tfr impariamo dalla svezia



da lavoceinfo.it martedi 8 novembre 2005


07-11-2005
Tfr: impariamo dalla Svezia
Tito Boeri
Agar Brugiavini

Sono pochi i lavoratori oggi intenzionati a trasferire il Tfr ai fondi
pensione. Allo stato attuale sembrerebbe non più di uno su cinque. Come
documentato da una recente indagine dell’Isae anche gli indecisi sono in
larga parte a conoscenza del principio del silenzio-assenso; è difficile
perciò che aderiscano tacitamente ai fondi pensione.  Il decreto che il
Governo deve varare al Consiglio dei ministri del 10 novembre, pena la
decadenza delle delega concessagli dal Parlamento, dovrà riuscire a
convincerli. Ma la bozza di decreto attuativo presentata dal Roberto Maroni
al Consiglio dei ministri del 5 ottobre, e oggi difesa a spada tratta dal
ministro, ha un solo fine: chiudere in qualche modo la partita prima delle
elezioni, anche a costo di garantire a banche, imprese e sindacati
concessioni che dovranno essere pagate a caro prezzo dai contribuenti. Si
lasciano in secondo piano le esigenze dei lavoratori che sono innanzitutto
quelle di poter avere a disposizione un’ampia offerta di schemi
previdenziali, con bassi costi amministrativi, nell’ambito della quale
scegliere sapendo di poter un domani cambiare idea senza venire per questo
penalizzati.
La portabilità come incentivo a trasferire il tfr ai fondi pensione
È questo dell’assenza di penalità quando si cambia idea una condizione
essenziale perché il trasferimento del Tfr ai fondi pensione sia un
successo. Se ci sono costi elevati nello spostare il Tfr da un fondo all’altro,
può risultare conveniente per il lavoratore tenere tutto presso l’azienda,
sperando di poter poi scegliere in modo più oculato in futuro, quando si
avrà un quadro più preciso dell’offerta disponibile. Per questo imporre che
i conferimenti dei datori di lavoro, stabiliti nell’ambito della
contrattazione collettiva, siano ancorati ai soli fondi chiusi (si veda
Ichino e Tursi) è un errore. Se il sindacato vuole stimolare flussi verso i
fondi contrattuali deve mettere a frutto i vantaggi che questi hanno
rispetto ai fondi individuali in termini di i) bassi costi amministrativi e
ii) fiducia nei confronti di chi li gestisce.
Oggi i lavoratori si trovano a dover scegliere in condizioni di razionalità
limitata, sapendo poco sui rendimenti del Tfr, quelli della previdenza
pubblica e, ancor meno, quelli dei fondi pensione. Chiedono di poter
delegare queste scelte a qualcuno di cui si possano fidare, avendo la
possibilità un domani di poter cambiare idea. Per questo è essenziale che
il sindacato sia della partita , ma è altrettanto importante che sappia
guadagnarsi fino in fondo questa fiducia "sul campo", non imponendo ai
lavoratori vincoli che contrastano con la delega loro accordata. Questi
vincoli potrebbero un domani ritorcersi contro lo stesso sindacato.
Compensazioni eccessive alle imprese
Oltre a limitare la portabilità dei conferimenti tra diversi fondi
pensione, la delega fa gravare sui contribuenti futuri oneri crescenti. A
regime 600 milioni all’anno dovranno essere destinati a misure di
compensazione alle imprese coinvolte nello smobilizzo del Tfr.
Basta fare due calcoli per capire che i costi derivanti dallo smobilizzo
sono molto più bassi. Con un tasso di inflazione al 2,2 per cento, il Tfr
comporta un rendimento del 3,15 per cento. Le imprese hanno oggi accesso al
credito bancario a tassi di poco superiori al 5 per cento. Quindi, tenendo
conto del fatto che i maggiori oneri per le imprese siano pari a circa il 2
per cento del capitale smobilizzato verso il Tfr, e anche prendendo per
buone le stime del Governo che (ottimisticamente) prevedono che a regime il
35 per cento (per i lavoratori senior) e il 55 per cento (per gli assunti
dal 1996) del flusso di Tfr venga trasferito ai fondi pensione, si
ottengono oneri per le imprese non superiori ai 60 milioni il primo anno,
130 il secondo anno e 200 nel 2008, dunque un terzo di quanto stabilito dal
decreto Maroni.
A cosa si deve questa differenza? Al fatto che il Governo prevede due tipi
di misure di compensazione: sconti contributivi e l’istituzione di un fondo
di garanzia sui prestiti bancari. Il Governo ha, infatti, stretto un
accordo con l’Abi per garantire alle imprese accesso al credito al tasso
massimo del 4,16 per cento, coprendo le banche dal rischio di default sul
100 per cento del credito erogato. Il fondo di garanzia verrà alimentato da
contributi pubblici nella misura dell’11 per cento dei flussi di Tfr, molto
di più di quanto parrebbe necessario alla luce dei normali tassi di
sofferenza. Forse, si sono voluti scontare gli effetti perversi che la
costituzione di questo fondo potrà avere sulla concessione di prestiti
bancari (apertura di linee di credito anche ad imprese con un alto rischio
di default, in virtù della garanzia dello stato). Se così fosse, sarebbe
paradossale. Inoltre, l’operazione prefigura una possibile violazione delle
norme Unione europea sugli aiuti di Stato.

