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effetto serra dalle parole ai fatti
- Subject: effetto serra dalle parole ai fatti
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 6 Feb 2007 06:37:06 +0100
da aprileonline Quotidiano per la sinistra 1
febbraio 2007
Dalle parole ai fatti Massimo Serafini, Questo mese su Aprile, il mensile
Per sapere quali sono i diversi pesi fra efficienza, fonti rinnovabili e fonte di transizione, la prima cosa da decidere è quanta energia serve a questo paese per avere servizi energetici adeguati, una società con una forte coesione sociale, che garantisca a tutti il lavoro e una qualità della vita elevata Se non ora quando agire e passare dalle parole ai fatti. Ora, che si susseguono gli allarmi della comunità scientifica per il clima che cambia. Ora che la febbre del pianeta è percepibile a tutta l'opinione pubblica col diffondersi degli eventi estremi, coi ghiacciai che si sciolgono e gli oceani e i mari che si innalzano e surriscaldano. Ora che la commissione europea rompe gli indugi e abbandona la politica dei continui rinvii, pretesi dagli americani, e decide di fare da sola, chiedendo agli stati membri di ridurre entro il 2020 del 20% le proprie emissioni. Dopo anni di inutili tentativi di coinvolgere tutti nella lotta all'effetto serra forse questo, delle decisioni unilaterali, è il sistema più efficace per trascinare il mondo intero ad agire o almeno per ricreare le condizioni di un tavolo multipolare. Perché dunque anziché mettersi al lavoro, definendo programmi operativi, si continua a perdere tempo in questa disputa paralizzante fra i delusi, per l'eccessiva moderazione e ambiguità delle decisioni prese (quasi tutti gli ambientalisti) e coloro che invece le considerano troppo onerose per il sistema economico e produttivo (la Confindustria)? E' una competizione fra opposti che lascia le cose come stanno, cioè molto male, visto che dovremmo, entro il 2010, ridurre le emissioni climalteranti del 6,5%, rispetto a quelle del 1990, ed invece le stiamo aumentando. Chi pagherà ogni anno le multe di 2-4 miliardi di Euro che la UE ci farà? E' giunto il tempo, anche per gli ambientalisti, di fare i conti con i ritardi e assumersi la responsabilità di avanzare proposte concrete su come un paese industriale e tecnologicamente avanzato come il nostro può, in tredici anni, realizzare quanto ci chiede l'Europa: ridurre le emissioni di gas serra del 20% rispetto al 1990, ovvero del 33% rispetto ad oggi. La prima cosa da dire a chi deve prendere le decisioni è che questo obiettivo, se c'è la volontà politica, è realizzabile. Indirizzare le scelte in questa direzione significa fare la principale riforma di cui questo paese ha urgente bisogno per rilanciarsi: quella del suo sistema energetico e di trasporto. Produrre una svolta nelle politiche energetiche e della mobilità di persone e cose, tale da consentire una riduzione delle emissioni di gas serra, come quella che ci chiede l'Europa, impone si avvii una graduale riconversione del nostro apparato produttivo, si investa in ricerca, gradualmente si esca da questo modello di consumo dissipativo e senza benessere e più in generale impone politiche economiche e fiscali in totale discontinuità con quelle più o meno liberiste finora perseguite. Dalle parole ai fatti è tempo passi anche il movimento ambientalista se
vuole incidere e fare della lotta al riscaldamento globale la priorità delle
scelte di governo. A che serve continuare a lamentarsi che le riduzioni previste
dalla commissione europea sono troppo modeste o denunciare che queste aprono
degli spazi al carbone o all'agnosticismo sul nucleare, se poi
contemporaneamente non si fanno i conti con le emissioni aumentate anzichè
diminuite? E farli implica dire che ciò è avvenuto, non solo per le resistenze
accanite al cambiamento degli interessi colpiti, Enel ed Eni in testa, ma anche
perché molti ambientalisti hanno impedito in questi anni il decollo dell'eolico,
contrastato le biomasse e i biocarburanti ed infine, in attesa del 100%
rinnovabile, rifiutato il metano come fonte di transizione. Insomma, se
veramente vogliamo costruire le condizioni politiche e i rapporti di forza
necessari per fare ciò che l'Europa ci chiede non è più possibile annunciare le
catastrofiche conseguenze della degenerazione climatica e contemporaneamente
dire che gran parte delle soluzioni possibili, rinnovabili comprese, sono da
rifiutare perché produttrici di altrettanti disastri ambientali.
La ricetta per ridurre le emissioni è nota da tempo: è necessario spingere
il governo a prendere decisioni capaci di aumentare l'efficienza e gli usi
intelligenti dell'energia, di procurare la maggior parte dell'energia necessaria
dalle fonti rinnovabili (quelle vere e quindi senza le assimilate, rifiuti
compresi), e usare, prevalentemente, il metano per coprire ciò che inizialmente
le rinnovabili non saranno ancora in grado di coprire, escludendo di conseguenza
sia l'uso del carbone che del nucleare.
