Egregio Sig. Boeri,
Il reddito minimo, garantito nei paesi europei,
germania e scandinavia in testa, è molto dipeso dalla ricchezza nazionale e dal
sistema di welfeare che ha preso piede con Willy Brandt, nel
1951.
Devo
affermare per esperienza che il reddito minimo garantito, pur essendo un
toccasana per migliaia di famiglie e single, ha pure dei risvolti negativi,
poichè persone con reddito minimo non sono incentivati a trovare
lavoro.
L'idea
che si va consolidando è la garanzia delle minime necessità attraverso un
lavoro o una rendita per chi non potesse lavorare.
Garanzia delle minime necessità significa garantire non un reddito
minimo, ma una capacità di acquisto delle minime necessità.
Il che
significa che pur avendo un reddito minimo posso o non posso avere garantiti i
bisogni essenziali, dipende dallo scarto tra prezzi e
reddito.
La garanzia delle minime
necessità, presuppone un lavoro. Il sistema capitalistico non garantisce il
lavoro a tutti, vi è eccessiva accumulazione da parte di pochi a scapito della
maggioranza. L'eccessiva accumulazione da parte di pochi crea una situazione di
mancata circolazione del denaro: non si fanno investimenti perchè non vi
è un ritorno adeguato e si interrompe il circolo virtuoso di domanda,
produzione, reddito, consumo. Vi è una legge economica che dice: quando si va a
toccare il reddito della classe media, le banche falliscono, per mancanza
di risparmio ed eccessiva esposizione al credito.
Se aumenta ulteriormente
il divario tra ricchi e poveri, vi è ogni possibilità che vi sia recessione (già
in corso) e alla fine depressione economica in questo caso con inflazione.
Questo a livello mondiale. Quindi a nessuno converrebbe aumentare il divario tra
ricchi e poveri.
E' una questione di distribuzione del
reddito.
Una razionale distribuzione del reddito avviene
solo in presenza di una economia reale organizzata, stabile e
forte.
I nostri investimenti sono dirottati per la crisi del
sistema economico stesso verso l'economia virtuale, il gioco di borsa, i giochi
vari, perchè non vi è la struttura economica reale su cui riattivare il processo
produttivo. Guardiamo gli anni '60 del boom economico italiano, la Borsa aveva
un suo ruolo in una economia reale, oggi è stato stravolto poca economia reale e
molta virtuale. Ogni giorno cambiano di mano 3 milioni di miliardi di dollari,
senza creare un solo posto di lavoro!
Modello economico
Quindi il problema è quale modello
economico adottare per offrire a tutti un lavoro che garantisca il
minimo necessario per vivere per sè e per la propria famiglia? Tra il sistema
economico comunista ormai obsoleto e il sitema capitalistico in crisi vi è
qualche alternativa? Si dice 'se il comunismo ha ridotto l'essere
umano ad una bestia, il capitalismo l'ha reso mendicante'. Certo non si può
scegliere tra i due. Un sistema di socializzazione dell'economia, di
razionale ditribuzione della ricchezza, di garanzia delle minime necessità,
presuppone un'attenzione maggiore alle necessità umane, ai sentimenti umani allo
scopo ultimo dell'economia che è di garantire la sussistenza di ogni essere
umano e cittadino. Il capitalismo assoluto ha fatto il suo tempo e il denaro per
il denaro, l'accumulazione per l'accumulazione è un difetto mentale del
capitalista stesso (lo afferma Sarkar in una descrizione estesa delle diverse
psicologia delle classi sociali).
In sintesi un nuovo socialismo umanistico. Willy Brandt
nel 1951, quando fondava l'internazionale socialista aveva elencato alcuni punti
essenziali: il socialismo deve rispondere alle esigenze materiali, mentali e
spirituali degli esseri umani. Aborriva il comunismo e il capitalismo. Trovo che
nei suoi 20 punti fondamentali Brandt possa dare qualche spunto per la
socializzazione della ricchezza.
Decentralizzazione economica
Per garantire la socializzazione dell'economia è
necessaria l'introduzione della democrazia oltre che a livello politico anche a
livello economico, sociale, giudiziario ed esecutivo. La democrazia politica non
ha efficacia senza una democrazia economica.
In particolare la democrazia economica implica la
gestione, da parte dei lavoratori, delle aziende in una forma di cooperazione
coordinata. Oggi la politica è controllata dai poteri economici forti. Ebbene se
tutti i lavoratori si prendono sulle spalle la gestione dell'economia, avranno
una maggiore influenza sulla politica e la democrazia politica potrebbe
diventare una realtà.
