italia la chimera del nucleare



da lavoceinfo.it 16-05-2005
La chimera del nucleare
Raffaele Piria
Germana Canzi

Chi auspica il ritorno alla fissione nucleare in Italia adduce spesso come
argomento un presunto isolamento del paese sulla questione. In realtà, come
mostra il grafico, la crescita dell'industria nucleare è bloccata da tempo.
I reattori nel mondo
Nel 2004 erano attivi a livello globale 441 reattori, quattro in meno
rispetto al picco storico del 2002. Solo quarantatre sono entrati in
servizio negli ultimi dieci anni, mentre nel decennio 1980-1989 ne erano
stati inaugurati 209.
L'età media dei reattori in funzione è di 21 anni e anche se alcuni paesi
hanno innalzato i limiti legali di anzianità, difficilmente i venticinque
reattori in costruzione alla fine del 2004 compenseranno la graduale
dismissione dei settantanove che hanno già superato i trenta anni.. La
maggior parte dei reattori in costruzione si trova in paesi in via di
sviluppo: otto su venticinque in India, pochissimi in Europa e nessuno
negli Usa, dove l'ultima centrale nucleare effettivamente costruita fu
ordinata nel 1973. Neanche l'eventuale costruzione di quelli annunciati in
Cina basterà a riequilibrare il declino dell'industria altrove.
Nella UE-25 sono in funzione 151 reattori, ventuno meno che nel 1989.
Dodici Stati UE non usano il nucleare e non hanno in programma di farlo.
Dei tredici che lo usano, quattro (Germania, Belgio, Svezia e Olanda) hanno
deciso di chiudere gli impianti esistenti. Solo due nuove centrali sono
programmate in Europa occidentale (in Francia e Finlandia), entrambe molto
controverse anche per le sovvenzioni pubbliche più o meno palesi.
Il clima e il nucleare
Per tenere sotto controllo il cambiamento climatico, i paesi
industrializzati dovranno ridurre le emissioni di gas serra del 60-80 per
cento in pochi decenni: il settore elettrico produce il 37 per cento delle
emissioni globali di CO2. Pur vantaggioso da questo punto di vista, se si
considerano tutte le fasi del ciclo - dall'estrazione dell'uranio, alla
produzione dei combustibili, alla gestione delle scorie per millenni - il
nucleare non è a emissioni zero. E i suoi costi effettivi lo rendono una
"soluzione" per la politica climatica di lungo periodo tra le più
controverse.
Chi sostiene il nucleare, cita il bisogno di ridurre la dipendenza da
petrolio e gas, scarsi e importati.  Ma anche l'uranio è una risorsa
finita. Il 58 per cento delle riserve conosciute si trova in tre paesi:
Australia, Kazakhstan e Canada. Ai tassi di consumo attuale, sono
sufficienti solo per cinquanta anni.
Il prezzo dell'uranio incide ancora poco sul prezzo finale dell'energia
nucleare. Ma se il suo uso dovesse crescere molto, l'uranio diverrebbe
sensibilmente scarso nel giro di pochi decenni, nonostante sia probabile
che ne esistano riserve più ampie di quelle oggi conosciute. Uno studio del
Massachusetts Institute of Technology, che analizza le condizioni
necessarie per poter proporre uno sviluppo massiccio del nucleare, indica
quattro aree critiche: i costi, la sicurezza, la gestione delle scorie e la
proliferazione.
I costi
Nel 1954, il presidente della Us Atomic Energy Commission prospettava un'era
in cui l'elettricità sarebbe stata "too cheap to meter" - così economica
che non vale la pena misurarla. Ma, dopo mezzo secolo di sovvenzioni
pubbliche incalcolabili (ricerca, costruzione, gestione del rischio), i
costi effettivi del nucleare rimangono alti.
Nel 2002, British Energy entrò in crisi perché la liberalizzazione dei
mercati elettrici aveva reso il nucleare poco competitivo. Fu salvata dalla
bancarotta grazie a un controverso aiuto pubblico di oltre 6 miliardi di
euro, in parte per coprire le passività legate alla gestione delle scorie
nucleari e al futuro smantellamento delle centrali nucleari.
Nel gennaio 2005, la Corte dei conti francese ha scoperto che a fronte di
13 miliardi di euro di accantonamenti dichiarati da Electricité de France
per lo smantellamento delle centrali nucleari e per la gestione delle
scorie radioattive, esistono solo 2,3 miliardi di attivi effettivamente
dedicati allo scopo.  Questi esempi mostrano come il nucleare sia un'industria
in cui è facile scaricare i costi sul futuro e sulla collettività.
La sicurezza e la ripartizione del rischio
La sicurezza dei reattori rimane un problema. Lo studio del Mit presume un
rischio di incidente tipo Chernobyl ogni 10mila anni/reattore. Sembra
basso? Con dieci reattori attivi in Italia per un periodo di cinquanta
anni, avremmo il 5 per cento di probabilità di una catastrofe. Chernobyl si
è verificato in una delle zone meno popolate d'Europa; lo stesso incidente
nella pianura padana avrebbe costi umani ed economici ben più gravi.
