la democrazia degli altri - l'india per esempio -



da repubblica.it MARTEDÌ 27 DICEMBRE 2005 
 
 
UN SAGGIO SULL´ANTICO RETROTERRA CULTURALE
AMARTYA SEN RACCONTA LA VERA STORIA INDIANA

Il premio Nobel per l´economia sfida semplificazioni e luoghi comuni esaltando le premesse dell´attuale democrazia
FEDERICO RAMPINI

Nel poema epico Ramayana del quarto secolo avanti Cristo, uno dei testi fondamentali dell´induismo, il saggio Javala si rifiuta di trattare Rama come un Dio e non esita a definire sciocche le sue azioni. Il Ramayana dà ampio spazio ai ragionamenti di Javala secondo cui «non esiste un aldilà, né alcuna pratica religiosa può farci raggiungere un paradiso ultraterreno. Il dovere di adorare Dio, di fare sacrifici e penitenze è stato inserito nelle scritture da uomini furbi che volevano comandare sugli altri». Per l´indiano Amartya Sen, premio Nobel dell´Economia, la presenza di un lucido ateo fra i protagonisti del Ramayana fa il paio con un ricordo d´infanzia. Il nonno di Sen, grande studioso di sanscrito e docente alla scuola di Rabindranath Tagore, lungi dall´essere deluso dall´agnosticismo del nipote gli disse: «Dopo avere esaminato la questione religiosa tu hai deciso di collocarti nella Lokayata, cioè nella corrente atea della tradizione induista».
Non è questa l´India dei nostri stereotipi, che crediamo sempre profondamente spiritualista e impregnata di religiosità. Nel suo saggio L´altra India (Mondadori, pagg. 224, euro 16,50), Sen sfida le semplificazioni per restituire un´immagine sorprendente del suo paese. Il suo obiettivo non è solo rendere giustizia alla grande civiltà indiana ma dimostrare che la tolleranza, e quindi la democrazia, non hanno radici esclusive nella storia e nel pensiero dell´Occidente. E´ un messaggio che prende di mira due bersagli diversi, apparentemente opposti. Da una parte c´è l´egemonismo di europei e americani che pensano di «esportare» la democrazia. Dall´altra c´è un avversario non meno insidioso, agguerrito soprattutto in Asia: è il relativismo politico che respinge la liberaldemocrazia proprio in quanto valore occidentale; è l´esaltazione di una diversità asiatica che da parte di certe classi dirigenti diventa l´alibi per negare libere elezioni, legittimare regimi autoritari e calpestare i diritti umani.
Scavando nella storia dell´India Sen individua una meravigliosa ricchezza nella «tradizione argomentativa» che dà il titolo alla sua opera. E´ il costume che da tempi molto antichi lascia fiorire convinzioni diverse, accetta l´eterodossia e l´eclettismo, esalta la virtù del dialogo, perché ha in sé una venatura di scetticismo.
In un altro testo sacro dell´induismo, la Rigveda (1500 prima di Cristo), la stessa origine divina del mondo viene messa in dubbio: «Chi può davvero sapere? Chi può affermare certezze? Da dove viene il creato? Forse si è formato da solo, o forse no. Colui che osserva dall´alto dei cieli, solo lui sa. O forse non sa affatto».
La componente induista non è l´unica ad avere lasciato in eredità agli indiani il rispetto delle opinioni altrui e il valore della tolleranza. Un imperatore buddista, Ashoka, nel terzo secolo ante Cristo stabilisce le regole per condurre dibattiti e dispute in maniera civile, senza volontà di sopraffazione, bensì «onorando l´oppositore in tutte le occasioni». Un imperatore musulmano, Akbar, alla fine del XVI secolo afferma il principio che lo Stato deve rimanere equidistante da tutte le religioni. Oggi quella tradizione si rispecchia nella convivenza di un mosaico etnico e religioso. Anche se l´80% della sua popolazione è indù, i musulmani sono più numerosi della popolazione di Italia e Francia messe assieme (l´India è il terzo paese islamico al mondo dietro Indonesia e Pakistan, con un numero di fedeli superiore all´Egitto e all´Iran). Insieme convivono da secoli anche delle vaste comunità di cristiani, sikh, jainisti e parsi.