Si prospetta un sistema produttivo tripolare con
aziende cooperative di produzione e consumo, aziende private per beni non di
primaria necessità e aziende 'chiavi' o strategiche che forniscono materie
prime, pubbliche.
La decentralizzazione economica è essenziale e si
effettua sia nella gestione aziendale che nella ubicazione delle aziende
stesse. L'autosufficienza locale, e la pianificazione dello sviluppo, dato in
mano alla popolazione locale, sembra essere un'alternativa interessante alla
globalizzazione capitalista.
Quindi la proposta del reddito minimo garantito
andrebbe bene se inserita in un contesto di trasformazione del sistema economico
italiano e del modello produttivo, oggi in crisi al punto di non ritorno, in un
sistema di socializzazione dell'economia, un sistema definito anche socialismo
progressista, che nulla ha a che fare col socialismo
sovietico.
Cordeiali saluti
Tarcisio Bonotto
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Proutist Universal
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originale----- Da: economia-request at peacelink.it
[mailto:economia-request at peacelink.it]Per conto di ANDREA
AGOSTINI Inviato: lunedì 30 gennaio 2006 7.03 A:
ECONOMIA Oggetto: un reddito minimo garantito per
l'italia
da lavoceinfo.it del
17-01-2006
Un Reddito minimo garantito per
l'Italia Tito Boeri
I dati dell’ultima indagine
Banca d’Italia sui redditi e la ricchezza delle famiglie italiane coprono il
periodo 2002-2004. Ci permettono così di completare la ricostruzione di cosa è
successo alla distribuzione dei redditi familiari nel nostro paese negli
ultimi quindici anni.
Cosa è successo alla distribuzione del reddito in Italia
Le disuguaglianze del reddito e la povertà sono fortemente aumentate
durante la dura recessione intervenuta tra il 1991 e il 1993. Poi non sono più
diminuite. Nel 2004 l’indice di Gini dei redditi familiari equivalenti, cioè
corretti per tenere conto della dimensione familiare, era pari al 33 per
cento, mentre la quota di famiglie a basso reddito di poco superava il 13 per
cento, valori analoghi a quelli registrati nel 2000 e nel 2002. L’Italia è
così un paese in cui le disuguaglianze di reddito sono oggi più accentuate che
nel resto d’Europa. I tassi di povertà relativa (la percentuale di persone con
un reddito equivalente inferiore al 60 per cento di quello mediano) si
mantengono più elevati che nella gran parte degli altri paesi dell’Unione
Europea . Dal 1993 in poi si è assistito in Italia a un modesto spostamento
di reddito dalle classi medio-alte alla fascia più ricca della popolazione.
Tra il 2002 e il 2004 è continuata la tendenza degli ultimi anni al
peggioramento della posizione relativa dei lavoratori dipendenti e al
miglioramento di quella dei lavoratori autonomi, probabilmente anche a seguito
dei ripetuti e svariati condoni che hanno beneficiato questi ultimi, ma non i
primi. Vi è stato anche un forte incremento degli affitti, che si è riflesso
sugli affitti imputati a coloro che risiedono in un’abitazione di proprietà, i
redditi da lavoro sono cresciuti in misura modesta e c’è maggiore instabilità
dei rapporti di lavoro all’ingresso nel mercato, mentre i redditi da pensione
sono aumentati. Tutto questo tende a peggiorare la condizione relativa dei
giovani (che più raramente hanno case di proprietà) rispetto a quella degli
anziani.
Cosa fare per migliorarla
Questa fotografia, sempre più nitida, documenta che non possiamo più
permetterci di avere un sistema di protezione sociale tutto squilibrato a
favore delle pensioni e privo di una rete di ultima istanza. Un’altra
legislatura è passata e nulla è stato fatto per affrontare la stridente lacuna
di misure contro la povertà, in grado di garantire un reddito minimo a chi
cade in condizioni di indigenza e di permettere a chi è a rischio di diventare
povero di vivere le trasformazioni in atto nell’economia italiana in modo meno
drammatico. Gli italiani, non a caso, continuano a reagire in maniera più
negativa degli altri europei a fasi recessive e sono pessimisti in modo
strutturale: ritengono probabile un peggioramento della loro situazione
economica non solo a breve, ma nei prossimi quattro-cinque anni. Sono paure
che paralizzano molte famiglie, portano al rinvio di molti piani di
investimento e impediscono il decollo di molte nuove iniziative
imprenditoriali.