Più di una volta attivisti di Greenpeace sono penetrati in zone delicate di
centrali nucleari, dimostrandone la scarsa sicurezza. Per non parlare, poi,
dell'ipotesi di attacchi aerei, mentre il trasporto delle scorie per terra
e per mare rappresenta un ulteriore rischio. Rilasci di quantità nocive di
sostanze radioattive avvengono non solo in caso di catastrofi, ma anche
nella routine quotidiana, soprattutto nelle centrali di riprocessamento
come documentato nei casi di Sellafield e La Hague. (1)
Inoltre, in tutti i paesi in cui si usa il nucleare, ai gestori è concessa
la libertà di assicurarsi fino a un massimale astronomicamente inferiore ai
danni potenziali. Il rischio restante è a carico dei contribuenti, o peggio
degli sfortunati cittadini ridotti a profughi che lo Stato non sarebbe in
grado di risarcire.
Lo stoccaggio finale delle scorie
In mezzo secolo, nessun paese al mondo ha definito una soluzione per lo
stoccaggio finale delle scorie radioattive. Finché il costo finale della
gestione delle scorie non è noto, anche i costi della produzione nucleare
rimangono incerti. Intanto, le scorie si accumulano in luoghi mal protetti,
con rischio di contaminazione dell'ecosistema. Non è eticamente accettabile
lasciare in eredità a generazioni future rifiuti che non sappiamo gestire e
che resteranno pericolosi per millenni.
In Italia è stato finora impossibile trovare un accordo sulla gestione
delle scorie ereditate dai reattori chiusi dopo il referendum (e le
quantità più modeste che vengono da altre fonti come gli ospedali): pare
improbabile che la soluzione si trovi dopo aver riaperto centrali che
produrranno nuove scorie in gran quantità.
Il rischio proliferazione
L'Iran e la Corea del Nord ci ricordano la stretta connessione tra filiera
nucleare civile e militare. Se l'uso dell'elettricità nucleare si
espandesse a livello globale, la proliferazione di tecnologie e materiali
atti a costruire armi nucleari sarebbe incontrollabile, ammesso che non sia
già troppo tardi.
Molte domande, poche risposte
Chi propone il ritorno al nucleare in Italia dovrebbe dunque fornire
informazioni trasparenti e dettagliate su:
· Le sottostanti ipotesi finanziarie, con una chiara distinzione tra
investimenti privati e sovvenzioni pubbliche esplicite e implicite
· La ripartizione del rischio tra industria e collettività in caso di
incidenti nei reattori, negli impianti secondari, sulle vie di trasporto,
eccetera.
· Una soluzione tecnica e un accordo politico definitivi per lo stoccaggio
finale delle scorie, con una capacità adatta ad accogliere anche quelle
future
· Come evitare di aumentare la proliferazione nucleare, particolarmente se
si pensa a un ciclo chiuso di combustibile che implica la produzione di
plutonio.
Per evitare la Scilla dell'effetto serra e della dipendenza da combustibili
fossili, sarebbe sbagliato gettarsi nelle fauci di una Cariddi almeno
altrettanto mostruosa. Il dilemma si può risolvere soltanto facendo rotta
verso le uniche soluzioni veramente durature: l'efficienza energetica e le
energie rinnovabili, dal potenziale di crescita enorme. Bisogna
urgentemente investire risorse in questi campi, in cui l'Italia è in forte
ritardo, invece di inseguire la chimera del nucleare.
Per saperne di più
M. Schneider & A. Froggatt "World Nuclear Industry Status Report 2004,"
2004.
http://www.greens-efa.org/pdf/documents/greensefa_documents_106_en.pdf
International Atomic Energy Agency, "Power Reactor Information System",
www.iaea.org/programmes/a2/
Matthew L. Wald, "Seven Companies Band Together in Hopes of Building
Nation's First New Nuclear Plant in Decades", New York Times, 31/3/04.
World Nuclear Association, "Information and Issue Briefs: Supply of
Uranium", August 2004
www.world-nuclear.org/info/inf75.htm
"The Future of Nuclear Power, an Interdisciplinary Mit Study", 2003:
http://web.mit.edu/nuclearpower/
http://www.ccomptes.fr/Cour-des-comptes/publications/rapports/nucleaire/introduction.htm
Makhijani, Chalmers, Smith, "Uranium Enrichment: Just Plain Facts to Fuel
an Informed Debate on Nuclear Proliferation and Nuclear", 2004:
http://www.ieer.org/reports/uranium/enrichment.pdf
(1) Vedi, rispettivamente,
http://www.bellona.org/en/energy/nuclear/sellafield/index.html e
http://www.wise-paris.org/