il capitalismo opaco



 dal  manifesto 28 Ottobre 2005
 
Il capitalismo opaco

Poteri deboli Guido Rossi, «mastino» del diritto societario parla del suo ultimo libro. «Il guaio del capitalismo italiano è che tutto finisce in tribunale». «Devastanti le leggi ad personam fatte da questo governo». «Il capitalismo familiare? Non esiste più. Tutto è in mano alle banche»
BRUNO PERINI
Guido Rossi? C'è chi lo definisce «mastino» del diritto societario, chi «guardiano» delle regole, chi consigliere dei magistrati milanesi in materia societaria. Chi, più semplicemente: un gran rompiscatole. Lui quando sente queste definizioni si fa una grande risata: sa bene che in questi anni di nemici se n'è fatti tanti, soprattutto negli ultimi mesi in veste di consulente della banca olandese Abn. Qualche esempio? Dalle parti di via Nazionale, tanto per dirne una, è tra i personaggi più impopolari: Antonio Fazio lo vede come il fumo negli occhi, lo considera uno dei principali responsabili della sconfitta subita da Bankitalia su Antonveneta e si dice che nel libro nero di palazzo Koch abbia annotato, una per una, tutte le pesanti critiche fatte da Rossi all'operato dell'istituto. Il governatore, sussurrano, non gli perdonerà mai di avergli rotto il meccanismo delle fusioni bancarie in un momento in cui sembrava che i giochi in Antonveneta fossero fatti e di essersi alleato con Cesare Geronzi, ex amico di Fazio. Non parliamo di Stefano Ricucci e Giampiero Fiorani. Il raider romano e il banchiere di Lodi erano quasi riusciti a mettere le mani sul Corriere della Sera e a sistemare le loro faccende bancarie, ma da quando si è messo di mezzo Guido Rossi, chiamato dal patto di sindacato di Rcs a sistemare la faccenda, le cose sono andate tutte storte per l'immobiliarista e il banchiere. Ora il Ricucci, ironia della sorte, dovrà tornare a Canossa da Guido Rossi per vendere il 14% dei titoli Rcs che gli sono rimasti sullo stomaco e questo non gli piacerà tantissimo.

La postazione di Guido Rossi si trova in via Sant'Andrea 2, dove Silvana, la sua efficientissima segretaria personale, custodisce gelosamente i segreti del «professore» e dove in questi mesi sono passati tutti i protagonisti della battaglia azionaria per il controllo dell'Antonveneta, dai legali di Stefano Ricucci, ai concertisti, da Cesare Geronzi a banchieri delle marchant bank impegnate nell'operazione. In Sant'Andrea non siamo andati per parlare di Fazio o Ricucci ma per una conversazione sul suo ultimo libro: «Il Capitalismo opaco», edito da Laterza, una raccolta di interviste al giornalista di Repubblica, Federico Rampini. Allora, professore che immagine di capitalismo esce da questo libro? L'ultimo suo lavoro si chiamava «Il conflitto epidemico», un testo che ha fatto innervosire molti nella comunità degli affari, perché lei non se la prendeva soltanto con Berlusconi ma anche con banche e banchieri.

Rossi alza le mani al cielo: «Se si arrabbiano peggio per loro. L'immagine che ne esce? Quella di un capitalismo dove esistono molte regole ma non rispettate. Dove chi dovrebbe farle rispettare, mi riferisco alle autorità di controllo, o non le fa rispettare o non ha strumenti sufficienti per farlo. Ma la cosa più drammatica sa qual è? Che alla fine l'unica alternativa che ne risulta è il ricorso alla magistratura. E' questa la vera debolezza del sistema capitalistico italiano, si finisce sempre lì, in tribunale». Lei dovrebbe essere contento, tutti dicono che è lei il vero suggeritore dei magistrati milanesi che indagano sul caso Antonveneta. C'è chi l'ha accusata di aver avuto un ruolo chiave nelle prove che hanno portato all'incriminazione di Ricucci e Fiorani.

