legge urbanistica: assalto alle città



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Da Certa.org lunedi 12 ottobre 2005

Legge urbanistica: assalto alle città

 Dopo tagli e privatizzazioni, ecco il colpo di grazia alle comunità locali. Già approvata alla camera, sta arrivando al senato la legge urbanistica firmata da Maurizio Lupi, deputato di Forza Italia, con amici anche a sinistra. L'analisi, e la denuncia, di un grande urbanista

di vezio de lucia

Non so se il marasma che scuote governo e maggioranza travolgerà anche il cosiddetto disegno di legge Lupi in discussione al senato, che è stato approvato alla camera alla fine del mese di giugno. Ma anche se così fosse non possiamo metterci una pietra sopra.

Non possiamo perché la proposta -un micidiale esempio di quel «riformismo eversivo» che guida l'azione dell'attuale maggioranza - ha goduto del sostanziale consenso di importanti settori del centrosinistra [in particolare della Margherita], dell'Istituto nazionale di urbanistica [ormai collaterale al centrodestra] e del fragoroso silenzio della stampa [salvo pregiate eccezioni]. Perciò non è difficile prevedere che sarà nuovamente all'ordine de] giorno, seppure in un diverso assetto governativo e sotto mutate spoglie.

Il disegno di legge prende il nome dal suo principale artefice, Maurizio Lupi, deputato di Forza Italia, negli anni passati assessore del comune di Milano, ispiratore dell'urbanistica contrattata di rito ambrosiano. A Milano, infatti, il Piano regolatore è una specie di rovina archeologica.

Il capoluogo lombardo non è mai stato un modello di rigorosa amministrazione urbanistica. La tradizione, grazie anche a nuovi provvedimenti regionali, raggiunge oggi soglie estreme. Progetti e programmi pubblici e privati non sono tenuti a uniformarsi alle prescrizioni del Piano regolatore ma, al contrario, è il Piano regolatore che si deve adeguare ai progetti, diventando una specie di catasto dove si registrano le trasformazioni edilizie contrattate e concordate.

Con il disegno di legge in discussione al senato, l'impostazione milanese viene estesa a tutta l'Italia. I lettori di Carta sanno di che si tratta, ma è bene ricordare i contenuti essenziali della proposta.

Cominciando dalla norma più grave, quella che cancella il principio stesso del governo pubblico del territorio, sostituendo gli atti cosiddetti «autoritativi», vale a dire quelli propri del potere pubblico, con «atti negoziali» assunti d'accordo con la proprietà immobiliare. In secondo luogo, la legge Lupi cancella gli standard urbanistici, che sono le quantità minime di spazi destinate a verde e a servizi garantite a tutti i cittadini, un vero e proprio diritto alla vivibilità, conquistato nell'ormai lontano 1968. Se è vero che in alcune parti del centro nord la disponibilità di spazi per attrezzature è in larga misura garantita, non è così nei comuni del Mezzogiorno, dove adeguate disponibilità di verde pubblico e servizi sono ancora un miraggio.

Altri due insensati contenuti della legge Lupi riguardano l'indiscriminata incentivazione del consumo del suolo e i limiti posti alla tutela del paesaggio. Invece di imporre la preservazione di quanto resta di territorio non urbanizzato, come stanno facendo Francia, Germania, Inghilterra, e come richiede l'Unione europea, se ne legittima la dissipazione.

Appariscente la differenza, per esempio, con la legislazione toscana, che ammette l'utilizzazione del suolo non urbanizzato solo se si dimostra che non ci sono possibilità di recuperare spazio nell'ambito della città esistente. Riguardo alla tutela, il disegno di legge la riserva allo Stato, cancellandola dall'ordinaria attività di pianificazione a scala locale, contraddicendo principi mai messi in discussione dall'Unità d'Italia. Se avesse operato in passato una norma del genere, l'Appia Antica sarebbe come Casalpalocco, le colline di Bologna e di Firenze sarebbero come Posillipo, non ci sarebbe il parco delle Mura di Ferrara, non sarebbe stata salvata la costa della Maremma livornese, e così di seguito.

Pochissimi gli osservatori che hanno posto in relazione il disegno di legge Lupi con le spericolate avventure dei cosiddetti immobiliaristi che spadroneggiano nella finanza italiana, con la copertura delle autorità monetarie e politiche, e hanno contribuito a fare della rendita il motore dell'economia nazionale.

