il rifiuto amico dell'aria



da qualEnergia 2006

Il rifiuto amico dell'aria
ll riciclo eco-efficiente: potenzialità ambientali ed energetiche dell’economia del riciclo
Come dimostra questo studio condotto da Ambiente Italia, l’economia del riciclo rappresenta un’importante opportunità per rendere l’Italia più competitiva, ricca e meno inquinata. Di fatto, l’impiego di materia seconda in alcuni cicli produttivi rivela potenzialità ambientali ed energetiche strategiche per il comparto industriale: sia per fronteggiare una fase economica difficile, sia per ridurre i consumi energetici e le emissioni climalteranti e quindi permettere all’Italia di rispettare gli obblighi derivanti dal Protocollo di Kyoto.

10 aprile 2006

Il riciclo eco-efficiente: potenzialità ambientali
ed energetiche dell’economia del riciclo

Autori Elio Altese, Duccio Bianchi, Daniele Cesano,Emanuela Menichetti
Revisione Duccio Bianchi

Il riciclo eco-efficiente
1 L’ECONOMIA DEL RICICLO
L’industria del riciclo non è un pezzo del sistema di gestione dei rifiuti. È, piuttosto, una
componente del sistema industriale ed economico nazionale.
Le attività di recupero dei rifiuti – urbani e dei cicli industriali produttivi – e le attività
industriali classificate come “riciclaggio” (attività di lavorazione – meccaniche o chimiche
- di rifiuti, cascami e rottami selezionati o non selezionati per trasformarli in materie prime
secondarie idonee al reimpiego in altri processi produttivi) costituiscono una indispensabile
fonte di approvvigionamento per una parte significativa del sistema industriale.
L’accresciuta rilevanza economica dell’industria del riciclo è testimoniata
dalla vivacità del settore. In Italia – e con più evidenza in Europa – il settore del
riciclaggio è cresciuto a ritmi ben superiori a quelli dell’industria nel suo insieme. In
Italia, tra il 2000 e il 2004, l’indice della produzione industriale ha subito una
contrazione del 3,8%, mentre l’indice delle attività di riciclaggio è cresciuto del 5%
Tra il 1997 e il 2002 il valore della produzione del settore riciclaggio (come
definito nella classificazione Nace) è passato da 1.092 milioni di € a 2.583
milioni di €. All’interno del settore del riciclaggio rimane dominante il recupero
dei metalli.. Il riciclo dei metalli valeva, nel 2002, 1.175 milioni di €, circa il 45%
della produzione del settore. L’insieme degli altri settori di riciclo ha però
conosciuto una crescita più accelerata , passando nello stesso periodo da un valore
di 435 milioni di € a 1.408 (cioè dal 40% al 55% del valore dell’intero settore).
La matrice input/output dell’economia italiana (la cui ultima annualità disponibile è il
2001) mostra la diffusione degli impieghi dei prodotti di recupero nel sistema industriale.
La significatività è particolarmente elevata soprattutto nelle branche della produzione di
“metalli e leghe”, “carta e cartotecnica”, “industrie tessili”, “fabbricazione di mobili”,
“industria del legno”, “minerali non metalliferi” e “fabbricazione di articoli in gomma e
materie plastiche”.
Il valore assoluto degli impieghi di materiale di recupero ai prezzi d’acquisto è cresciuto
nel periodo 1995-2001, raggiungendo il valore di ca. 6.000 milioni di euro.
La percentuale degli impieghi di tali materiali sul totale delle materie prime e dei prodotti
intermedi (escluso acqua, energia, servizi e commercio) nei settori interessati si aggira
attorno all’1,5% sull’insieme dell’economia nazionale, ma sale al 2,4% sulle sole attività
industriali.
L’incidenza dei materiali di recupero è particolarmente accentuata nel settore della
produzione metallurgica, che concentra il 62% del valore degli impieghi di prodotti di
recupero.
Anche l’incidenza degli impieghi dei materiali di recupero sia rispetto al totale degli
acquisti di materie prime e intermedi che rispetto al valore aggiunto è più rilevante nel
settore metallurgico che negli altri settori industriali
La disponibilità di materie prime secondarie è oggi fondamentale per una pluralità di
settori industriali. Oltre al settore dell’acciaio e dell’alluminio – dove i volumi produttivi
sono sempre più determinati dalla produzione secondaria e che richiedono importanti flussi
di materiali importati – vi è una forte dipendenza dalla disponibilità di materia seconda
anche in altri comparti della produzione metallurgica, nel settore cartario, nel settore
vetrario, nella lavorazione del legno e nella produzione di mobilio, nel tessile laniero, nelle
materie plastiche.
