ricevo e giro: Vandana Shiva



"Due miti che mantengono povero il mondo"
      di Vandana Shiva
   (apparso su "Ode Magazine" del 28.11.2005)
  trad. M.G. Di Rienzo

Dal cantante rock Bob Geldof al politico inglese Gordon Brown, il mondo
sembra improvvisamente pieno di persone dall’alto profilo e dei loro piani
per mettere fine alla povertà.

Jeffrey Sachs, tuttavia, non è semplicemente una persona che vuol fare del
bene, ma uno dei principali economisti mondiali, alla testa dell’Earth
Institute e responsabile di un progetto Onu per promuovere un rapido
sviluppo. Perciò, quando ha lanciato il suo libro "La fine della povertà",
la gente ovunque ne ha preso nota. Il Time magazine ha persino dedicato ad
esso la copertina.

Ma c’è un problema con le prescrizioni di Sachs per porre termine alla
povertà. In effetti lui non riesce a capire da dove la povertà venga.
Sembra guardare ad essa come al peccato originale. "Poche generazioni fa,
praticamente chiunque era un povero.", scrive, e poi aggiunge: "La
rivoluzione industriale guidò a nuove ricchezze, ma molto del mondo fu
lasciato indietro."

Questa storia della povertà è totalmente falsa. I poveri non sono coloro
che sono stati "lasciati indietro", sono coloro che sono stati derubati. La
ricchezza accumulata dall’Europa e dal Nord America è largamente basata
sulle ricchezze prese all’Asia, all’Africa ed all’America Latina.

Senza la distruzione della ricca industria tessile dell’India, senza il
controllo del commercio di spezie, senza il genocidio delle tribù native
americane, senza la schiavitù africana, la rivoluzione industriale non
avrebbe dato gli stessi risultati di benessere per l’Europa ed il Nord
America.

E’ stata questa appropriazione violente delle risorse e dei mercati del
Terzo Mondo che ha creato ricchezza al Nord e povertà al Sud.

Due dei grandi miti economici del nostro tempo permettono alle persone di
negare questo stretto collegamento e di diffondere interpretazioni
scorrette di cosa sia la povertà.

In primo luogo, per la distruzione della natura e della capacità delle
persone di aver cura di se stesse il biasimo non cade sulla crescita
industriale e sul colonialismo economico, ma sugli stessi poveri. La
malattia viene offerta come cura: più crescita economica, in modo da
risolvere gli stessi problemi di povertà e di declino ecologico a cui essa
stessa ha dato inizio. Questo è il messaggio che sta al cuore dell’analisi
di Sachs.

Il secondo mito è l’assunto per cui se tu consumi ciò che produci, non stai
veramente producendo, almeno non economicamente parlando. Se io mi coltivo
il cibo che mangio, e non lo vendo, allora esso non contribuisce al PIL e
perciò non contribuisce ad andare verso la "crescita". Le persone vengono
percepite come "povere" se mangiano il cibo che hanno coltivato anziché il
cibo malsano distribuito dall’agribusiness globale. Sono visti come poveri
se vivono in case che si sono costruiti da soli, con materiali ben adattati
ecologicamente come il bambù ed il fango anziché in blocchi di cemento.
Sono visti come poveri se indossano abiti prodotti con fibre naturali
anziché sintetiche.

Queste esistenze "sostenibili", che il ricco Occidente percepisce come
povertà, non si accoppiano necessariamente ad una bassa qualità della vita.
Al contrario, per la loro stessa natura di economie basate sul
sostentamento assicurano un’alta qualità della vita, se questa viene
misurata in termini di accesso a cibo sano ed acqua, identità sociale e
culturale robusta e percezione di un senso nell’essere vivi. Poiché questi
poveri non condividono i cosiddetti benefici della crescita economica,
vengono rappresentati come "lasciati indietro".