Per sapere quali sono i diversi pesi fra efficienza, fonti rinnovabili e
fonte di transizione, la prima cosa da decidere è quanta energia serve a questo
paese per avere servizi energetici adeguati, una società con una forte coesione
sociale, che garantisca a tutti il lavoro e una qualità della vita
elevata.
Oggi consumiamo grosso modo 200 milioni di tep (tonnellate equivalenti di petrolio) ogni anno (3,4tep/abitante), con una tendenza all'aumento, che viene usata come giustificazione per nuove centrali. La proposta è di puntare prima a una stabilizzazione di questi consumi e successivamente a una loro decrescita che riduca entro il 2020 del 20% il fabbisogno di fonte energetica primaria. Tutto ciò non solo è possibile, come la Germania ed i paesi del Nord Europa ci dimostrano, ma è anche conveniente farlo. Infatti di questi 200 milioni di tep che oggi consumiamo oltre la metà sono sprechi eliminabili. In altre parole sarebbe tecnicamente possibile avere gli stessi servizi di riscaldamento, fresco, illuminazione, forza motrice, telematica e comunicazioni consumando soltanto la metà, rispetto ad oggi, di energia primaria. Basta ricordare le note lampadine a risparmio che, rispetto alle normali lampadine incandescenti, risparmiano il 75-80% dell'energia necessaria fornendo la stessa quantità di luce. Quanti di questi sprechi vogliamo eliminare? La proposta è di realizzare, da qui al 2020, un aumento di efficienza del 20% a parità di servizi. Farlo porterebbe ad una riduzione delle emissioni di gas serra del 20% rispetto ad oggi (120Mtep). Soprattutto è a costi negativi. Vanno in questa direzione le misure contenute nella finanziaria (deducibilità fino al 55% per ristrutturazioni energetiche degli edifici, caldaie a condensazione, pannelli solari termici), ma per raggiungere il 20% serve molto di più. Alcune scelte, come quella di incentivare una generale sostituzione degli elettrodomestici eliminando dal mercato quelli inefficienti o quelle di favorire una diffusa penetrazione delle lampadine efficienti sono abbastanza semplici. Altrettanto facile è aumentare gli obiettivi per i certificati bianchi il cui bilancio è deludente. Come già avviene in altri paesi, occorre creare un quadro normativo moderno ed appropriato per le ESCO, società specializzate nei servizi di efficienza energetica. In tutte le città va creata una diffusa rete di sportelli energetici per il pubblico e fornito un contributo per le diagnosi energetiche, in modo che le famiglie, i cittadini, gli artigiani e le piccole imprese possono ottenere consigli qualificati ed indipendenti su come intervenire a casa loro, e nelle loro imprese per risparmiare energia. Occorre una diversa attuazione della direttiva comunitaria sugli edifici che introduca il libretto casa e fissi i consumi massimi consentiti di un edificio (tenendo conto delle aree climatiche mediamente 30kWh/mq l'anno per gli edifici nuovi e 60kWh/mq l'anno per quelli ristrutturati).. Fondamentale infine è favorire una revisione dei regolamenti edilizi indirizzandoli verso scelte come quelle già compiute a Bolzano e Carugate e contrastare la tendenza del mercato a proporre soltanto il condizionatore d'aria come soluzione unica. Il cambiamento proposto sollecita un ripensamento della scelta di liberalizzare la vendita di energia anche per le famiglie, che non aiuta le politiche di risparmio, ma solo a premiare, con prezzi scontati, chi consuma più energia prodotta da fonti inquinanti che beneficia del privilegio di poter inquinare gratuitamente, mentre la collettività si accolla i relativi costi sanitari e di bonifica. Va inoltre sollecitato un intervento sul sistema tariffario che fissi, per le aziende distributrici gas ed elettricità, un tetto ai guadagni in funzione dei servizi forniti e del numero di utenti serviti, e non dei kWh di energia elettrica o dei m3 di gas venduti, portando in questo modo le aziende a guadagnare sull'efficienza dei serviti forniti, e non sulle quantità di energia venduta. Per quanto riguarda il contributo delle fonti rinnovabili alla produzione di elettricità, la proposta è di arrivare, come ci chiede la comunità europea, al 25% entro il 2010, e al 40% entro il 2020. In meno di un decennio le turbine eoliche installate in Germania hanno raggiunto oltre 20.000MW di capacità installata, ed in Spagna 12.000MW. Pertanto, considerando i potenziali eolici dei crinali del Appennino è del tutto plausibile per l'Italia prevedere uno sviluppo dell'eolico che installi entro il 2020 almeno 12.000MW. Sommando insieme l'eolico con il solare Fotovoltaico, solare
termoelettrico, la generazione geotermica, quella da biomasse e quella
mini-idroelettrica, la potenza rinnovabile complessiva potrà arrivare ad una
capacità di oltre 20.000MW. In questo modo gli attuali 50TWh/anno di contributo
rinnovabile raddoppieranno fino a raggiungere un totale di 100TWh/anno di
elettricità verde, coprendo in questo modo il 42% del fabbisogno elettrico
totale (che nel frattempo si sarà ridotto del 20%). Questi interventi riducono
le emissioni di gas climalteranti di ulteriori 35Mton di CO2 (-7% rispetto alle
emissioni del 1990).
