da lavoceinfo.it
29-05-2006
Mercati e legalità
Francesco
Vella
L'ultima legislatura ha segnato un momento importante nel
diritto dell'economia: riforme come quella delle società e delle procedure
concorsuali hanno modificato un ordinamento ormai obsoleto che condizionava
le potenzialità di sviluppo delle imprese.
Sarebbe sbagliato se il nuovo
Governo cedesse a tentazioni giacobine smantellando un impianto legislativo
che ha, invece, bisogno ancora di sedimentazione e sperimentazione per
entrare a pieno regime e dare i suoi frutti.
Le garanzie per imprese e investitori
Questo
non significa, però, rinunciare ad alcuni incisivi interventi assolutamente
necessari, e colpevolmente tralasciati, proprio per far funzionare quelle
riforme.
Non si tratta solo della ormai scontata esigenza di un
riequilibrio dell'apparato sanzionatorio che, una volta demolite, queste sì,
le norme a protezione di interessi personali, rappresenti un buon presidio
alla veridicità dei dati contabili delle imprese. C'è, infatti, bisogno di
un generale rafforzamento dell'insieme delle tutele, usando un termine molto
di moda potremmo dire della legalità, nella regolamentazione dell'attività
di impresa.
Così, se nel diritto societario va attentamente rimeditato il
complesso dei controlli giudiziari sulle irregolarità gestionali,
sensibilmente indeboliti dalla riforma in particolare per le società non
quotate, nella disciplina delle procedure concorsuali deve essere recuperato
il ruolo di garanzia del giudice non solo nelle procedure ordinarie, ma
anche e soprattutto in quelle straordinarie, dominate da un presenza
pervasiva e troppo discrezionale della pubblica amministrazione.
Sempre
nella prospettiva di un rafforzamento delle garanzie, bisogna riprendere il
percorso, interrotto nella scorsa legislatura, per introdurre strumenti che
consentano un rapido, efficiente e poco costoso accesso alla giustizia per
gli investitori colpiti dai grandi crac. Una equilibrata disciplina della
class action, che tenga conto dei limiti di compatibilità del nostro
ordinamento, rappresenta un mezzo di tutela economica per tutti coloro che
hanno poche disponibilità per affrontare lunghi processi. E una forma di
giustizia più selettiva rispetto ai rimborsi generalizzati previsti
dall'ultima Finanziaria Inoltre, la sua efficacia deterrente, senza,
ovviamente, avere effetti "miracolistici", può contribuire a prevenire il
ripetersi di fenomeni di criminalità economica.
Buoni giudici per buone regole
Tutti questi
interventi presuppongono, però, un adeguamento della organizzazione e della
qualificazione professionale dei giudici per offrire soluzioni adeguate e
tempestive ai nuovi compiti. E presuppongono, quindi, il superamento delle
forti resistenze corporative che finora hanno impedito di creare una
giustizia specializzata. Non solo gli avvocati, timorosi di una riduzione
del volume di attività, ma anche una buona parte dei giudici hanno bloccato
tutte le proposte, contenute già nell'originario progetto di legge della
riforma societaria, per creare sezioni specializzate in materia societaria e
finanziaria. In sostanza, anche per i magistrati deve valere il banale
principio della qualità dei servizi offerti, per garantire una effettiva
tutela ed equità nei rapporti tra imprenditori, consumatori e investitori.
D'altronde, uno strumento così rilevante, ma anche delicato e sofisticato,
come la class action, in mano a un magistrato privo di approfondite
conoscenze e non coadiuvato da una adeguata organizzazione, corre il
pericolo di avere effetti esattamente opposti a quelli desiderati.
Le Autorità di controllo
Analoghe
resistenze hanno frenato un'altra importante riforma utile per la "legalità"
sui mercati finanziari. Si è ripetuto fino alla noia come la causa
principale dei recenti scandali siano state le evidenti lacune nel sistema
dei controlli, interni ed esterni. Ma mentre per i primi con la legge sul
risparmio si è posto qualche rimedio, per i secondi si è fatto poco.
Incrementare i poteri delle Autorità e dare loro strumenti rapidi e incisivi
è importante, ma gli ultimi dissesti mettono in evidenza come il vero
problema sia quello di una razionalizzazione e riorganizzazione delle
competenze per evitare che si creino aree grigie che possono incentivare
comportamenti elusivi o illeciti.
La legge sul risparmio è intervenuta
solo sulla concorrenza bancaria, ma non ha operato nessuna semplificazione.
Al contrario, nella classica zona Cesarini, il Governo ha pensato bene di
rifilarci una nuova e fantomatica "commissione per la tutela del risparmio"
della quale nessuno ha finora capito quali siano i compiti. Insomma, la
confusione regna sovrana. E dalle future aggregazioni e concentrazioni sui
mercati nasceranno nuove esigenze di controlli più stringenti ed efficaci
che l'attuale assetto di vigilanza non soddisfa. Ad esempio, nella
turbolenta vicenda Unipol-Bnl in pochi hanno colto il vero problema che
quella aggregazione avrebbe generato e cioè il fatto che quando nasce un
grande operatore polifunzionale non è ben chiaro chi e come debba esercitare
il controllo (la normativa sui conglomerati è alquanto confusa). Il rischio
è quello di inutili sovrapposizioni e soprattutto di una mancanza di
chiarezza circa l'attribuzione di responsabilità per gli interventi
preventivi e successivi nelle ipotesi di patologia. Senza tener conto, poi,
dei costi che i grandi gruppi devono affrontare nell'interloquire con molti
organismi di controllo, ciascuno con il suo linguaggio e i suoi
poteri.