La falsa distinzione tra i fattori che creano l’accumulo e quelli che
creano povertà è al centro dell’analisi di Sachs. E per questo motivo, le
sue prescrizioni aggraveranno e renderanno peggiore la povertà, invece di
porvi fine. I moderni concetti di sviluppo economico, che Sachs vede come
la "cura" per la povertà, sono stati presenti solo in un’esigua porzione
della storia umana. Per secoli, i principi del sostentamento hanno permesso
alle società, sull’intero pianeta, di sopravvivere ed anche di prosperare.
In queste società i limiti presenti in natura venivano rispettati, e
guidavano i limiti del consumo umano. Quando la relazione della società con
la natura è basata sul sostentamento, la natura esiste come forma di bene
comune. Viene ridefinita come "risorsa" solo quando il profitto diviene il
principio organizzativo della società e produce l’imperativo finanziario
allo sviluppo ed alla distruzione di queste risorse per il mercato.

Sebbene in molti scegliamo di dimenticarlo o di negarlo, tutti i popoli in
tutte le società dipendono ancora dalla natura. Senza acqua pulita, suoli
fertili e diversità genetica, la sopravvivenza umana non è possibile. Oggi
lo sviluppo economico sta distruggendo questi che un tempo erano beni
comuni, dando come risultato una contraddizione: lo sviluppo depriva le
stesse persone che professa di aiutare della loro terra e dei loro
tradizionali sistemi di sostentamento, forzandole a sopravvivere in un
mondo naturale sempre più impoverito.

Un sistema quale è il modello di crescita economica che conosciamo oggi,
crea miliardi di miliardi di dollari di profitti per le corporazioni, nel
mentre condanna milioni di persone alla povertà. La povertà non è, come
Sachs suggerisce, uno stato iniziale del progresso umano da cui dobbiamo
fuggire. E’ lo stato finale in cui le persone cadono quando uno sviluppo
unilaterale distrugge i sistemi ecologici e sociali che hanno mantenuto la
vita, la salute ed il nutrimento dei popoli e del pianeta per ere.

La realtà è che le persone non muoiono per mancanza di soldi. Muoiono per
mancanza di accesso alla ricchezza dei beni comuni. Qui, di nuovo, Sachs si
sbaglia quando dice: "In un mondo di abbondanza, un miliardo di persone
sono così povere che le loro vite sono in pericolo." I popoli indigeni
dell’Amazzonia, le comunità montane dell’Himalaya, i contadini ovunque le
loro terre non siano state espropriate e la cui acqua e biodiversità non
sia stata distrutta dall’industria agricola creatrice di debito, sono
ecologicamente ricchi, sebbene guadagnino meno di un dollaro al giorno.

Dall’altro lato, la gente è povera quando deve comprare le proprie
necessità di base a prezzi alti, senza riguardo per quale sia il loro
introito. Prendete il caso dell’India. Poiché il cibo e le fibre a basso
costo sono state estromesse dal mercato dalle nazioni sviluppate e
dall’indebolimento delle leggi di protezione sul commercio compiuto dal
governo, i prezzi dei prodotti agricoli in India stanno crollando, il che
significa che ogni anno i contadini del paese perdono 26 miliardi di
dollari. Impossibilitati a sopravvivere in queste nuove condizioni
economiche, molti contadini ora sono colpiti dalla povertà e migliaia di
essi si suicidano ogni anno.

Ovunque nel mondo l’acqua potabile viene privatizzata, così che le
corporazioni economiche possono ricavare un profitto astronomico vendendo
ai poveri una risorsa essenziale, che un tempo era gratuita. E i 50
miliardi di dollari di "aiuti" che dal Nord vengono al Sud, sono solo la
decima parte dei 500 miliardi di dollari che sono stati succhiati
nell’altra direzione, grazie agli ingiusti meccanismi imposti all’economia
globale dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale.

Se siamo seri, quando diciamo di voler mettere fine alla povertà, allora
dobbiamo essere seri nel mettere fine ai sistemi che creano la povertà
derubando i poveri dei loro beni comuni, dei loro stili di vita e dei loro
guadagni. Prima di poter far diventare la povertà storia, dobbiamo
considerare correttamente la storia della povertà. Il punto non è quanto le
nazioni ricche possono dare, il punto è quanto meno possono prendere.