La questione della rendita è strettamente legata all'urbanistica. Negli anni sessanta e settanta, l'impegno della cultura di sinistra per la riforma urbanistica era tutt'uno con il più generale impegno per contrastare, contenere e ridurre i privilegi della rendita immobiliare e finanziaria. Il patto fra i produttori, l'alleanza fra salario e profitto contro la rendita, furono efficacissime parole d'ordine e direzioni di marcia che nessuno ricorda.

Fra i pochi che hanno messo in evidenza il primato nell'Italia di oggi della rendita sul profitto e sul salario, e della speculazione sull'impresa e sul lavoro, mi limito a ricordare gli interventi di Edoardo Salzano e di altri sul sito Eddyburg [di cui raccomando la quotidiana frequentazione] e l'articolo di Paolo Bordini sul manifesto del 30 agosto.

Bordini sostiene che con la legge Lupi si completa un percorso iniziato nel 2001 con il provvedimento del neonato governo Berlusconi noto come «scudo fiscale», che consentì il rientro dall'estero di circa 70 miliardi di euro, finiti prevalentemente in investimenti immobiliari [anche a causa della crisi del mercato borsistico dopo 1' 11 settembre 2001].

Per adeguare l'offerta alla domanda fu varato il provvedimento per la liquidazione del patrimonio pubblico, noto come «cartolarizzazione», che prevede anche la valorizzazione dei beni venduti con interventi in deroga alla disciplina urbanistica. È poi la volta del disegno di legge sulla cosiddetta competitivita in discussione alla camera [con annessa «legge obiettivo sulle città»] che prevede «l'incremento premiale dei diritti edificatori», vale a dire l'aumento delle densità urbane.

Per spianare definitivamente la strada alla peggiore rendita speculativa serve ancora l'eliminazione degli standard che intralciano molti lucrosi affari, come nel caso dell'area ex Fiera di Milano. Perciò serve la legge Lupi.B

GLI «ALLUPATI» E CHI ESCE DAL BRANCO

«Non siamo qui per recitare una poesia, ma per alimentare il dibattito attorno alla nuova legge urbanistica nazionale», con queste parole Paolo Avarello, presidente dell'Istituto nazionale di urbanistica, ha introdotto il terzo seminario sulla legge Lupi, lo scorso 15 settembre 2005. «È un seminario assai strano - ha raccontato sul sito di Edoardo Salzano, www.eddyburg.it, l'urbanista Georg Josef Frisch - Ogniqualvolta prende la parola un dirigente dell'l-nu, la legge Lupi sembra essere la panacea di tutti i mali dell'urbanistica italiana. Quando, invece, tocca alle sezioni regionali dell'Imi o a relatori diversi, seppure vicini culturalmente alla dirigenza Inu ma, evidentemente, non interscambiabili con questa, la legge viene criticata dalle fondamenta». Qual è il motivo di tanto entusiasmo? «Non è affatto vero che la linea dell'Imi collima perfettamente con quella degli estensori della legge Lupi. Semmai, sono i dirigenti dell'lnu che si 'allupano'; gli associati delle sezioni locali, invece, hanno da tempo superato le [imposizioni centrali. Non convince la definizione di governo del territorio, c'è una grande preoccupazione per l'autorevolezza dell'amministrazione pubblica e della definizione di interesse generale, mancano accenni fondamentali alle direttive europee sulla sostenibilità, l'ambiente urbano, il suolo, eccetera; manca soprattutto ogni riferimento alla realtà del territorio italiano, alle problematiche specifiche riscontrabili e alle opzioni politiche possibili», conclude Frisch. Un appello diretto a Prodi da parte di urbanisti e personalità della cultura definisce la legge Lupi «un progetto fondato sull'abbandono di ogni pianificazione regionale e comunale nell'interesse generale sostituita da una urbanistica che tutto contratta coi poteri forti delle immobiliari». E chiede un segno di discontinuità al centrosinistra.