Le vere garanzie dello Stato
Il ruolo dello Stato in questa operazione non deve essere quello di offrire
garanzie in termini di costi massimi dell’indebitamento a imprese e banche.
Non è neanche giusto che si offrano garanzie ai lavoratori in termini di
rendimenti minimi. Sarebbero troppo costose e, spostando tutto il rischio
sullo Stato, avrebbero effetti perversi sulle scelte di lavoratori, imprese
e gestori dei fondi. Né lo Stato può essere il gestore diretto del
risparmio privato previdenziale perché è troppo forte il rischio di
manipolazione "politica" del risparmio accumulato e del suo collocamento.
Lo Stato deve, invece, offrire garanzie in termini di informazioni minime
ai sottoscrittori dei fondi pensione. Si tratta di fornire il bene pubblico
informazione e educazione finanziaria evitando che l’operazione
trasferimento del Tfr ai fondi pensione si trasformi in un raggiro di
milioni di lavoratori. Il sindacato ha tutto da guadagnare da una maggiore
informazione offerta ai contribuenti. Apparirebbero, infatti, evidenti a
tutti i vantaggi in termini di costi amministrativi dei fondi contrattuali
rispetto ai piani pensionistici individuali (Pip). Questi oggi impongono ai
sottoscrittori dei costi medi di "caricamento" equivalenti ad una
commissione annua del 2,4 per cento circa. (1) Per un orizzonte temporale
lungo, questo costo può raggiungere fino a metà del montante conseguibile.
E prendendo i dati delle relazioni Covip sul triennio 2001-4, è possibile
stimare che i costi posti a carico dei sottoscrittori dei Pip siano stati
in media pari al 15 per cento dei versamenti effettuati, un’enormità.
Lo stato deve raccogliere e dirottare i flussi
Come garantire informazioni adeguate ai contribuenti? Si può prendere come
esempio la Svezia, raccogliendo il Tfr smobilizzato attraverso l’Inps e poi
trasferendo queste risorse a fondi pensione scelti dal lavoratore, nell’ambito
di una gamma di gestori privati accreditati. L’Inps dovrebbe poi offrire
rendiconti sull’andamento delle gestioni patrimoniali assieme all’andamento
della previdenza di base, mandando almeno una volta all’anno un "estratto
conto previdenziale" a casa del contribuente (con aggiornamenti continui su
Internet). L’estratto conto dovrebbe evidenziare la struttura dei costi di
gestione e identificare benchmark adeguati per valutare la loro
performance.  Tutto questo permetterebbe e incentiverebbe al tempo stesso
una vigilanza molto stringente sul comportamento dei fondi pensione e,
quindi, pur in assenza di garanzia pubblica e in piena competitività, si
potrebbe evitare il rischio di mis-selling, di un raggiro dei contribuenti
come quello verificatosi nel caso inglese.

(1) Elsa Fornero, Carolina Fugazza e Giacomo Ponzetto "Analisi comparativa
dell’onerosità dei prodotti previdenziali individuali", 2003 CERP Argomenti
di discussione 6/03

Data: 08-11-2005 10:11:00
Nome: Luca
Oggetto: Convengo su tutto ma ...
Messaggio: Non si puo' non convenire sulle tesi esposte. Soprattutto
riguardo alle reali funzioni dello Stato relative al sistema previdenziale.
Anzi. A mio avviso il sistema potrebbe essere ulteriormente semplificato.
In realta' e' stata aggiunta una forma tecnica, i Fondi Pensione,
ridondante rispetto a quanto gia' il sistema offre in termini di OICR e
OICVM. Per come la vedo io tali "nuovi" strumenti non aggiungono nulla al
sistema esistente se non il fatto di garantire ambiti di potere ai
sindacati, un mercato incrementale al sistema bancario, una riduzione della
competitivita' nel sistem del risparmio gestito.
In fondo dagli anni 80 si asserisce che i fondi comuni sono strumenti di
lungo termine, che servono ad integrare le pensioni attraverso gestioni
qualificate, e quando finalmente si sblocca il tfr si aggiungono nuovi
prodotti ?
Con misure ad esempio come le seguenti:
- un deposito vincolato alla funzione pensionistica a costi convenzionati
- azzeramento delle commissioni di ingresso (al pari di quanto avviene per
gli investitori istituzionali)
- impossibilita' di prelievi o contrazione di debiti sulle consistenze di
tale deposito
- durata minima del deposito = scadenza individuale pensionistica
- obbligo per qualsiasi banca di favorire la sottoscrizione di qualsiasi
prodotto anche non captive su tale deposito
- obbligo di dichiarazione della consistenza del deposito stesso e dei
versamenti derivanti dalla conflusenza dei flussi di tfr
- possibilita' di scelta dei prodotti tra tutti quelli sul mercato (o
accreditati secondo un dato criterio - ad es. rating)
- vincolo di capitalizzazione dei rend. e controllo alle opzioni di
investimento sul portafoglio specifico
In tal modo ogni "candidato pensionato" avrebbe una pensione che si e'
costruita secondo le proprie aspettative, con qualche attenzione ai
rendimenti.
Cosa dovrebbe fare lo Stato: controllare attraverso esperti indipendenti e
favorire l'informazione attraverso un qualcosa simile ai CAF.