Per realizzare questi obiettivi è necessario non solo eliminare il furto fin qui perpetrato con le cosiddette fonti "assimilate", ma anche rivedere il meccanismo dei certificati verdi che finisce per favorisce solo le fonti rinnovabili mature e meno bisognose di sostegno. La proposta è di introdurre il meccanismo di incentivazione del "conto energia" per tutte le rinnovabili naturalmente con tariffe incentivanti differenziate a seconda della diversa maturità della fonte. Per quanto riguarda il contributo delle rinnovabili nella produzione di
calore (riscaldamento, acqua calda sanitaria, calore di processo) l'obiettivo al
2020 è una penetrazione di mercato del 20%,. Se realizzato toglierebbe emissioni
per circa 30MtonCO2 (-6% rispetto alle emissioni del 1990). Per realizzarlo,
oltre alle cose previste dalla finanziaria, è decisivo, per diffondere il solare
termico, un provvedimento di deducibilità totale dell'investimento,
l'eliminazione delle barriere normative ancora diffuse in Italia e
l'introduzione generalizzata, a livello nazionale, dell'obbligo di applicazione.
Importante il ruolo delle biomasse nella produzione di calore tramite caldaie e
teleriscaldamenti alimentati a Pellets e cippato stimolando in questo modo la
relativa filiera produttiva, la manutenzione del territorio e lo sviluppo
economico nei piccoli comuni montani.
Infine due parole sulla transizione che va basata sul metano. Per quanto
riguarda l'approvvigionamento del gas necessario a coprire ciò che resta non
coperto da efficienza e fonti rinnovabili gli accordi trentennali stipulati con
Russia e Algeria paiono più che sufficiente a coprire il fabbisogno rimanente.
Se si ritiene più conveniente diversificare ulteriormente si può autorizzare uno
o due impianti di rigassificazione, realizzandoli però in aree in cui possano
essere affiancati da una filiera produttiva (per es. alimentare) in grado di far
uso dell'enorme quantità di freddo generata dall'impianto rigassificatore.
Per quanto riguarda la generazione termoelettrica (da gas metano o da qualunque altro combustibile) vanno respinte tutte le proposte che non prevedono la cogenerazione di energia elettrica e calore. In questo contesto la proposta più innovativa e quella della microcogenerazione e trigenerazione. Si tratta di intervenire da qui al 2020 presso 30 mila imprese industriali, artigianali e del terziario, fra grandi alberghi, ospedali, centri commerciali, in modo che possano autoprodursi l'elettricità, il calore e il freddo da queste tecnologie per un totale di circa 15.000 MW elettrici installati. Infine per la produzione di energia elettrica nelle centrali
termoelettriche si propone di seguire l'esempio della Danimarca, che oggi è il
paese al mondo con il più alto contributo della Generazione Distribuita, basato
su impianti di cogenerazione e teleriscaldamento di media e piccola taglia e su
fonti rinnovabili (prevalentemente eolico). Pertanto in Italia occorre prevedere
la graduale sostituzione delle vecchie centrali non-cogenerative di grande
taglia con un numero più elevato di centrali cogenerative di piccolo/media
taglia fra 20-100 MW, che quindi andranno localizzate in zone dove serva
soprattutto il calore (essendo l'elettricità svincolata in quanto facilmente
trasportabile). La proposta è di sostituire almeno 10.000MW di centrali
inefficienti ed inquinanti con queste centrali cogenerative di piccola/media
taglia che, insieme con la micro-cogenerazione e trigenerazione, potranno
realizzare un risparmio di fonte primaria pari a circa 10 Mtep ed evitare
emissioni climalteranti per oltre 20MtonCO2.
Come si intuisce queste proposte hanno senso solo nel quadro di una scelta che favorisca anche un modello energetico non centralizzato come quello attuale, ma diffuso sul territorio e quindi preveda una ristrutturazione della rete elettrica che tenga conto e favorisca lo sviluppo della generazione distribuita basata sulle fonti rinnovabili e sulla cogenerazione e trigenerazione. Ai trasporti e ai riflessi occupazionali di queste politiche dedicheremo questa pagina nel prossimo numero. |
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