L’Italia necessita di uno strumento di lotta contro la povertà che
raggiunga i poveri senza lavoro.
Lo strumento più appropriato a questo scopo è il Reddito minimo garantito
(Rmg), uno schema oggi esistente, pur in forme diverse, in tutti i paesi
dell’Unione Europea a 15 (e in diversi nuovi Stati membri), ad eccezione di
Grecia ed Italia.
Universalismo selettivo e riordino
Alla luce di considerazioni legate ai vincoli di bilancio pubblico,
efficienza economica e capacità amministrativa, occorre introdurre in Italia
un programma universale e selettivo al tempo stesso, nel senso di essere
basato su regole uguali per tutti (non limitato ad alcune categorie di
lavoratori come nella tradizione italiana), che subordinano la concessione del
sussidio ad accertamenti su reddito e patrimonio di chi fa domanda. La
proprietà di un’abitazione con un valore "ragionevole" dovrebbe, comunque,
essere esclusa dalla verifica del patrimonio, per molteplici ragioni: (a)
l’illiquidità dell’investimento in abitazioni, a maggior ragione in un paese
come l’Italia, in cui, soprattutto nelle zone urbane più povere, il mercato
immobiliare è meno sviluppato che in altri paesi; (b) l’Italia è fra i paesi
dell’Ocse con la più elevata frazione di abitazioni di proprietà (circa il 70
per cento); (c) la casa di proprietà può essere valutata esclusivamente in
base al valore catastale che, come è ben noto, è molto erratico: ciò
causerebbe una notevole disuguaglianza orizzontale fra individui residenti in
regioni diverse, o anche nella stessa area. Il Reddito minimo garantito
dovrebbe sostituire e riordinare molti schemi pre-esistenti, integrandoli più
strettamente fra di loro in modo da ridurre sprechi ed evitare che la
compresenza di tanti strumenti diversi crei "trappole della povertà" (aliquote
marginali di imposta effettive molto alte perché accettando un lavoro si perde
il sussidio). In particolare, il Rmg dovrebbe prevedere maggiorazioni per i
figli a carico (in base sia all’età, sia al numero), i familiari disabili e le
famiglie monogenitore. Dovrebbe, inoltre, sostituire le pensioni sociali e le
integrazioni al minimo nonché tutte le prestazioni di indennità civile
(assegno di assistenza, indennità di frequenza minori, pensioni di inabilità,
e indennità di accompagnamento), l’attuale assistenza sociale e i programmi
per i disabili a carattere non contributivo. Sono tutti programmi con
obiettivi meritevoli, ma sviluppati in modo non coordinato. Andrebbero perciò
riunificati all’interno del Rmg, prevedendo maggiorazioni per ciascuna
tipologia di beneficiari; in questo modo, le maggiorazioni per invalidi,
soggetti non deambulanti e soggetti non autosufficienti sarebbero condizionate
alla prova dei mezzi. I test patrimoniali per i soggetti invalidi dovrebbero,
comunque, essere meno stringenti che nel caso degli altri soggetti. Il Rmg
dovrebbe essere progettato in modo tale da incoraggiare il lavoro part-time e
il lavoro occasionale, le principali fonti di impiego per una quota
consistente di potenziali beneficiari. Per questo motivo, il Rmg dovrebbe
contemplare una generosa franchigia sui guadagni, di importo fisso, e una
ritenuta piuttosto bassa, dell’ordine del 60 per cento. Si dovrebbero,
inoltre, prevedere misure di "reintegrazione" e di "attivazione" (aiuti nella
ricerca di un impiego e sanzioni, in termini di riduzione del sussidio, a chi
non collabora), con una chiara differenziazione fra tre gruppi di beneficiari:
i giovani, i disoccupati di lungo periodo e i genitori single. Questi ultimi,
quando con figli sotto i 6 anni, dovrebbero essere esentati dal requisito di
lavoro. Il Rmg dovrebbe essere finanziato a livello nazionale con
cofinanziamento a livello locale (nell’ordine del 10 per cento) delle
prestazioni pecuniarie e in natura. Inoltre, bisognerebbe affidarsi a
incentivi monetari alle amministrazioni locali affinché monitorino le loro
prestazioni: ad esempio, si potrebbe assegnare in via preferenziale risorse a
quelle amministrazioni locali che registrano le migliori performance nella
riduzione del numero di errori sia del primo tipo (famiglie eleggibili che non
sono raggiunte dall’assistenza) che del secondo tipo (famiglie non eleggibili
che hanno accesso all’assistenza), nonché nella implementazione delle
strategie di attivazione.