Per la produzione di acciaio, di alluminio, di piombo e di carta in Italia oltre il 50% degli
input produttivi principali è costituito da materie seconde, derivanti sia dagli scarti di
produzione, che da attività di selezione e recupero dei rifiuti .
Nel corso dell’ultimo decennio, la concomitanza tra nuove politiche di recupero dei rifiuti
e l’evoluzione delle produzioni industriali ha ridefinito, almeno in parte, il volto del riciclo
in Italia.
Valore impieghi dei materiali di recupero
Metalli e loro leghe
62%
Carta-cartotecnica
8%
Industrie tessili
8%
Mobili e legno
5%
altro
17%
Accanto al recupero dei rottami metallici, che era e rimane la componente più rilevante
dell’economia del riciclo, sono comparsi o si sono consolidati nuovi attori nel settore
cartario, delle materie plastiche, del legno, degli oli, delle batterie.
La non omogeneità dei dati disponibili, le variazioni nei quantitativi registrati attribuibili a
innovazioni normative e le incertezze relative ad alcuni flussi non consentono una
rappresentazione esaustiva e affidabile delle dinamiche del recupero dei materiali.
Complessivamente, però, sia la raccolta che il riciclo interno hanno mostrato una costante e
quasi generalizzata crescita.
All’incremento della raccolta interna non ha però sempre fatto riscontro un corrispondente
incremento della capacità di riciclo. Per alcuni materiali, lo sviluppo della raccolta interna
si è associata più ad una flessione delle importazioni dall’estero che ad uno sviluppo delle
capacità di riciclo interno.
Le capacità nazionali di riciclo presentano una struttura molto variabile a seconda del
settore industriale.
Nell’industria metallurgica, l’impiego di rottami e la produzione di metalli
secondari è ben consolidata e in crescita.
L’Italia presenta, sia per l’acciaio che per l’alluminio, una forte produzione
secondaria che richiede ancora consistenti importazioni dall’estero.
In altri settori - – il più rilevante è il cartario dove tra il 1995 e il 2004 il
rapporto tra fibra di recupero e fibra vergine impiegata è salito del 9,8% -
l’incremento dei recuperi interni ha addirittura superato la capacità interno di
riciclo, trasformando l’Italia (storico importatore di carta da macero) in un
esportatore netto.
Nel settore tessile – dove purtroppo scarseggiano statistiche affidabili – è
opinione comune degli operatori che si è registrato un costante e forte
ridimensionamento del mercato del recupero (testimoniato anche dalla
drammatica contrazione dei volumi produttivi dei tradizionali settori di impiego).
Nelle materie plastiche si è registrata una crescita sia della raccolta che della capacità di
riciclo (con una marcata riduzione dell’incidenza delle importazioni), che però incontra
oggi difficoltà di sviluppo del mercato dei prodotti riciclati.
Le difficoltà incontrate dal settore del potrebbero non essere congiunturali.
L’evoluzione dei mercati e della struttura della produzione industriale italiana, con una
progressiva contrazione della produzione manifatturiera a più basso valore aggiunto,
potrebbero – “business as usual” – determinare anche una contrazione (o una stagnazione)
della capacità di riciclo interno.
In questo scenario si potrebbe determinare una asimmetria tra andamento dei recuperi e
andamenti dei ricicli. Da paese tradizionalmente “importatore” di cascami e rifiuti, l’Italia
si trasformerebbe (come già avviene in altri paesi europei) in paese esportatore.
D’altra parte – e anche questa costituisce in parte una novità – il mercato dei prodotti di
recupero è sempre più un mercato globale e sempre meno un mercato nazionale o
addirittura regionale.
In assenza di appropriati interventi, l’indebolimento dell’industria nazionale di riciclo,
però, si rifletterebbe anche sull’efficienza dell’intera filiera di raccolta e di gestione dei
rifiuti – sia urbani che industriali.