Un nuovo Testo unico bancario?
In
conclusione, un futuro legislatore attento ai bisogni di correttezza e
trasparenza di imprese e mercati, più che andare alla ricerca di nuove
regole, dovrebbe occuparsi di una "buona applicazione" di quelle già
esistenti, con un'unica, ma importante eccezione: il Testo unico bancario.
È una normativa relativamente recente, ma che alla prova dei fatti, non
ha sempre garantito criteri di vigilanza efficaci, oggettivi e uniformi. Ad
esempio, l'uso illegittimo che per lungo tempo si è fatto dei poteri
autorizzatori per difendere l'"italianità" del sistema creditizio, e il
rischio che una banca al cui interno si sono manifestati fenomeni di
criminalità economica potesse acquisire, sempre per un uso disinvolto di
quei poteri autorizzatori, il controllo di altre banche, dimostrano come un
ripensamento complessivo su questi aspetti sia necessario. Anche in questo
caso, deve essere un ripensamento equilibrato e senza spiriti giacobini,
tenendo presente che i controlli di stabilità sulle banche sono un bene
prezioso per i mercati, ma debbono, appunto, essere rispettosi dei mercati e
lontani da ogni tentazione dirigistica. La speranza è che il Parlamento
trovi i tempi e le energie necessarie per programmare seriamente una così
importante riforma.
Crimini e misfatti delle
imprese
Grazia Mannozzi
Marco Arnone
In
Italia, la responsabilità amministrativa delle imprese derivante da delitto
è stata introdotta solo con il decreto legislativo 231/2001 e segue
consolidate esperienze internazionali. Ha ovviamente anche una valenza
preventiva perché sollecita le imprese a dotarsi di meccanismi e procedure
(i cosiddetti compliance programs) volti, ex ante, a impedire che dipendenti
o manager commettano illeciti negli interessi dell'azienda ed, ex post, a
fungere da elementi in grado di elidere o di attenuare la colpevolezza
dell'ente. A cinque anni dalla introduzione della legge si può tentare un
primo bilancio sulla sua efficacia.
Bilancio di una legge
Anzitutto, va
precisato che la responsabilità amministrativa dell'impresa può sorgere solo
per effetto della commissione di un reato, da parte di una persona fisica,
tra quelli espressamente e tassativamente previsti dal decreto legislativo
231/2001.
Il catalogo dei reati era inizialmente limitato a poche
fattispecie: alcuni delitti contro la pubblica amministrazione (corruzione,
concussione, malversazione), e le frodi in sovvenzioni. Con interventi
successivi, sono state incluse le falsità in monete e nelle carte di
pubblico credito, i reati societari, i delitti con finalità di terrorismo o
di eversione dell'ordine democratico e alcuni delitti contro la personalità
individuale (come la riduzione in schiavitù); le pratiche di mutilazione
degli organi genitali femminili e, relativamente al crimine organizzato
transnazionale, il riciclaggio, l'associazione per delinquere (anche di
stampo mafioso o finalizzata al traffico illecito di stupefacenti), la
violazione delle norme sulla immigrazione e i delitti di "intralcio alla
giustizia" sono stati aggiunti agli inizi del 2006.
Nonostante
l'ampliamento, sono reati di realizzazione statisticamente limitata e ciò
può minare l'effettività delle norme sulla responsabilità penale delle
imprese. Le ipotesi potenziali più ricorrenti sono costituite, stando ai
dati Istat, dalla truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni
pubbliche e dai reati contro la pubblica amministrazione, tipicamente la
corruzione. Uno screening del marzo 2006 dell'archivio della Corte di
cassazione per verificare come la law in the books si sia trasformata in law
in action, ha dato risultati per certi aspetti sorprendenti: non vi sono
ancora state condanne a carico di imprese bensì soltanto una decina di
ordinanze di applicazione di misure cautelari e due sentenze di legittimità
in materia di reclamo avverso l'emissione di misure cautelari. La quasi
totalità delle ordinanze, inoltre, è relativa a episodi di corruzione
realizzati da persone fisiche nell'interesse dell'impresa, e perciò
riconducibili a essa e non, come ci si sarebbe potuto aspettare, a truffe
aggravate o a reati societari.
.......
Si potrebbe ipotizzare che negli anni 1992-1996 siano
stati commessi più episodi di corruzione che in passato. L'ipotesi più
plausibile è invece che in quel periodo vi è stata una brusca emersione
della "cifra nera": ce lo fa pensare l'indice di percezione della corruzione
elaborato da Transparency International, che dal 2001 indica un
peggioramento della situazione italiana, dopo il miglioramento seguito alla
"moralizzazione" avviata con Mani pulite. Quanto all'andamento delle persone
condannate, sembra risentire in misura tutto sommato modesta del picco di
denunce avutosi tra il 1992 e il 1996, indicando probabilmente una limitata
efficacia del sistema complessivo di repressione.