Quanto costa?
È possibile fornire stime prudenziali (probabilmente in eccesso) del
costo del Rmg sotto diverse ipotesi quanto al suo ammontare e alle tipologie
di redditi da considerare nel selezionare la platea dei beneficiari. Il Rmg
andrebbe inizialmente introdotto a un livello abbastanza basso e poi
incrementato anche in riconoscimento di un miglioramento nell’amministrazione
dello strumento. Ad esempio, un Rmg a 400 euro, potrebbe costare tra 7 e 8
miliardi di euro. Il livello più alto lo si raggiunge ipotizzando che si
riesca ad accertare solo l’85 per cento del reddito dei lavoratori autonomi e
il 95 per cento di quello dei lavoratori dipendenti. Un costo minore
(attorno ai 4 miliardi di euro) lo si avrebbe invece nel caso in cui si
aggiungesse ai redditi accertati l’affitto che l’utente dovrebbe pagare nel
caso non avesse casa di proprietà. Ma, come discusso in precedenza, è
preferibile non includere la casa nel patrimonio valutato ai fini della
determinazione dell’eleggibilità al sussidio. La razionalizzazione e il
riordino di molti schemi pre-esistenti porterebbe ad altri risparmi. In
sostanza, un Rmg adatto al nostro paese potrebbe, almeno inizialmente, non
costare più di quel secondo modulo della riforma fiscale di cui nessuno sembra
essersi accorto. Crediamo, invece, che i poveri e coloro che sono a rischio di
povertà si accorgerebbero e beneficerebbero grandemente della presenza del
Rmg.
Data: 19-01-2006 15:22:00 Nome: Olimont Oggetto: Come
attribuirlo? Messaggio: Egregio Prof. Boeri, condivido senza riserve
l'idea esposta nel Suo articolo, ma Le segnalo l'eterno e anomalo problema
italiano, quando si tratta di attribuire benefici (o esenzioni) economiche
legate al reddito: l'evasione e elusione fiscale, concentrata nelle ben note
categorie, che porta come conseguenza non solo un minor gettito fiscale, ma
anche una sperequazione nell'attribuzione dei benefici che facilmente possono
essere attribuite in modo distorto (vedasi chi sono gli aventi diritto ai
posti gratuiti negli asili). E' quindi un cane che si morde la coda: chi evade
"sembra" più povero e riceve benefici. Chi è "inchiodato" dal lavoro
dipendente, guadagna di meno, paga più tasse e corre il rischio di
"finanziare" strumenti di sostegno economico che vanno a.... chi evade le
tasse e appare povero o nullatenente. Quindi gli strumenti di sostegno
economico basati sulla rilevazione del reddito non possono correttamente
operare senza una contemporanea, sostanziale (e improbabile) riduzione
dell'evasione fiscale. Data: 18-01-2006 10:12:00 Nome: Simone
Sereni Oggetto: Rmg e nuclei monoparentali Messaggio: Gent.mo prof.
Boeri, Rmg o meno, la riforma del sistema di welfare verso una riduzione
dello sbilanciamento a favore degli over 60 mi sembra drammaticamente urgente.
Forse perché ho 33 anni… Per mera esperienza personale, legata alla
mancata iscrizione di mio figlio ai nidi comunali, ho però un dubbio sui
vantaggi da concedere ai cosiddetti nuclei monoparentali in genere. Mi
perdoni se sconfino un po’. Si tratta di una condizione altrettanto
difficile (mi dicono alcuni esponenti delle istituzioni) da rilevare di quella
relativa alle case di proprietà (ad avercela!) che esponeva più sopra. È
vero che generalmente si tratta di famiglie in situazione di disagio, nel caso
di ragazze-madri o ragazzi-padri in specie che meritano cura e tutele, ma
spesso si tratta di coppie di fatto che, almeno reddito alla mano, non
avrebbero affatto bisogno di essere sostenute e potrebbero arrangiarsi
diversamente (vale per gli asili ma credo anche per il Rmg). Che però
dichiarano di essere “soli” ed avere, per es., figli carico. E quindi
usufruiscono di servizi (o sussidi) pubblici che potrebbero invece essere
determinanti per altri cittadini o famiglie in condizioni di disagio che ne
restano escluse.