In questa prospettiva diventerebbe importante riflettere sulle possibilità di:
�� valorizzare le potenzialità di riciclo ancora esistenti nell’industria italiana (il tasso di
utilizzo in settori importanti come la carta o il vetro o gli inerti ha grandi potenzialità di
crescita), anche con interventi di sviluppo e sostegno del mercato “riciclato”, appena
avviati con le norme sul “green procurement” delle pubbliche amministrazioni (non
adeguatamente implementate);
�� creare potenzialità di valorizzazione all’estero della raccolta interna, rafforzando le
capacità logistiche e di stoccaggio e supportando adeguatamente le operazioni di
trading internazionale;
�� individuare mercati e sbocchi alternativi, tra i quali anche la produzione di combustibili
per recupero energetico, in primo luogo per gli scarti degli stessi processi di recupero
(nel solo settore cartario pari a oltre 250.000 tonnellate) per i quali sono comunque
necessarie misure di riduzione delle penalizzazioni (ad esempio tributi di smaltimento
in discarica per gli scarti) a carico delle operazioni di riciclo.
Di particolare rilievo è la dimensione ambientale del recupero e riciclo. Finora questa
dimensione è stata confinata alla gestione dei rifiuti. È questo – ovviamente – l’aspetto
dominante e, in parte, anche il motore anche delle stesse attività industriali.
Ma gli effetti ambientali dell’economia del riciclo vanno ben oltre. Attraverso il recupero
e il riciclo dei materiali, l’economia del riciclo contribuisce in maniera sostanziale all’ecoefficienza
generale del sistema, determina significativi risparmi energetici e di uso di
risorse non rinnovabili, consente apprezzabili riduzioni delle emissioni sia nella
produzione che nello smaltimento finale.
In Italia, secondo i dati aggregati disponibili, le operazioni di riciclo dei rifiuti urbani, nel
2003, hanno consentito la valorizzazione di ca. 6,5 milioni di tonnellate di materiali (3,4
milioni di tonnellate escludendo la frazione organica). Questi flussi sono stati oggetto di
effettivo riutilizzo industriale in maniera variabile a seconda della tipologia di materiale,
ma comunque per una quota che complessivamente può essere valutata non inferiore al
75%. Nella gestione dei rifiuti urbani la raccolta differenziata e il riciclo hanno
rappresentato la principale innovazione gestionale e la più significativa forma di
trattamento alternativa alla discarica, con una incidenza circa doppia rispetto
all’incenerimento (considerando, tra l’altro, che i trattamenti meccanico-biologici generano
oggi importanti quantità di residui soggette comunque allo smaltimento in discarica).
Nel settore dei rifiuti industriali – dove la contabilità è più incerta – le operazioni di riciclo
hanno apparentemente riguardato circa 44 milioni di tonnellate di materiali (di cui 1,4
milioni costituiti da rifiuti pericolosi). Per i rifiuti non pericolosi, le quantità di rifiuti
avviati al recupero/riciclo delle sostanze inorganiche subiscono un incremento notevole
arrivando a circa 21 milioni di tonnellate. Nella maggior parte dei casi si tratti di recuperi
di inerti da demolizione e costruzione effettuata attraverso l’impiego in rilevati e sottofondi
stradali, rimodellamenti morfologici, riempimenti di cave, ricopertura delle discariche.
Ampiamente diffuso risulta anche il riciclo /recupero di metalli o di composti metallici,
pari a circa 8,83 milioni di tonnellate, di cui oltre 2 milioni trattati dagli impianti di
frantumazione di rottami (circa il 64% provenienti dal settore dell’autodemolizione). A ciò
si aggiungono i recuperi di metalli o composti metallici pericolosi per circa 635.000
tonnellate che comprendono anche la quota di rifiuti trattata negli impianti di recupero
delle batterie esauste e negli impianti di recupero dell’alluminio secondario. Importante
anche la quota di riciclo di sostanze organiche, per circa 7 milioni di tonnellate. Un flusso
significativo è anche il recupero e la rigenerazione di solventi, pari a circa 255.000
tonnellate.
Tra i recuperi di rifiuti speciali vengono infine contabilizzati anche il recupero attraverso
spandimento sul suolo – caratteristico dei fanghi di depurazione – per circa 3,6 milioni di
tonnellate e il recupero energetico che riguarda 2.335.000 tonnellate di rifiuti speciali.
La riduzione dei rifiuti – e di conseguenza dei fabbisogni di smaltimento e deposito nel
suolo, delle emissioni atmosferiche e idriche connesse a trattamenti e smaltimenti –
costituisce solo uno dei benefici ambientali, anche se il più evidente e immediato.
