alcuni anni fa, con i pensionati, dando per scontato che questi
sarebbero andati in pensione a 58 anni per morire a 65. Il fatto è che oggi
una donna su quattro muore dopo i novant'anni. Questa è la catastrofe. I
ministri dell'economia ce l'hanno con noi perché gli abbiamo creato un
problema. Con i nostri farmaci abbiamo allungato la vita. Siamo all'origine
del disastro demografico, il bellissimo disastro, di cui siamo
orgogliosi. Non è da per tutto così. Negli Stati uniti, c'è un ambiente
molto più favorevole, per i farmaceutici, a partire dal rapporto tra
industria e università. Il risultato è una sorta di élite culturale per cui
è più facile per un prodotto americano diventare internazionale: un po' come
avviene per i film o per gli artisti, i pittori... Tornando alla ricerca
italiana, per noi farmaceutici è indispensabile svolgerla, però occorrerebbe
un ambiente più favorevole. Gli stessi ministri del tesoro di prima
ragionano come se un convegno scientifico in appoggio alla ricerca, anzi
parte della ricerca, fosse una spesa falsa che cela un profitto non tassato.
Non ci hanno dato sicurezza i governi, né aiuti consistenti. Si inventano
prezzi di riferimento, tetti di spesa cervellotici, pay-back, quando
basterebbe defiscalizzare gli utili investiti nella ricerca. Ma è meglio non
parlarne, si rischia di demoralizzare la borsa. In effetti pensiamo di
quotare in borsa Sigma Tau. Sono molti anni che vogliamo farlo perché questo
ci consentirebbe di raccogliere capitali ed essere presenti anche
all'estero, per cogliere subito le novità e i cambiamenti. E per farlo devo
avere una pipeline di ricerca; e ce l'ho. E voglio andare avanti con la
ricerca in Italia. A Pomezia, c'era, all'inizio, un centro appoggiato
all'Imi, cui partecipavano altri industriali che poi si sono ritirati. Sono
rimasto io e vado avanti. Non voglio fabbriche in Cina, voglio fare
fabbriche in Italia, fare ricerca in Italia. Se non mi mettono bastoni tra
le ruote e riescono a capire che non si può considerare come spesa
produttiva, non tassata, la pubblicità del lucido da scarpe e utile, da
tassare, un congresso di scienziati. Qui tutti diventano grandi imprenditori
quando delocalizzano. Ma perché si deve arrivare a questo punto? Non credo
che sia giusto così. O il nostro paese deve diventare un posto per camerieri
e gondolieri, come diceva Marinetti di Venezia? Mi chiedono sempre più
spesso. "Hai più di settant'anni, perché lo fai?" Io rispondo con l'apologo
del portabandiera di Napoleone che dopo aver perso a cannonate le due
braccia e una gamba, saltellava sull'altra portando la bandiera con la
bocca. Venne Napoleone e gli chiese: "perché lo hai fatto, mio eroe? Per il
tuo imperatore?, per la Francia, per i tuoi figli, perché?" E a ogni domanda
rispondeva no. "Orsù -- disse l'imperatore - perché allora?" "Per tigna,
l'ho fatto. Per tigna". Così io, ma anche perché penso che potremmo essere
un grande Paese davvero! Ma vedo che scuotete la testa».....
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