Qualche giorno fa, poi, Maurizio Lupi era alla presentazione della candidatura di Milano all'Expo del 2012. Lì, il presidente del consiglio comunale di Milano, Vincenzo Giudice, ha descritto una corsa al cemento in perfetta coerenza con lo spirito della legge Lupi. «Il prossimo passo, il più importante, sarà quello di riunire attorno ad un tavolo i privati interessati a sostenere l'Expo, perché senza il loro contributo l'impresa diventerebbe impossibile».

bolle speculative e deroghe

Nelo panorama  nazionale, l'urbanistica romana è, insieme a quella di Milano, capofila nel sistematico uso degli strumenti della deroga, che permettono di approvare progetti senza alcuna coerenza urbana e rappresentano un grande premio alla rendita immobiliare. Abbiamo più volte messo in luce su Carta i principali esempi di uso disinvolto dell'accordo con i proprietari delle aree. Ma non avremmo mai pensato di imbatterci in una questione della portata di quella che ci accingiamo a descrivere.

Il nostro racconto deve iniziare dal Piano regolatore di Roma approvato nel 1965, che prevedeva a sud di Roma, lungo l'autostrada che collega con l'aeroporto di Fiumicino, un «autoporto», e cioè un centro di scambio intermodale delle merci. Il luogo prescelto era localizzato a Ponte Galena, alla confluenza con l'autostrada per Civitavecchia-Livorno: l'estensione dell'area prescelta era di circa 150 ettari.

Trent'anni dopo, durante tangentopoli, su quei terreni viene sperimentato il principale assunto teorico della «nuova» urbanistica: l'arbitrarietà della destinazione d'uso - decisa ovviamente dalla proprietà - rispetto a quella prevista dagli strumenti urbanistici. La proprietà è nota e qualificata, la Lamaro, e realizza un edifìcio per uffici e un grande numero di capannoni commerciali. Nulla a che vedere, dunque, con il previsto «autoporto».

Siamo nel 1991.1 manufatti vengono sequestrati dalla magistratura e si apre un processo che non avrà alcun esito. Nel 1995, passato il terremoto di «mani pulite», la giunta comunale di Roma permette l'apertura di una struttura commerciale, denominata Com-mercity. Il valore di quei terreni subisce un'enorme rivalutazione economica.

Nel 2001 iniziano a trapelare sulla stampa le prime indiscrezioni sulla volontà del comune di Roma di localizzare sui terreni adiacenti a Commercity la nuova Fiera di Roma. Ma è agli inizi di marzo del 2003, e cioè prima dell'adozione del nuovo Piano regolatore da parte del consiglio comunale di Roma, che viene ufficializzata la decisione di localizzare su altri 223 ettari di territorio la nuova struttura. L'annuncio avviene alla Fiera immobiliare Mipim, che ogni anno si svolge a Cannes, un incontro del grande capitale internazionale alla ricerca di affari: del resto, il nuovo strumento urbanistico romano si vanta di essere «il Piano delle offerte». La decisione viene perfezionata attraverso un accordo di programma. I lavori di costruzione della Fiera iniziano nel 2004, subito dopo che la Regione Lazio aveva aderito al citato accordo

di programma.

Ma fin qui, come dicevamo, siamo nella prassi canonica dell'urbanistica contrattata: i terreni cambiano destinazione d'uso in relazione alla volontà della proprietà fondiaria. Ma c'è un fatto nuovo e inquietante, e cioè il ruolo della Regione Lazio : nel febbraio 2002 - in una data in cui non è ancora concluso l'iter della variante che localizza la Fiera nei terreni dell'»autoporto» - l'amministrazione guidata da Francesco Storace stipula con il comune di Fiumicino [anch'esso guidato da una giunta di centrodestra] un accordo di programma che individua in 160 ettari di terreno agricolo, localizzati a meno di un chilometro dall'originaria previsione del Piano del 1965, un nuovo «autoporto».

Un giro di rivalutazione economica di qualche milione di euro a vantaggio della rendita immobiliare. Un rapido calcolo. La valutazione di un terreno agricolo in quel quadrante non supera 20 euro al metro quadrato: il terreno del nuovo «autoporto» valeva nuzialmente 32 milioni di euro. Il cambiamento di destinazione d'uso porta il valore unitario ad almeno 180 euro al metro quadrato: il terreno balza dunque ad un valore di circa 300 milioni di euro. Ecco il vero volto dell'urbanistica contrattata.