terra e libertà non bastano. Serve la salute



da il manifesto - 29 Maggio 2005

Terra e libertà non bastano. Serve la salute
Nel Chiapas il tentativo coraggioso di uso moderno della medicina indigena
Tutto per tutti La libertà sognata dagli zapatisti è un progetto ideale di
grande respiro, i cui utenti non sarebbero i soli cittadini del Chiapas, ma
i messicani tutti
FRANCO VOLTAGGIO
La storia moderna della repubblica federale messicana inizia quasi cento
anni fa, nel 1910, quando l'intero paese insorse contro la dittatura di
Porfirio Diaz. La rivoluzione, promossa dai liberali, durò 10 anni, vide
protagoniste soprattutto le grandi masse dei braccianti agricoli, i peones,
in prevalenza indios, i quali, condividendo gli ideali libertari dei
democratici moderati, si battevano tuttavia perché la libertà formalmente
intesa si concretasse in giustizia sociale, così realizzando il binomio,
diventato proverbiale in tutta l'America latina, di terra e libertà. Fu
questo il grido di battaglia dei leader contadini, tra i quali spicca la
figura di Emiliano Zapata, assassinato nel 1919, che la leggenda vuole non
essere mai morto e perciò pronto a mettersi a capo dei diseredati quando
serve. A quanto pare serve sempre. Il fatto che, in tutto il XX secolo, la
democrazia in Messico si sia consolidata e che si siano succedute una serie
di riforme agrarie, non ha infatti modificato nella sostanza il problema
cruciale del paese, il riscatto dei braccianti agricoli. Oggi il Messico,
afflitto da un enorme debito nei confronti del Primo mondo, permanentemente
in preda alla corruzione politica, vittima dei devastanti effetti della
globalizzazione, vede alcuni dei suoi Stati in una situazione di estrema
arretratezza e miseria.

Tra questi assolutamente il più povero è il Chiapas, lo stato più
meridionale del Messico, abitato per circa un terzo da etnie rientranti
nella grande civiltà maya. Proprio nel Chiapas, il 1° gennaio 1994, le
comunità locali si organizzarono nello Ezln (Esercito zapatista di
liberazione nazionale), iniziando la lotta armata contro il governo
federale sulla scorta di una piattaforma politica che associava alle
richieste tradizionali anche e soprattutto il rispetto e la tutela del
patrimonio culturale originario. La lotta armata durò un paio di settimane,
facendo centinaia di morti tra gli indios, ma la controversia,
trasformatasi in un difficile dialogo, si trascinò sino al 1996 quando
furono firmati a San Andrés gli accordi tra Ezln, governo federale e
comunità.

Nel 2001 il Congresso nazionale approvò una legge sui diritti e la cultura
degli indios. La legge, tuttavia, non è stata accettata dai cittadini del
Chiapas e nei territori zapatisti sono nati i «municipi autonomi di
resistenza», luoghi in cui gli Indios gestiscono le relazioni sociali e
politiche in nome della loro cultura e identità.

La salute come processo di liberazione

Al di là del suo immediato riscontro politico, l'attività dei municipi ha
un grande significato culturale. Lo possiede, innanzitutto, per la
generosità cui si ispira lo zapatismo. L'autentica libertà, sognata dagli
zapatisti, si pone infatti come un progetto ideale di grande respiro, i cui
utenti non sarebbero i soli cittadini del Chiapas, ma i messicani tutti, in
nome di una liberazione che risuona nella formula «nada para nosotros, todo
por todos» (niente per noi, tutto per tutti). Come hanno correttamente
compreso i dirigenti dei municipi, la liberazione passa attraverso la
valorizzazione delle differenze delle diverse etnie a condizione
certamente, pena il rischio di uno sterile separatismo, di non confondere
l'antico, da riscoprire, con l'arretrato da superare.

Ma come? Eredi della civiltà maya, gli abitanti del Chiapas sono ricchi di
remote tradizioni e, in particolare, da un'antica sapienza medica che si
esprime nell'attività dei curanderos, qui coincidenti con gli iloles
(sciamani), delle parteras, le donne che - avutane la vocazione in sogno -
assistono le partorienti, e di quanti raccolgono e lavorano le erbe
destinate ai rimedi naturali (herbateros).

Il cuore di queste arti terapeutiche, rinvianti ai maya, ha finito in
passato per identificarsi con superstizioni di villaggio del tutto impari a
reggere le sfide di una gravissima emergenza sanitaria, fatta dalla
presenza endemica di malattie infettive a noi comuni come le sindromi
gastroenteriche e influenzali e altre peculiari della regione come la
«malattia di Chagas» - una patologia, provocata dal tripanosoma cruzi, che
attacca il sistema nervoso autonomo, provocando disfunzioni enteriche e
aritmia cardiaca, a decorso spesso lento, ma comunque devastante (si dice,
tra l'altro, che ne fosse rimasto vittima nel corso del suo leggendario
viaggio Darwin, la cui qualità di vita fu pessima per tutto il resto della
sua esistenza) - dalla bassissima attesa di vita alla nascita, come
dall'altissimo tasso di mortalità infantile, in larghissima misura
dipendente dalla scarsa capacità di difesa dell'organismo in conseguenza
della malnutrizione.

