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Sent: Wednesday, February 14, 2007 6:31
AM
Subject: dialogo sui farmaci e sul loro
prezzo
da il manifesto
02 Febbraio
2007
intervista
Dialogo sui
farmaci e sui loro prezzi
Valentino
Parlato
Guglielmo Ragozzino
«Nazionalizzare l'industria
farmaceutica», e altre provocazioni. Parla l'industriale Claudio Cavazza,
presidente della Sigma Tau
Valentino Parlato
Guglielmo
Ragozzino
Claudio Cavazza è il presidente della società farmaceutica
Sigma Tau, una delle maggiori a capitale italiano. Il manifesto ha chiesto al
dottor Cavazza le sue posizioni in tema di prezzo dei farmaci, ricerca
italiana e sull'eventualità di una nazionalizzazione del settore, visto che si
tratta di un monopsonio (caso di un unico compratore, lo stato). Così, lo
abbiamo incontrato per un paio d'ore e abbiamo chiesto spiegazioni. Qui di
seguito pubblichiamo le risposte dell'industriale.
«E' possibile un
dialogo tra uno sporco capitalista come me e il manifesto? Io dico di sì,
perché penso che la vera discriminante sia tra classe parassitaria e classe
produttrice. Voi sostenete che i medicinali in Italia siano più cari che
all'estero. Non spero di farvi cambiare idea. Dico solo che si tratta di un
falso o, peggio, è un luogo comune, come quelli raccolti da Flaubert nel suo
"Dizionario". E' comune in tutti i paesi ripetere: siamo i più grandi
consumatori di farmaci.... Le nostre medicine sono le più care del mondo...E'
il rapporto con il farmaco ad essere ambiguo, a ogni latitudine. Comunque è
inoppugnabile che in Italia le medicine costino meno che altrove, in tutta
Europa. E' probabile che la confusione, il luogo comune, nascano
dall'esperienza degli acquisti dei farmaci da banco, a prezzo libero: ma
rappresentano in tutto un 15% della spesa per farmaci. Le statistiche
ufficiali, non italiane, ma tedesche, dicono che alla produzione i farmaci
italiani costano meno. Facendo il prezzo italiano uguale a cento, l'indice
francese è 111, quello inglese è 124, quello tedesco è 129, quello americano
264.
E' vero, ho parlato di nazionalizzazione. L'ho fatto per provocare.
Prima, in un'intervista al Sole e poi con il Riformista. Il fatto è che sono
"loro", al governo, che controllano il prezzo e lo decidono, servendosi anche
delle regioni. Hanno una netta preferenza per il prezzo più basso possibile,
ciò che è certo demagogico, ma non è ragionevole come può sembrare. C'è un
primo passaggio, all'Aifa, l'Agenzia italiana del farmaco, il cui compito è
anche quello di controllare i prezzi. Un secondo controllo avviene al momento
della contrattazione, poi è la volta delle Regioni e quando è tutto finito e
contrattato, il prezzo pattuito te lo ribassano d'imperio. Ma non siamo noi
farmaceutici i responsabili del disavanzo del settore sanitario! Così, se il
prezzo dei farmaci lo fissa lo stato, allora lo stato si deve assumere anche
il compito di produrne. Voglio citare un caso. Ho comprato, per produrlo a mia
volta, un farmaco che serve per indurre il parto... aiutarlo, insomma. E' un
principio attivo le cui qualità non sono ancora esaminate del tutto. Per dirne
una, abbastanza sorprendente, aumenta la libido dei maschi, per ora solo dei
topi, in laboratorio. Ma torniamo all'uso principale. Sono sei fiale, sterili.
Il prezzo fissato è due euro e io, Sigma Tau, ne incasso uno. Come è possibile
pensare ragionevolmente che oggi con un euro si possano fare sei fiale, la
scatola, il foglietto illustrativo, il lavoro amministrativo? A due euro si
vendono bene le caramelle, forse. Sarebbe come se voi del manifesto foste
costretti a vendere il giornale a 10 centesimi. Anzi, perché non lo fate? Non
potete? Bene, neanch'io.
Non è vero invece che non ci sia più un'industria
italiana del settore. Ci sono Menarini, Chiesi, Abiogen, Rottapharm, Zambon,
Bracco, Recordati...noi... Una decina d'imprese abbastanza grandi. Il livello
della farmaceutica italiana era di assoluta eccellenza e l'abbiamo perduta.
Ancora recentemente eravamo in testa, nel campo dei vaccini e la ricerca la si
fa ancora, in Italia, solo che ormai è della Novartis, la conglomerata
svizzera. D'altro canto, anche a me capita di riuscire a sviluppare un nuovo
farmaco proprio con i finanziamenti di Novartis, facendo con gli svizzeri un
accordo. La nostra ricerca italiana di nuovi principi attivi spesso può
arrivare fino a un certo punto. Se questo era vero in passato, ora lo è anche
di più. Grandi imprese storiche sono entrate a far parte di gruppi
internazionali. Farmitalia e Carlo Erba, sono state cedute da Montedison.
Forse il limite loro era di fare troppa ricerca, data la limitatezza del
mercato interno. Sviluppare un farmaco costa almeno 400 milioni di euro.
