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Quanto costa il Fazio-gate?
- Subject: Quanto costa il Fazio-gate?
- From: "Max" <max at ocdbgroup.net>
- Date: 2 Sep 2005 12:46:55 -0000
Quanto costa il Fazio-gate? di Marco Saba - 2 settembre 2005 A parte il danno enorme della truffa-signoraggio, che verrà meglio giudicato da una Commissione d'inchiesta Popolare, se non da un vero e proprio Tribunale del Popolo, vista l'apparente latitanza della magistratura ordinaria in merito, Fazio è comunque molto caro. Ma non perché, come dicono i soloni, lo scandalo collegato mina la fiducia nell'istituzione Bankitalia - onorata società che qualcuno dovrà spiegare esattamente in che cosa si differenzia dalla fattispecie prevista dall'art. 416 bis del Codice Penale - anzi, proprio lo scoppio dello scandalo indica che in Italia, a differenza che in Francia, rimane un po' di senso di responabilità. Pertini amava dire: "Non tutti i francesi sono ladri, ma Bonaparte sì!" Occorre sapere difatti che il socio di maggioranza di Bankitalia è il Crédit Agricole, dietro cui si nascondono i signori francesi del signoraggio: vedi Lazard e Rothschild. Apro una parentesi: occorre distinguere tra "ebrei" e "hofjuden", come giustamente fece Hannah Arendt. Altrimenti non si spiegherebbe come ogni cittadino di Israele si veda sottratta una quota di signoraggio procapite pari a 800.000 dollari USA - sempre meno comunque del milione e trecentomila euro rapinati al cittadino UE. Il danno a cui mi riferisco è rappresentato dagli stipendi di cui si appropriano 8.070 dipendenti - di cui 665 altissimi dirigenti - della Bankitalia. Per avere un paragone: i dipendenti della Banca Mondiale sono 9.300. Per non esaminare caso per caso - anche se sarebbe interessante sapere esattamente CHI sono questi 8.070 individui e da dove, e come, arrivano - parliamo di Fazio. Secondo una recente ricerca ancora da pubblicare, Fazio prende uno stipendio superiore a 600.000 euro all'anno, circa il doppio del suo collega olandese Nout Wellink e 150.000 euro di più dello stesso Jean-Claude Trichet, presidente della BCE. Fazio è l'unico, nel piccolo mondo dei banchieri centrali della UE, ad essere eletto a vita. Alan Greenspan, della (privata) banca centrale Federal Reserve, prende uno stipendio annuale di 174.500 dollari, circa 140.000 euro. Meno di un quarto di Fazio! Premesso che la mia opinione personale è che le banche centrali andrebbero sciolte e sostituite da un organismo tipo "Ufficio Pesi e Misure", dei ricercatori dell'Università di Heidelberg dicono che gli stipendi dei "governatori" andrebbero equiparati. Certo che, se è vero che si tratta di una attività dannosa alla collettività, chi accetterebbe di farla per uno stipendio onesto? I sicari monetari devono giocoforza essere pagati molto bene. D'altra parte, come detenuti costerebbero alla comunità 600 euro al giorno. I costi di gestione della Banca di Francia da sola superano quelli dell'intero sistema della Federal Reserve. Prendendo i dipendenti delle banche centrali nel loro insieme, i costi variano in modo drammatico. Consideriamo di spalmarne il costo procapite: nell'eurosistema lo staff della banca centrale europea pesa 4,47 miliardi di dollari all'anno (2004). Ovvero 14,57 dollari per ogni adulto, bambino ed anziano europeo. Sempre nel 2004, la Federal Reserve è costata 1,6 miliardi di dollari, ovvero 5,47 dollari per ogni cittadino americano. In Inghilterra hanno speso 200 milioni, cioè 3,3 dollari a testa. Alcuni paesi molto piccoli riescono a spendere di più degli europei: In Islanda, 25 dollari procapite all'anno. Ma quelli che spendono meno in assoluto sono paesi come la Cecoslovacchia, il Canada e la Nuova Zelanda con meno di 3 dollari procapite all'anno. La più economica in assoluto è la Polonia, che ha anche drasticamente tagliato le spese licenziando parecchio personale del proprio ente inutile centrale. Questo dimostra che, non solo i compiti di queste organizzazioni autarchiche sono identici, ovvero depredare il popolo tramite la contraffazione monetaria, ma che il "valore" della loro "grande" opera con conosce alcun criterio di uniformità. Come a dire: se è vero che il crimine non rende, in Polonia, in Italia rende ancora parecchio eccome! "C'è un fatto straordinario e del tutto fuori del comune, che è completamente sconosciuto ai cittadini italiani poiché nessun giornale italiano si è mai sognato di scriverne anche un minimo dettaglio. Per poterne sapere qualcosa, è necessario leggere un articolo del prestigioso settimanale inglese The Economist. Si apprende che la Banca d'Italia è l'unico istituto centrale al mondo che, benché sia chiamato a svolgere le funzioni di controllore, addirittura investe nelle azioni dei suoi controllati. Il che è veramente fuori dell'ordinario dal punto di vista dell'etica e di quello che si suole definire conflitto d'interessi. L'Economist definisce il nostro istituto centrale "la Banca coi tentacoli". E, per rendere ancor più chiaro il concetto, pubblica a corredo dell'articolo la fotografia di una piovra. Scrive l'Economist che, alla fine del 1996, Bankitalia valutava le sue partecipazioni a 1900 miliardi di lire. Il valore reale di mercato in termini attuali può essere tranquillamente definito di gran lunga superiore. La rivista inglese parla del 4,9 per cento delle azioni delle Assicurazioni Generali, mettendo nel giusto rilievo il ruolo di Mediobanca nel controllo della società che ha sede a Trieste. Tra le partecipazioni, viene anche indicato il 2,6 per cento del gruppo IFI, cioè la cassaforte della famiglia Agnelli, più altri pacchetti azionari. "I suoi investimenti", continua il settimanale britannico, "danno alla Banca d'Italia una sostanziale indiretta partecipazione nel business delle banche essendo le Generali il secondo maggiore azionista sia della Banca Commerciale Italiana sia del Banco Ambrosiano Veneto." Secondo la tradizione del giornalismo anglosassone, prima della pubblicazione dell'articolo - 19 luglio 1997 - il corrispondente da Roma dell'Economist cerca di avere qualche notizia in merito dai diretti interessati. Ma la risposta diramata dall'ufficio stampa del governatore Antonio Fazio è talmente scoraggiante da fargli scrivere: "La Banca d'Italia rifiuta di commentare i suoi investimenti azionari e non dirà nulla di come sono gestiti. Rifiuta persino di fornire informazioni che sono normalmente disponibili attraverso la Consob". Quindi, non si deve mostrare alcuna meraviglia se i pezzi pregiati del disastratissimo Banco Ambrosiano sono andati a finire nelle mani dei soliti "amici della parrocchietta ". Francesco Pazienza, IL DISUBBIDIENTE, Longanesi, 1999
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