la guerra delle telecom



da il manifesto
18 Dicembre 2005


La guerra nelle telecom Usa

Google davanti a tutti Microsoft, Yahoo! e Google si contendono il mercato della pubblicità in Internet, e quest'ultima sembra prevalere. Ma i proprietari delle reti fisiche - le telecom - vogliono una percentuale sostanziosa del business
FRANCO CARLINI
Ancora un record storico, ancora un balzo in avanti delle quotazioni. Venerdì le azioni della californiana Google, nota per il suo omonimo motore di ricerca, sono arrivate a 432 dollari, attestandosi poi a 430. Il che significa che la capitalizzazione di questa azienda - in borsa da poco più di un anno, avendo debuttato nell'estate del 2004 con un valore di 85 dollari, quattro volte di meno del valore attuale - è ormai di 124 miliardi di dollari. Esageratissima e tuttavia meritata. Per confronto le Microsoft valevano venerdì appena 27 dollari, e 43 dollari Yahoo!, l'altro grande portale americano. La corsa verso il cielo della società fondata nel 1998 dai due ormai famosi studenti di Stanford, Larry Page e Sergey Brin, dura da tempo, ma venerdì è successo qualcosa di particolare, essendo stato annunciato che Google aveva raggiunto un accordo per entrare nel capitale di American Online (Aol). A noi italiani la cosa non dice molto, dato che si tratta di un fornitore di servizi internet e di contenuti digitali quasi esclusivamente americano.

Aol fu a suo tempo una delle stelle del firmamento Internet e venne poi fusa con il colosso Time Warner. Ha un vistoso gruzzolo di abbonati e un robusto magazzino di musiche e film. Da quando si è saputo che era in cerca di azionisti, si è scatenato un lungo corteggiamento da parte di Microsoft (Msn, il suo portale online), di Yahoo! e della stessa Google, la quale alla fine ha prevalso offrendo un miliardo di dollari per il 5 per cento delle azioni di Aol. Nell'occasione Google paga un ricco surplus al venditore e tuttavia, diversamente che in altre occasioni, la borsa l'ha premiata perché ha visto nella mossa la conferma di una strategia vincente di allargamento.

Su cosa si giocava la partita? Sul mercato crescente della pubblicità online, nel quale Google è leader, grazie ai sui «Ads», i consigli per gli acquisti che compaiono nella colonna di destra del suo motore di ricerca. Per esempio uno batte la parola «Dvd» nella maschera di ricerca di Google e ottiene al volo l'indicazione dei siti che ne parlano, classificati in ordine di rilevanza da un apposito e neutrale algoritmo, ma nella colonnina di destra gli vengono forniti anche i link sponsorizzati, per i quali le aziende pagano. E cosa pagano? Un tot per ogni clic che va sul loro sito a partire da Google.

E' un mercato in crescita continua, che minaccia anche la pubblicità tradizionale, via via che si diffonde l'uso dell'internet, e il fatto che quelle pubblicità siano così spartane, fatte di poco testo e un link, nulla toglie alla loro attrattività commerciale perché completamente diverso è l'atteggiamento mentale dei destinatari: chi sta vedendo un film in televisione subisce più o meno volentieri l'interruzione, ma chi va in rete sta di solito cercando qualcosa, per esempio dei Dvd, e dunque accetterà volentieri dei consigli, anche sapendo che sono interessati.

Il giro di affari è lucroso e non per caso un recente memorandum interno della Microsoft segnala, tra i problemi proprio, l'essere in ritardo sul business della pubblicità in rete. L'idea di Bill Gates era di strappare un accordo con Aol ottenendo che essa rinunciasse al motore di ricerca californiano e scegliesse invece il suo. Nei giorni scorsi poi, lo stesso Gates, nel corso del suo viaggio in India, aveva buttato lì un'idea tanto stravagante quando distorsiva del mercato: potremmo pagare i navigatori se cliccano sui siti da noi sponsorizzati. In altre parole se Microsoft incassa dalla Ford 5 centesimi per ogni clic che va sul sito Ford a partire dal suo motore di ricerca, potrebbe lasciarne 1, per esempio, alla persona che ha cliccato (le cifre sono del tutto a casaccio), ma questo drogherebbe i clic in maniera artificiosa e non porterebbe particolari vantaggi alle aziende inserzioniste.

L'episodio di venerdì rientra in un campo di conflitti che vede tre grandi giocatori, Microsoft, Yahoo! e Google, in accesa competizione per la supremazia nei nuovi servizi di informazione e di intrattenimento sull'internet. Le ipotesi sul vincitore finale si sprecano, anche se una situazione a più voci e soggetti è senza dubbio la migliore per la circolazione delle idee e per l'utilità che i clienti ne possono ricavare. Ma questo è solo uno, e forse non il più importante dei terreni di scontro. L'altro vede contrapposte le aziende internet a quelle di telecomunicazione, ed è potenzialmente più pericoloso per il futuro della rete. Lo si capisce benissimo leggendo quanto dichiarato da Edward Whitacre, chief executive dell'americana At&t. Alla rivista Business Week, che gli chiedeva se fosse preoccupato dei servizi web, così rispondeva: «Come pensate che arrivino ai loro clienti? Attraverso una rete a larga banda. Le compagnie di televisione via cavo ce l'hanno, noi ce l'abbiamo e loro vorrebbero usare il miei tubi (pipes) gratuitamente, ma io non glie lo permetterò perché abbiamo speso dei capitali e dobbiamo averne il ritorno. Dunque occorre qualche meccanismo grazie a cui le persone che usano queste reti paghino una porzione di ciò che stanno usando. Altrimenti perché dovrei permettergli di usare i miei tubi? L'internet non può essere libera in questo senso e se Google, Yahoo! o qualcun altro si aspetta di usare liberamente queste reti è matto».

Mai espressione di intenzioni fu più chiara, ed essa corrisponde precisamente al fatto che sia il congresso americano che la commissione federale di controllo sulle comunicazioni (Fcc) si apprestano a riformare le regole del gioco.

L'idea delle telecom in apparenza è difensiva («difendo i miei investimenti»), ma in realtà guarda lontano e mira a trasformare la rete, la quale dovrebbe cessare di essere «neutrale» rispetto ai pacchetti di dati che in essa transitano, per tariffarli diversamente e assegnare loro diverse priorità e importanza.

Se vale un'analogia sarebbe come se una società di autostrade non si accontentasse di far pagare il transito a tutti i camion senza discriminazioni, ma pretendesse tariffe più elevate da chi trasporta merci di maggior valore. Una proposta del genere verrebbe giudicata demenziale, ma i signori delle telecom e i loro lobbisti la stanno progettando davvero.