Questo è il livello del rischio. A volte la puntata non riesce, a volte il
successo si rivolta contro come nel caso del Vioxx, l'antiartritico
dell'americana Merck, ritirato con una marea di contestazioni e di cause, dopo
aver fatto un record di vendite. Merck, numero uno mondiale, stava per saltare
per aria. Pfizer, un'altra azienda eccellente, il nuovo numero uno, è essa
stessa in cattive acque; così licenzia migliaia di addetti... Io in 50 anni
non ho mai licenziato nessuno e non vorrei essere costretto a farlo adesso. Ma
voglio dire una cosa che apparirà paradossale. Le imprese italiane non hanno
rinunciato alla ricerca e investono molto. Parlo per me che ho una pipeline di
ricerca spettacolare, una delle migliori d'Europa. E parlo per gli altri, che
costituiscono un settore in pieno sviluppo, nel quale piccoli gruppi di
ricerca, appoggiati da piccoli centri universitari, stanno facendo cose molto
buone.
La ricerca è la mia speranza ma è anche la mia disperazione: E' un
settore il nostro in cui vi sono capacità straordinarie: per tutti cito un
caso, quello di Laura Ferro che ha portato la sua struttura di ricerca,
Gentium, a Wall Street, direttamente, e ora è classificata come una delle
cinquanta donne più importanti al mondo. E' molto difficile la ricerca qui da
noi. Facciamo il caso di un farmaco nuovo che mi costa, come ho detto, 400
milioni di euro. Il suo prezzo in farmacia dovrebbe essere di 30 o 40 euro,
per un po' di tempo. Invece ci sono ben presto i generici che costano 3 o 4
euro... Nessuna pubblica amministrazione consentirà mai di pagare il primo
prezzo. Mi fate notare che è un caso di moneta cattiva che scaccia la buona...
La legge di Gresham, mi pare. Ma voglio rimanere sul mio terreno: questi
industriali dei generici non hanno altro che uffici legali che servono a
buttare giù il prezzo. Il prezzo che il pubblico paga quando compra un
medicinale corrisponde però più al costo della ricerca che a quello della
materia prima, del principio attivo; perché dopo dieci anni il costo della
materia prima si riduce a poco. Il caso è spinoso, ma si può risolvere con una
politica attiva per la ricerca. Questo governo, come i precedenti, aveva
promesso una politica per la ricerca e poi non ha fatto niente. Notate che noi
facciamo il 15% della ricerca del paese. Va a finire che scriverò una lettera
a Prodi per investirlo della questione. Mi capirà, spero.
Non tutti al
governo vedono di buon occhio la ricerca farmaceutica, però...Non mi credete?
...Pensate a un ministro dell'economia che abbia fatto un contratto, alcuni
anni fa, con i pensionati, dando per scontato che questi sarebbero andati in
pensione a 58 anni per morire a 65. Il fatto è che oggi una donna su quattro
muore dopo i novant'anni. Questa è la catastrofe. I ministri dell'economia ce
l'hanno con noi perché gli abbiamo creato un problema. Con i nostri farmaci
abbiamo allungato la vita. Siamo all'origine del disastro demografico, il
bellissimo disastro, di cui siamo orgogliosi.
Non è da per tutto così.
Negli Stati uniti, c'è un ambiente molto più favorevole, per i farmaceutici, a
partire dal rapporto tra industria e università. Il risultato è una sorta di
élite culturale per cui è più facile per un prodotto americano diventare
internazionale: un po' come avviene per i film o per gli artisti, i pittori...
Tornando alla ricerca italiana, per noi farmaceutici è indispensabile
svolgerla, però occorrerebbe un ambiente più favorevole. Gli stessi ministri
del tesoro di prima ragionano come se un convegno scientifico in appoggio alla
ricerca, anzi parte della ricerca, fosse una spesa falsa che cela un profitto
non tassato. Non ci hanno dato sicurezza i governi, né aiuti consistenti. Si
inventano prezzi di riferimento, tetti di spesa cervellotici, pay-back, quando
basterebbe defiscalizzare gli utili investiti nella ricerca. Ma è meglio non
parlarne, si rischia di demoralizzare la borsa.
In effetti pensiamo di
quotare in borsa Sigma Tau. Sono molti anni che vogliamo farlo perché questo
ci consentirebbe di raccogliere capitali ed essere presenti anche all'estero,
per cogliere subito le novità e i cambiamenti. E per farlo devo avere una
pipeline di ricerca; e ce l'ho. E voglio andare avanti con la ricerca in
Italia. A Pomezia, c'era, all'inizio, un centro appoggiato all'Imi, cui
partecipavano altri industriali che poi si sono ritirati. Sono rimasto io e
vado avanti. Non voglio fabbriche in Cina, voglio fare fabbriche in Italia,
fare ricerca in Italia. Se non mi mettono bastoni tra le ruote e riescono a
capire che non si può considerare come spesa produttiva, non tassata, la
pubblicità del lucido da scarpe e utile, da tassare, un congresso di
scienziati. Qui tutti diventano grandi imprenditori quando delocalizzano. Ma
perché si deve arrivare a questo punto? Non credo che sia giusto così. O il
nostro paese deve diventare un posto per camerieri e gondolieri, come diceva
Marinetti di Venezia?
Mi chiedono sempre più spesso. "Hai più di
settant'anni, perché lo fai?" Io rispondo con l'apologo del portabandiera di
Napoleone che dopo aver perso a cannonate le due braccia e una gamba,
saltellava sull'altra portando la bandiera con la bocca. Venne Napoleone e gli
chiese: "perché lo hai fatto, mio eroe? Per il tuo imperatore?, per la
Francia, per i tuoi figli, perché?" E a ogni domanda rispondeva no. "Orsù --
disse l'imperatore - perché allora?" "Per tigna, l'ho fatto. Per tigna". Così
io, ma anche perché penso che potremmo essere un grande Paese davvero!
Ma
vedo che scuotete la testa».....