Che ne pensa? Come aggirare questa lacuna tecnica (e
culturale)?
Grazie
Risposta: La concessione del rmg e subordinata a prova dei mezzi che
terrà conto delle effettive disponibilità delle famiglie monoparentali. Il
livello basso del trasferimento esclude, credo, la possibilità che questo
possa incentivare in modo significativo la struttura dei nuclei famigliari.
Cordiali saluti
Data: 18-01-2006 09:49:00 Nome: Ugo
Celauro Oggetto: Imposizione fiscale Messaggio: Egregio prof.
Boeri, ci spiega perché chi ha solo un reddito deve pagare imposte con
percentuali a 2 cifre, mentre chi ha un patrimonio di pari valore deve pagare
un'Ici al 7 per mille? Non sarebbe meglio equiparare il reddito al
patrimonio, sommarli entrambi e sottoporre il totale ad un'unica
aliquota? Per equiparare il reddito di qualsiasi origine al patrimonio,
basterebbe depurarlo delle spese di produzione ed ottenere un netto da
considerare incremento patrimoniale e, quindi, omogeneo al patrimonio
preesistente. Quanto deve durare ancora questo disordine nella gestione
delle imposte? Sarebbe un grande passo in avanti risolvere prima di tutto
il problema del prelievo fiscale, escludendo considerazioni che sono da
prendere in esame solo dopo avere risolto in maniera equa la questione di
base, cioé dove prendere i soldi.
Risposta: Si trova sempre una scusa per non intervenire a favore dei
poveri. Ricordo che si poteva finanziare l’rmg rinunciando al secondo modulo
della riforma fiscale. Bene comunque aumentare la tassazione delle rendite
finanziare e rivedere gli estimi catastali.
Data: 18-01-2006
08:06:00 Nome: giorgio andretta Oggetto: ANTROPOCRAZIA Messaggio:
Sono nauseato a forza di ripetere la proposta del Reddito di Cittadinanza che
si trova all'interno del progetto "ANTROPOCRAZIA". Compulsabile sul sito
www.bellia.com fino dal lontano 1992, adesso T:Boeri ha scoperto l'acqua
calda, Vi ringrazio per avermi risposto solertemente a tutte le mie
indicazioni, ma forse non merito la stessa attenzione di Boeri!
Risposta: Quello proposto non è il reddito di cittadinanza. Costerebbe
troppo
17-01-2006 Un reddito minimo contro l'esclusione
sociale Claudio De Vincenti
La legislatura si chiude senza che il
Governo abbia posto mano al miglioramento della rete degli ammortizzatori
sociali che la maggiore flessibilità introdotta con la legge 30 ha reso ancora
più urgente. E senza che abbia fornito neppure le coordinate per la
realizzazione di quel "reddito di ultima istanza" che avrebbe dovuto
sostituire il soppresso "reddito minimo di inserimento".
Una rete di sicurezza sociale Come più volte sostenuto su lavoce.info,
si tratta di due interventi da considerare prioritari dal punto di vista non
solo dell’equità sociale, ma anche dell’efficienza economica: una adeguata
rete di sicurezza sociale è condizione decisiva per migliorare il
funzionamento del mercato del lavoro e del mercato dei prodotti. Rinviando
ad altri interventi per quanto riguarda la riforma degli ammortizzatori
sociali, propongo qui qualche riflessione su un "reddito minimo di
inserimento" che abbia natura universale (non sia rivolto a specifiche
categorie) e al tempo stesso selettiva (sia sottoposto a "prova dei
mezzi"). Credo che il reddito minimo di inserimento vada concepito come
istituto specificamente rivolto a contrastare il rischio di esclusione e
quindi debba costituire l’anello che chiude in basso la rete di protezione
sociale. Quest’ultima deve articolarsi su altri due pilastri, centrati sul
sostegno ai cittadini nel mercato del lavoro: il sistema degli ammortizzatori
sociali e un sistema di sostegno in forme incentivanti il lavoro e l’emersione
per quanti, pur inseriti nel mercato del lavoro, hanno redditi bassi e
discontinui. Il reddito minimo deve costituire il terzo pilastro, rivolto a
chi incontra forti difficoltà di inserimento. Va condizionato all’attivazione
di percorsi di integrazione sociale e alla partecipazione obbligatoria a essi
da parte dei beneficiari, mentre la "prova dei mezzi" va effettuata in modo
stringente. Le misure di integrazione sociale devono favorire, nel caso di
persone in età da lavoro, l’occupabilità e, nel caso di minori, la scolarità.