«Sciocchezze: non sono affato contento di questo sistema, e non credo che il ricorso alla magistratura sia la soluzione per risolvere il problema delle regole. La supplenza della magistratura non è sana per il sistema. Su questo sfido chiunque a sostenere che io ho mai detto il contrario. Purtroppo, devo constatare però un dato drammatico: ogni volta che qualcuno non rispetta le regole, chissà perché, finisce per commettere un reato penale. E questo è assai grave perché mette in moto quel processo di cui le parlavo prima, il continuo ricorso alla magistratura. Il caso dell'Antonveneta è esemplare: si è scoperto che il non rispetto delle regole societarie portava con sé reati di carattere penale. Questo non dipende dal fatto che i magistrati sono cattivi ma da un'anomalia che è insita nel nostro sistema opaco».

La prima intervista di questa raccolta risale al 1996, quasi dieci anni fa. Che cosa è accaduto in questi anni, che cosa è cambiato? In quell'intervista si parla del capitalismo familiare, la Fiat, Romiti, Mediobanca...Sembra di tornare a un secolo fa. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. Spesso era acqua sporca. Il professor Rossi ci pensa un po' prima di rispondere ma sa bene che è un invito a nozze questa riflessione. «Ma esiste ancora il capitalismo familiare? Ah non lo so, me lo dica lei. «Io direi che non esiste più. Non vorrei fare nomi ma mi sembra proprio che quella forma di capitalismo stia scomparendo. Una volta c'era il capitalismo della grande industria: la Fiat, i Pirelli, Orlando. Oggi che cosa è rimasto di tutto ciò? Un po' di capitalismo artigianale. Le grandi imprese sono in mano alle banche e il capitalismo è diventato bancocentrico. Non c'è nulla che si muova al di fuori del sistema bancario. Accanto a questi processi c'è stata una deriva istituzionale molto preoccupante e bisogna sapere fin d'ora che il legislatore futuro che volesse cambiare rotta farebbe fatica a smontare questo assetto legislativo. Si sono fatte una serie di leggi che invece di favorire la trasparenza del sistema ne favoriscono l'opacità. Ma pensi alle leggi ad personam fatte dal governo Berlusconi. Sono leggi devastanti che inquinano il sistema e fanno venire in mente Tacito: `Corruptissima repubblica plurima leges'. Sono leggi che impediscono al sistema di essere trasparente». A proposito di banche le leggo un passaggio di una sua intervista su Bankitalia: «Il nanismo delle banche è stato mantenuto tale perché consentiva alla banca d'Italia una politica del `divide ed impera', perpetuava il potere assoluto della vigilanza». Parole molto dure, soprattutto se sono lette in relazione a quello che è avvenuto dopo con la vicenda Antonveneta e l'incriminazione di Antonio Fazio per abuso d'ufficio.

«Cconfermo tutte quelle parole, c'è stata una precipitazione preoccupante. D'altronde, come mi è capitato di dire in un'altra intervista raccolta nel libro, alla luce dei casi Cirio e Parmalat ci vuole una certa spudoratezza per descrivere il sistema bancario italiano come un sostegno fondamentale alla piccola e media industria. La precipitazione sta proprio qui: in un capitalismo opaco e protetto dove non c'è stata liberalizzazione. Se non si mettono in moto i grandi procesi di liberalizzazione, queste forme di protezione resteranno in eterno e produrranno grandi guasti».

Tra poco pubblicherà un nuovo libro: «Il gioco delle regole». Mi pare che si possa considerare il seguito del «Conflitto Epidemico», dove non c'era via d'uscita dal conflitto d'interessi che permea il sistema. «Cos'è il gioco delle regole? Diciamo che il conflitto epidemico ha trovato un suo terreno fertile in un capitalismo che non si fonda più su leggi universali. Con la globalizzazione si sono creati una serie di ordinamenti alternativi che giustificano tutto, anche la guerra. Il caso dell'Iraq e delle motivazioni con le quali gli Usa hanno iniziato la guerra in Iraq è esemplare. L'esistenza del terrorismo ha giustificato un ordinamento e delle regole che nulla hanno a che fare con gli ordinamenti che regolavano i rapporti tra i paesi nel mondo. La legge universale non esiste più, è proprio questo il gioco delle regole. Ognuno si sceglie un proprio ordinamento, come nel sistema feudale e vince chi ha più potere. Platone sosteneva che la legge è fatta per proteggere i poveri. Nel sistema attuale non è più così se mai lo è stato. Siamo tornati a una sorta di Medioevo».