Le operazioni di riciclo comportano, come effetto del reimpiego industriale dei materiali e
quindi della sostituzione di cicli produttivi basati su materie prime, ulteriori benefici
ambientali:
- una riduzione delle estrazione di risorse non rinnovabili (quelle direttamente sostituite
e quelle indirettamente sostituite come ausiliari);
- una riduzione dell’estrazione di risorse rinnovabili che su scala globale implica una
riduzione della perdita di biodiversità (anche se su scala regionale europea l’incremento
di consumi forestali è bilanciato invece da una espansione delle superfici forestate);
- la riduzione dei consumi energetici, in primo luogo di quelli basati su consumi di
risorse fossili (in dimensioni però diverse a seconda dei materiali e delle provenienze
geografiche), caratteristica comune a tutti i processi di produzione di materie seconde;
- la riduzione delle emissioni atmosferiche direttamente o indirettamente connesse ai
cicli produttivi sostituiti, (che deve però essere bilanciata con le specifiche emissioni
dei cicli basati su materie seconde)
- la riduzione dei consumi idrici e delle emissioni idriche direttamente o indirettamente
connesse ai cicli produttivi sostituiti (che deve però essere bilanciata con le specifiche
emissioni dei cicli basati su materie seconde).
Una particolare attenzione dovrebbe essere posta ai benefici in termini energetici e di
emissioni climalteranti.
Lo studio condotto, utilizzando una pluralità di fonti, mostra la rilevanza dell’economia del
riciclo per acquisire gli obiettivi di risparmio energetico e di riduzione dei gas di serra.
I dati disponibili – pur non omogenei – concordano sui benefici derivanti dal riciclo, sia
per ridurre gli impatti sull’intero ciclo di vita (riducendo consumi ed emissioni legati
all’approvvigionamento e lavorazione delle materie prime) che, in alcuni casi, per ridurre
gli impatti nel ciclo produttivo diretto.
L’effetto del riciclo sui consumi energetici: un incremento del 10% del riciclo
equivale al 57% dell’obiettivo di riduzione dell’energia primaria.
Per valutare il significato del recupero e riciclo in Italia si è effettuata una stima, che ha
considerato solo una quota dei recuperi di materiale effettuati in Italia (circa 33 milioni di
tonnellate a fronte degli oltre 50 milioni di tonnellate di cui si stima il recupero). In
particolare, sono stati esclusi i recuperi di tipo agronomico, i recuperi di materiali
inorganici per rilevati e sottofondi stradali, di solventi e altri flussi non stimabili.
La riduzione di consumi energetici associata al riciclo – rispetto ai fabbisogni richiesti in
assenza di riciclo – è stimabile, senza considerare il feedstock energetico, nell’intervallo tra
14,7 e 18,2 milioni di tep (tonnellate equivalenti di petrolio). Si tratta di un valore di
assoluto rilievo rispetto al consumo interno totale di energia (ca. 190 milioni di tep) e agli
obbiettivi di efficienza nazionali (pari a 2,9 milioni di tep).
Ogni incremento del 10% della quota di riciclo, infatti, equivarrebbe all’incirca al 57%
dell’obiettivo di riduzione dei consumi di energia primaria fissato dai decreti
sull’efficienza energetica del 2004. Una parte di questi risparmi si realizza (ad esempio nel
settore cartario) a monte dei processi produttivi localizzati in Italia, ma la gran parte dei
benefici (nel ciclo dell’alluminio, dell’acciaio, del vetro, delle materie plastiche etc) è però
conseguita direttamente in Italia .
L’effetto del riciclo sulle emissioni climalteranti: un incremento del 10% del riciclo
equivale al 15% dell’obiettivo aggiuntivo di riduzione dell’Italia.
Oltre ad una riduzione dei consumi energetici, il riciclo determina una riduzione delle
emissioni climalteranti, sia nei singoli processi che sull’insieme del ciclo di vita dei
materiali. In questa simulazione non sono stati inclusi i recuperi agronomici per pure sono
considerabili benefici anche sotto il profilo delle emissioni climalteranti, mentre sono
inclusi gli usi di CdR sostitutivo in cementifici e centrali termoelettriche.
La riduzione di emissioni climalteranti associate al riciclo – rispetto alle emissioni
generabili in assenza di riciclo – è stimabile nell’intervallo tra 51 e 72 milioni di tonnellate
di CO2 eq. Si tratta di un valore di assoluto rilievo sia rispetto al totale delle emissioni
generate in Italia (533 milioni di tonnellate, di cui 128 dall’insieme delle attività
industriali), sia rispetto agli obiettivi di riduzione.
