i nodi del capitale



da repubblica di martedi 30 agosto 2005

I nodi del capitale
LUIGI SPAVENTA

Si è riaperto il dibattito sull´opportunità di aumentare la tassazione su
interessi, dividendi e guadagni di capitale: un dibattito disordinato e
confuso, in cui ricorrono argomentazioni che non trovano riscontro nei
fatti.
La proposta di aumentare il peso tributario sulle cosiddette rendite
finanziarie per alleggerire, a pressione fiscale invariata, quello che
grava su redditi di altra fonte poggia su ottime ragioni di principio. Da
noi i redditi e le plusvalenze di attività finanziarie, con l´eccezione
degli interessi sui depositi bancari, godono di un trattamento
privilegiato: sia rispetto ai redditi da lavoro e da impresa, sia nel
confronto con gli altri paesi europei, ove gli interessi dei titoli e i
dividendi delle azioni, quando non confluiscono nella tassazione personale
progressiva, sono soggetti a un ritenuta assai più alta del nostro 12,5%.
Un aumento dell´aliquota a un livello del 20-22% produrrebbe, a regime, un
gettito di qualche miliardo che contribuirebbe a finanziare una riduzione
dell´Irap o dei contributi: avvicinandoci al livello europeo, si renderebbe
il sistema fiscale non solo meno iniquo, ma anche meno penalizzante per la
produzione e per l´occupazione.
Ma, si ribatte, si tratta di benefici solo apparenti; l´aumento
dell´aliquota farebbe aumentare i tassi di interesse che lo Stato deve
corrispondere sui suoi titoli, con un aggravio di spesa pari alla maggiore
entrata; oppure, si aggiunge, i capitali privati che lo "scudo fiscale"
aveva fatto tornare in patria riprenderebbero la via della Svizzera.
Entrambi questi argomenti sono fallaci e denotano una qualche ignoranza dei
mercati e della legislazione comunitaria. La prima obiezione trascura il
fatto che i prezzi dei titoli di Stato si fanno sul mercato all´ingrosso,
dominato da investitori istituzionali, soprattutto esteri. Questi, da tempo
esenti dal pagamento della trattenuta, sono perciò indifferenti alla misura
dell´aliquota e considerano solo il rendimento lordo: lo prova la
circostanza che i rendimenti dei titoli pubblici dei diversi stati
nell´area dell´euro hanno differenze di pochi centesimi di punto, del tutto
indipendenti dal regime fiscale. Non vi è dunque motivo di ritenere che i
tassi di interesse si adeguerebbero a una maggiore aliquota.
E la Svizzera? È noto anzitutto che una bella fetta dei capitali che hanno
trovato la protezione dello scudo fiscale (quello che, nei programmi,
doveva stimolare investimenti per una nuova stagione di crescita della
nostra economia) non è affatto rientrata: dopo averla dichiarata e dopo
aver pagato un modestissimo premio (spesso a carico delle banche estere
interessate), chi possedeva quei fondi li ha lasciati, o li ha fatti
tornare, dove erano prima. A parte questo, la nuova direttiva europea sulla
tassazione dei redditi finanziari è stata approvata dopo un accordo con la
Svizzera, che si è impegnata a tassare al 35% gli interessi sui titoli
emessi dopo il 2001 intestati a cittadini residenti nei paesi dell´Unione
europea, riversando queste entrate allo Stato di residenza. Possiamo
davvero immaginare che gli individui sottoscrittori di Btp e di quant´altri
titoli emessi negli ultimi tre anni intraprendano una complessa operazione
di arbitraggio fiscale, vendendo quei titoli e acquistando (a prezzi
crescenti) titoli emessi prima del 2001?
Un aumento di aliquota, piuttosto, incontra alcune difficoltà tecniche
nella transizione dal vecchio al nuovo regime, ove si accolga il principio
che questo possa riguardare solo i redditi successivi, e non quelli
precedenti alla decisione. La soluzione di colpire solo i titoli di nuova
emissione non regge: avrebbe un costo elevato di frammentazione del mercato
e risultati di gettito modestissimi. Si tratta piuttosto, al momento della
transizione, di trattare diversamente i redditi e le plus/minusvalenze da
capitale maturati (anche se non ancora riscossi) prima e dopo la data
d´adozione. È un problema non elementare per i sostituti d´imposta (le
banche), ma superabile, purché il provvedimento sia preso in tempo utile
per consentire loro di attrezzarsi adeguatamente. Il parlare senza fare e
le chiacchiere sui se e sui ma certamente non aiutano.
Ma un malfidato potrebbe chiedersi se la ragione di tante obiezioni non
debba rinvenirsi altrove: magari nella comprensibile resistenza a pagare
più tasse opposta dal massimo percettore di redditi da capitale soggetti
alla ritenuta, al cui consenso e alla cui iniziative il provvedimento è
subordinato.