È essenziale delimitare rigorosamente la platea dei potenziali beneficiari:
solo in questo modo si può sperare di attivare programmi di reinserimento
credibili e realizzare una efficace prova dei mezzi.
Le sue caratteristiche principali dovrebbero allora essere le seguenti.
Condizioni economiche per l’accesso: Isee non superiore a una determinata
soglia; patrimonio immobiliare limitato alla prima casa; patrimonio mobiliare
molto basso. Integrazione del reddito mensile pro-capite equivalente: pari
alla differenza tra il reddito mensile disponibile e una soglia
predeterminata; a fini di incentivo al lavoro, nel calcolo del reddito
disponibile i redditi da lavoro vanno computati in misura parziale; i
trasferimenti oggi goduti a qualsiasi titolo vanno invece riassorbiti fino a
concorrenza della soglia. Obblighi per i beneficiari: partecipazione ai
programmi di reinserimento e accettazione della chiamata al lavoro, anche
temporaneo. Per un istituto così configurato, il termine "reddito minimo
di inserimento" appare coerente ed evita qualsiasi confusione con proposte di
"salario sociale" generalizzato, dalle implicazioni imprevedibili sul
funzionamento del mercato del lavoro e sulla tenuta dei conti
pubblici.
Gli oneri per lo Stato Per avere una prima idea di quello che sarebbe
l’onere netto a regime per la finanza pubblica, si può fare riferimento alla
specifica configurazione con cui il Rmi è stato proposto nel disegno di legge
- A.C. n. 3619 - presentato in questa legislatura dall’opposizione: la soglia
rispetto a cui effettuare l’integrazione è pari a 390 euro mensili per un
single e crescente in relazione al nucleo familiare secondo la scala di
equivalenza Isee; i redditi da lavoro sono computati al 75 per cento nel
calcolo del reddito disponibile. Sulla base dei dati Banca d’Italia sui
bilanci familiari, le famiglie che usufruirebbero dell’integrazione di reddito
sono circa 980mila. Nell’ipotesi che tutte facciano domanda per il Rmi, e
quindi siano disponibili ad aderire ai programmi di inserimento, l’onere netto
complessivo derivante dall’integrazione di reddito alla soglia indicata
sarebbe a regime pari a circa 5 miliardi di euro su base annua. La stima
va intesa come massimo onere possibile. L’onere effettivo dovrebbe risultare
inferiore giacché è possibile che non tutti coloro che rientrano nei criteri
di selezione facciano domanda, perché non è detto siano disponibili a
soddisfare le condizioni richieste. Ma, soprattutto, l’attivazione degli altri
due pilastri - gli ammortizzatori sociali riformati e l’introduzione di un
sostegno per quanti hanno redditi bassi e discontinui - consentirebbe di
ridurre in misura significativa la platea dei richiedenti il reddito minimo di
inserimento. Un effetto di questo tipo deriverebbe per esempio
dall’introduzione di un "assegno per il sostegno delle responsabilità
familiari" sostitutivo delle attuali detrazioni per carichi familiari che,
proprio in quanto assegno, verrebbe goduto anche dagli incapienti (imposta
negativa). L’introduzione di questo istituto, in una forma incentivante il
lavoro e l’emersione (un po’ stile "earned income tax credit"), era per
esempio prevista dall’emendamento alla Finanziaria per il 2005 presentato
dall’opposizione in contrasto con lo sgravio fiscale del Governo e a parità di
onere . Naturalmente, andranno costruite adeguate coerenze tra importo
dell’assegno e livello del Rmi (le due prestazioni non devono essere
sommabili), in modo che per un lavoratore sufficientemente inserito nel
mercato, per quanto con redditi bassi o discontinui, sia conveniente optare
per il normale regime di imposta e assegno, invece che richiedere il reddito
minimo di inserimento. In questo modo l’onere scenderebbe collocandosi, a
seconda delle ipotesi circa la convenienza relativa di Rmi e normale regime di
imposta e assegno, tra i 3 e i 4 miliardi di euro. In una prospettiva più
lunga, poi, i tre pilastri della rete di protezione sociale consentirebbero di
riassorbire completamente le attuali opache e disorganiche, forme di
trasferimento assistenziale: in tal caso, a parità di onere, si potrebbero via
via innalzare i trattamenti e ottenere un sistema di sicurezza sociale più
semplice, equo e razionale.
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