Ogni incremento del 10% della quota di riciclo, infatti, equivale all’incirca al 15%
dell’obiettivo di riduzione aggiuntivo dell’Italia (41 milioni di tonnellate) e a oltre un terzo
dell’obiettivo che si ritiene di conseguire attraverso la direttiva Emission Trading.
Anche in questo caso la quota più rilevante di emissioni evitate è generata effettivamente
in Italia. Il 23% del valore deriva però da stime sull’assorbimento forestale.

IL RICICLO COME STRUMENTO PER L’EFFICIENZA
ENERGETICA E LA RIDUZIONE DELLE EMISSIONI
CLIMALTERANTI

Le politiche energetiche e di riduzione delle emissioni climalteranti non valorizzano ancora
i benefici che potrebbero derivare dall’economia del riciclo per ridurre i consumi energetici
e abbattere le emissioni climalteranti.
Come abbiamo visto nel precedente capitolo un modesto incremento del 10% del riciclo
industriale interno equivale al 57% dell’obbiettivo di efficienza energetica nazionale, al
15% dell’obbiettivo nazionale di riduzione delle emissioni climalteranti e a circa un terzo
dell’obbiettivo di riduzione delle emissioni di CO2 da conseguire con l’applicazione della
direttiva Emission Trading.
Allo stato attuale, nelle politiche nazionali ci sono quattro strumenti economici attivabili
per la valorizzazione dei benefici energetici e climatici connessi all’impiego di materie
seconde:
- i certificati verdi per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e assimilate
(tra cui i rifiuti, anche di origine non biologica);
- i titoli di efficienza energetica per gli usi finali efficienti, il risparmio termico ed
elettrico e la diffusione di fonti rinnovabili (che potrebbero anche basarsi su rifiuti)
- i diritti di emissione previsti dalla direttiva Emission Trading dal Piano nazionale di
Allocazione dell’Italia
- i crediti di emissione di CO2 previsti dai meccanismi flessibili del Protocollo di Kyoto
(Cer nell’ambito del Clean Development Mechanism, Eru nell’ambito dello schema
Joint Implementation), scambiabili anche all’interno del mercato previsto dalla direttiva
Emission Trading.
In questi meccanismi è valorizzato in maniera esplicita il recupero energetico dei rifiuti:
dalla combustione dei rifiuti urbani all’impiego energetico diretto o in co-combustione di
singole frazioni, in particolare quelle di origine biologiche (neutre sotto il profilo delle
emissioni di CO2 e le uniche ad essere contabilizzabili come “rinnovabili” a scala europea)
come i rifiuti di biomassa, scarti di legno o carta.
Questi meccanismi, invece, non prevedono direttamente – pur non escludendolo - un
riconoscimento dei benefici energetici e di emissioni connesso al riciclo dei materiali.
Gli incentivi economici assegnati al recupero energetico diretto, laddove esistano
alternative di valorizzazione dei rifiuti, alterano le convenienze energetiche e ambientali.
Per la generalità dei materiali, infatti, risulterebbe più appropriato un mix tra recuperi di
materia e di energia, con il recupero energetico diretto che nella gran parte dei casi si
giustifica – sia sotto il profilo ambientale che sotto quello economico in assenza di sussidi -
per qualità basse di materie seconde o in presenza di quote elevate di recupero di materiali
che non trovano una efficiente collocazione di riciclo.
La possibilità di valorizzare economicamente il riciclo dei materiali anche ai fini di questi
obiettivi consentirebbe di ottenere un doppio vantaggio:
- sostenere lo sviluppo delle attività di riciclo in una fase economica difficile e nella
quale ulteriori sviluppi delle potenzialità di riciclo si scontrano con una bassa
redditività e incertezza di questi investimenti (indebolendo, di conseguenza, le
possibilità di incrementare il recupero e la valorizzazione dei rifiuti);
- beneficiare della maggiore efficienza energetica e ambientale connessa all’impiego di
materia seconda in alcuni cicli produttivi.
Il riciclo dei materiali dovrebbe perciò essere integrato all’interno di questi meccanismi e,
in particolare, all’interno del sistema nazionale dei titoli di efficienza energetica e del
sistema dei crediti di emissione di CO2.