Già ammirato per la sua capacità di intrecciare la teoria economica con la filosofia, Sen si rivela un brillante raccontatore della storia del suo paese. Riesce a dimostrare in modo convincente che la ragion critica e lo spirito analitico non sono prerogative degli europei. L´antico costume «argomentativo», la consuetudine al dibattito pubblico degli indiani, ha un ruolo cruciale nel creare un terreno favorevole alla democrazia. Non è un caso se l´India è oggi la più grande repubblica parlamentare del mondo, con elezioni pluraliste e una stampa libera. Non vi è dunque incompatibilità tra la civiltà asiatica e la democrazia liberale.
New Delhi sarà capace di contagiare con il suo esempio altre nazioni asiatiche tuttora soggette a regimi autoritari, a cominciare dalla Cina? O al contrario è il modello indiano a essere minacciato di estinzione? Questa seconda ipotesi potrebbe avverarsi se dovesse prevalere il nuovo integralismo indù, emerso come una forza politica rilevante con il movimento Hindutva (che letteralmente significa «la qualità dell´induismo»). Il partito Bharatiya Janata Party (Bjp) che ne è l´espressione parlamentare è stato al governo dal 1998 fino al maggio del 2004. Durante l´ultimo ventennio l´ascesa del Bjp è parsa irresistibile. Aveva due seggi parlamentari nel 1984, cinque anni dopo è salito a 85, nel 1991 era a quota 119, nel 1999 era riuscito a fare eleggere 182 deputati ed era il partito di maggioranza relativa. Nello stesso periodo il braccio violento del movimento è stato protagonista di una escalation di scontri cruenti con la minoranza musulmana. Sen contesta che la Hindutva sia fedele alle correnti più importanti dell´induismo. Cita una celebre definizione dell´identità nazionale data da Tagore nel 1921: «L´idea dell´India è incompatibile con una intensa consapevolezza della differenza e della separatezza tra il proprio popolo e gli altri».
E´ un concetto che si ritrova anche nel Mahatma Gandhi e che Sen riassume così: l´identità indiana è spaziosa e assimilativa, pluralista e ricettiva, inclusiva e umanista. Per lo stesso motivo l´India è meno vulnerabile di fronte alla globalizzazione dei prodotti culturali e degli stili di vita, perché nella sua storia ha sempre saputo integrare influenze esterne senza smarrire la sua forte fisionomia. Sen è fiducioso, esclude che la Hindutva possa trionfare e che il Bjp diventi un partito egemone, stravolgendo la convivenza tra le varie comunità che formano la nazione indiana.
Osserva che anche prima della sua sconfitta elettorale del 2004 ad opera del partito del Congresso, il Bjp non ha mai rappresentato più di un terzo degli indiani di religione indù.
L´appassionata difesa delle antiche radici autoctone della tolleranza, non impedisce a Sen di ricordare la grande sconfitta della democrazia indiana: l´immenso divario tra ricchi e poveri, il permanere delle caste, quindi di una visione gerarchica e discriminatoria degli esseri umani. Intere categorie del popolo indiano si vedono tuttora negato l´accesso a un´istruzione di qualità. La democrazia però offre strumenti per combattere il sistema delle caste, come dimostra il proliferare di partiti politici che difendono i ceti più deboli. In altri suoi studi Sen ha dimostrato la superiorità della democrazia indiana sul comunismo cinese nel combattere la fame: dopo l´indipendenza l´India non soffrì più di carestie paragonabili a quella che sterminò 30 milioni di cinesi nel 1958-61. In questo saggio riconosce che in altri campi la Cina ebbe invece i risultati migliori: sotto la dittatura di Mao il progresso nelle condizioni di salute e nella longevità media dei cinesi fu maggiore. Solo oggi l´India sta recuperando il terreno perso rispetto alla Cina, dove la privatizzazione dei servizi sociali provoca una battuta d´arresto nel progresso delle condizioni sanitarie. Lo straordinario sviluppo cinese, secondo Sen, è anche il frutto di un atteggiamento meno «insulare» in economia: dopo le riforme di mercato la Cina ha saputo essere meno protezionista e più rapida dell´India nell´imitare le ricette di successo dai paesi avanzati.
Sen è convinto che grandi cose possono nascere dal rinnovato dialogo tra le due più grandi nazioni del mondo. Ed è convinto che la ricchezza del contributo indiano è proprio in questa parola: dialogo.