I promotori di salute

Ora, però, le cose stanno lentamente cambiando. Il merito va in prima
istanza alle iniziative dei municipi di resistenza che hanno però trovato
un inatteso sostegno in un'organizzazione non governativa occidentale, «I
medici del mondo», costituita da professionisti presenti nel Chiapas (Mdm
Francia), nella regione di Los Altos, dal 1998. I municipi forniscono le
risorse umane, i medici l'assistenza tecnica. All'interno di questa
cooperazione «Medici del mondo» ha messo a punto un progetto che prevede
nei prossimi mesi la vaccinazione di 8000 bambini, con un costo complessivo
inferiore ai 70000 euro. Il progetto, coordinato da un membro di Mdm
Italia, contempla l'impiego di «promotori della salute», persone del posto,
indicate dai municipi, che sono destinate, una volta decollata
l'iniziativa, a continuare la vaccinazione da soli ed eventualmente a
ripeterla in futuro, una volta acquisite le competenze necessarie per
eseguirla.

Sulla base dei dati sommariamente accennati, l'iniziativa di Mdm parrebbe
non essere una novità assoluta nell'universo operativo delle Onlus mediche
attive nel Terzo mondo, contrassegnate da buona volontà e impegno da parte
dei medici e da un minimo di coinvolgimento di personale locale. In realtà,
non è così. A fronte dell'emergenza sanitaria i medici di Mdm hanno come
obiettivo, nel breve periodo, l'attuazione di interventi non
procrastinabili, ma non trascurano la possibilità di arrivare nel medio e
lungo periodo a stabilire un incontro fecondo tra la medicina istituzionale
dell'Occidente e l'arte della guarigione del Chiapas.

Va detto, tuttavia, che si tratta, per l'appunto, di un incontro, non di
un'integrazione. La novità, per nulla da poco, è tutta qui. I medici di Mdm
sanno perfettamente di non essere in grado di penetrare nell'immaginario
dei campesinos, e di potere al più interrogarsi sull'efficacia terapeutica
derivante da fantasie antichissime e di provare a verificarla
sperimentalmente sul campo. Se tuttavia lo tentassero agirebbero
paradossalmente in un'ottica neocoloniale, giacché, disponendo di «magie
potenti», quali sono gli strumenti concettuali e l'apparato tecnico della
medicina scientifica, finirebbero per fare dei guaritori tradizionali,
possessori di «magie deboli», veri e propri servitori di cui valersi, nei
casi difficili, con capricciosa arbitrarietà. Una situazione, questa, assai
frequente altrove - pensiamo agli sciamani chiamati negli ospedali
dell'altopiano siberiano - nel trattamento culturalmente integrato delle
patologie psichiatriche. Alla fine gli iloles sarebbero appiattiti sul
ruolo di remedia ex adjuvantibus e smarrirebbero, conseguentemente, il loro
prestigio nella società di appartenenza.

I «municipi di resistenza»

Ad evitare questo rischio sono da un lato gli Mdm, dall'altro i «promotori
della salute». Se i primi pensano ad un incontro tra arti che, comunque
terapeutiche, corrono parallele come i binari di una ferrovia e consentono,
per ciò stesso, il percorso del treno della salute, limitandosi a favorire,
per adesso, una strategia di piccoli passi (che va dal promuovere la
nascita di laboratori in cui operino gli erboristi locali, gli herbateros,
a chiamare in futuro le parteras per l'assistenza ostetrica), i secondi
sono espressione dell'ottica lungimirante dei «municipi di resistenza».
I «promotori della salute» non sono scelti soltanto perché, per livello
culturale e vocazione personale, sono adatti a lavorare con i medici e a
proseguire la loro attività, ma anche perché siano interpreti di una
politica sanitaria che parte dalle istituzioni autonome del Chiapas. Non
semplici infermieri, dunque, e neppure meri supporti di un assistenzialismo
che viene da fuori e dall'alto, ma attori di una volontà di riscatto che
viene dall'interno e dal basso. Vista in questa prospettiva, la promozione
della salute non ha più un semplice valore medico, ma assume una valenza
politica: sanare la società, specie mirando ai bambini, perché combattere
contro le malattie, esito di una condizione subalterna e della miseria, è
il primo segno di un'autonomia ormai raggiunta e perciò idonea a
combattere, sul piano più decisamente politico, i mali di sempre.

Ma allora la possibile rivoluzione del Terzo mondo passa attraverso la
medicina? Ma quale medicina? La nostra o la loro o, forse, attraverso le
vicende parallele di entrambe?