il futuro di google



da Punto Informatico lunedi 5 settembre 2005

il futuro do google

Roma - Molti autorevoli commentatori d'oltreoceano, da David Pogue a Scott
Rosemberg da John Gruber a Gary Rivlin si sono esibiti in questi giorni
nella analisi degli intenti prossimi venturi di Google, anche alla luce di
una sua possibile futura contrapposizione con Microsoft. La domanda di
fondo, quella che fino a ieri interessava solo i tecnologi di tutto il
mondo e gli utenti del motore di ricerca di Mountain View e che oggi
invece, dopo la quotazione in borsa, investe anche più complesse
problematiche economiche, rimane sempre la stessa: cosa diventerà Google
domani?
Quello che noi oggi sappiamo - e certo non è moltissimo - è che Google
ormai da tempo non è più "solo" un motore di ricerca. Non passa mese che la
premiata ditta Brin e Page non rilasci un nuovo software, una beta di un
nuovo servizio web o un progetto culturale di più ampio respiro (come per
esempio la digitalizzazione del patrimonio librario delle grandi
università, ora sospesa) che differenziano in maniera sempre più marcata
gli interessi della compagnia da quelli della semplice ricerca sul web.
Ma se è relativamente facile intendersi su cosa Google ormai non sia,
sembra assai più difficile accordarsi su cosa sia ora o, peggio, su cosa
diventerà domani. L'idea di David Pogue, scritta sulle colonne del New York
Times qualche giorno fa, è per esempio che Google stia diventando una
software company, anche se Pogue stesso non comprende bene in che direzione
tale business si possa in futuro sviluppare.
La contrapposizione facile facile e sulla bocca di tutti è ovviamente
quella secondo la quale i progetti di Google siano in rotta di collisione
con lo strapotere Microsoft. Se ne è del resto parlato spesso, anche nel
recente passato. Le migliaia di computer in rete di Google (e i miliardi di
dollari nelle casse della società che attendono di essere spesi), con i
loro servizi di posta, di messaging, di browsing e quant'altro, a
sostituire i software residenti nei PC. Lo spostamento mille volte atteso
dell'anima della elaborazione elettronica dai singoli client sulle
scrivanie di casa nostra alla rete delle reti.
Un'idea certamente affascinante, magari nel medio periodo anche
tecnicamente fattibile, ma del tutto incompatibile con le scelte di
sviluppo che Google ha lasciato intravedere negli ultimi mesi. Per quali
ragioni, per esempio, una società che aspirerebbe a contrapporsi a MS
decide di rilasciare in rete software che nella grande maggioranza dei casi
(quando non sono browser-based) sono compatibili solo con i sistemi
Windows?
Oppure, come sostiene con una qualche semplificazione John Gruber su Daring
Fireball, il business centrale di Google rimarrà quello della pubblicità ed
ogni servizio che Google propone ai suoi utenti deve essere analizzato come
il tassello della costruzione di un network pensato per massimizzare la
circolazione dei messaggi di AdSense et similia?
Certamente oggi le cose stanno esattamente in questa maniera: Apple
guadagna dall'hardware, Microsoft dal software e Google, così come Yahoo,
dalla pubblicità. Eppure la marea di soldi che si sono materializzati dopo
la quotazione in borsa e nelle successive operazioni finanziarie, così come
le aspettative stesse del mercato, sembrano escludere che Google possa
rimanere nel tempo quello che è oggi. E tutto ciò autorizza i commentatori
di tutto il mondo a prodursi in previsioni difficili come quelle riferibili
ad un prossimo sistema operativo targato Google, a Google che si trasforma
in un operatore telefonico e internet, a Google che, in una maniera o
nell'altra, appronta le sue corazzate per conquistare il mondo.
È da queste previsioni tanto vaporose quanto preoccupanti che scaturisce
molta della restante stampa di opinione che si è affrettata in questi mesi
a chiedersi (con qualche ragione) quale sarà la fine della enorme quantità
di nostre informazioni che Google maneggia ogni giorno. Il celebre motto di
Sergey Brin Don't be evil, crudele semplificazione liceale su cosa sia o
non sia il caso di fare nella vita, anche, paradossalmente, nel momento in
cui si diventa una delle principali aziende innovative del pianeta, è stato
molto spesso nelle ultime settimane privato del "don't" da parte di quanti
temono che una compagnia che gestisce i nostri dati e che deve nel contempo
rispondere con trimestrale puntualità ai suoi esigenti azionisti, vada
considerata un concreto pericoloso cavallo di troia nella privacy di ogni
cittadino.
Forse è ancora troppo presto per tutto: forse Google merita per ora una
cavalleresca sospensione del giudizio, non foss'altro per il credito di
innovazione e cultura digitale che l'ex search engine di Mountain View ci
ha regalato in questi anni. Se come recita la "mission" della compagnia lo
scopo di Google è quello di "organizzare l'informazione del mondo
rendendola universalmente accessibile ed utile" forse è il caso di
attendere ancora un po' prima di prendere qualsiasi posizione. Senza
considerare l'eventualità, per nulla remota, che, mentre tutti nel mondo si
abbandonano alle previsioni più fantascientifiche, nemmeno a Google
sappiano oggi con precisione cosa saranno fra 5 anni.

Massimo Mantellini