Corruzione e
concussione (e falso in bilancio) emergono in misura esigua poiché raramente
vengono a conoscenza dell'autorità per effetto della spontanea denuncia di
un 'attore' o 'spettatore': almeno in passato, si sospettava la
realizzazione di un falso in bilancio quando emergeva un episodio rilevante
di corruzione. Se dunque la corruzione è già di per sé un reato a elevata
cifra nera, il falso in bilancio - tipico reato dell'impresa - ha con molta
probabilità un indice di occultamento ancor più elevato. Fenomeno
ulteriormente aggravato dalla riforma attuata con il decreto legislativo
61/2002, che ha creato un meccanismo repressivo dei reati societari di per
sé "debole", per effetto sia della prescrizione breve, sia del regime di
procedibilità a querela introdotto per le ipotesi di falso in bilancio che
comportano un danno ai soci o ai creditori.
Nella prospettiva di medio
periodo, dunque, la scarsa frequenza statistica dei reati-base che
comportano la responsabilità dell'impresa e le recenti riforme sul falso in
bilancio, renderanno molto limitata l'applicazione delle norme sulla
responsabilità ex crimine della persona giuridica, almeno in questo settore.
Rischia di essere un complesso di norme raffinatissime che accedono, però, a
una realtà criminosa scarsamente afferrabile e che per di più ha in Italia
ha una "percentuale di chiarimento", l'accertamento giudiziale della
sussistenza di un illecito a partire dalla denuncia,
bassissima.
La best practise della Banca Mondiale
Nella
lotta alla criminalità d'impresa si iscrive, forse con parametri di
efficacia maggiori rispetto a quelli del diritto penale-amministrativo
italiano, l'attività di crime control della Banca Mondiale, che si è di
recente dotata di un sistema di giurisdizione interna.
La Banca Mondiale
finanzia progetti di investimento in paesi in via di sviluppo e in tale
ruolo interagisce con centinaia di imprese e individui. (2) Reprime con
provvedimenti interni (amministrativi) condotte (quali frode o corruzione)
commesse da singoli o da imprese che hanno avuto contratti in progetti che
ha finanziato. Dal 1999 al 2004 ha sanzionato, per essersi rese responsabili
di fatti di frode o corruzione, trentuno imprese con l'esclusione in via
temporanea o permanente dalle attività con la Banca, e otto imprese con
lettere di biasimo .
.............
La Banca Mondiale sta cercando inoltre di
ampliare il catalogo delle sanzioni per le imprese per modularle rispetto
alla tipologia delle violazioni commesse, valutando in particolare la
possibilità di introdurre misure di prevenzione, quali la sospensione delle
attività con imprese (o individui), mentre è ancora in corso la procedura di
indagine interna.
Un ulteriore esempio di best practice nella lotta alla
corruzione internazionale è quello statunitense, avviato con il Foreign
Corrupt Practices Act (Fcpa) del 1977, precursore della convenzione Oecd del
1997. Il Fcpa "vieta alle società americane di corrompere funzionari
stranieri con la finalità di ottenere o mantenere affari". (3) La legge
prevede sanzioni molto severe per le imprese: fino a 2 milioni di dollari
per ogni singola violazione. Il termine di prescrizione è di cinque anni,
aumentabile di altri tre nel caso di richiesta di prove all'estero. Questi
esempi dovrebbero essere uno stimolo anche per l'Italia a utilizzare in
maniera più incisiva gli strumenti di prevenzione e repressione del
corporate crime e a adottarne di nuovi.
Occorrerebbe rafforzare l'ambito
di applicabilità della norma anche estendendo la responsabilità dell'ente a
quei reati originariamente previsti dalla legge delega e ancora esclusi:
specificamente, ai reati "a base rischiosa", come ad esempio quelli del
"produttore" - spesso economici nelle motivazioni (omicidi e lesioni colpose
e a seguito di violazioni delle normative antinfortunistiche, disastri
colposi eccetera), ma offensivi anche di beni diversi da quelli economici,
inclusa l'incolumità di una collettività di lavoratori o consumatori o
comunità di cittadini - nonché ai reati connessi alla sicurezza sul lavoro o
ai reati ambientali.
(1) I dati derivano da una più ampia ricerca
empirica che G. Mannozzi e P. Davigo stanno conducendo sulla risposta
ordinamentale alla corruzione (in corso di pubblicazione presso
Laterza).
(2) In media la Banca Mondiale approva 240 nuovi progetti
l'anno e ha un portafoglio complessivo di circa 1400. In totale, quindi,
sono migliaia le imprese che hanno contratti con la Banca .
(3)
Acquaviva, 2001, "La legislazione statunitense in materia di lotta alla
corruzione di fronte agli ultimi sviluppi internazionali", Dir. Comm.
Internaz., 3, p. 625.
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