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terra e libertà non bastano. Serve la salute
- Subject: terra e libertà non bastano. Serve la salute
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Sun, 3 Jul 2005 21:53:17 +0200
da il manifesto - 29 Maggio
2005
Terra e libertà non bastano. Serve la salute Nel Chiapas il tentativo coraggioso di uso moderno
della medicina indigena
Tutto per tutti La libertà sognata dagli zapatisti è un progetto ideale di grande respiro, i cui utenti non sarebbero i soli cittadini del Chiapas, ma i messicani tutti FRANCO VOLTAGGIO La storia moderna della repubblica federale
messicana inizia quasi cento
anni fa, nel 1910, quando l'intero paese insorse contro la dittatura di Porfirio Diaz. La rivoluzione, promossa dai liberali, durò 10 anni, vide protagoniste soprattutto le grandi masse dei braccianti agricoli, i peones, in prevalenza indios, i quali, condividendo gli ideali libertari dei democratici moderati, si battevano tuttavia perché la libertà formalmente intesa si concretasse in giustizia sociale, così realizzando il binomio, diventato proverbiale in tutta l'America latina, di terra e libertà. Fu questo il grido di battaglia dei leader contadini, tra i quali spicca la figura di Emiliano Zapata, assassinato nel 1919, che la leggenda vuole non essere mai morto e perciò pronto a mettersi a capo dei diseredati quando serve. A quanto pare serve sempre. Il fatto che, in tutto il XX secolo, la democrazia in Messico si sia consolidata e che si siano succedute una serie di riforme agrarie, non ha infatti modificato nella sostanza il problema cruciale del paese, il riscatto dei braccianti agricoli. Oggi il Messico, afflitto da un enorme debito nei confronti del Primo mondo, permanentemente in preda alla corruzione politica, vittima dei devastanti effetti della globalizzazione, vede alcuni dei suoi Stati in una situazione di estrema arretratezza e miseria. Tra questi assolutamente il più povero è il Chiapas, lo stato più meridionale del Messico, abitato per circa un terzo da etnie rientranti nella grande civiltà maya. Proprio nel Chiapas, il 1° gennaio 1994, le comunità locali si organizzarono nello Ezln (Esercito zapatista di liberazione nazionale), iniziando la lotta armata contro il governo federale sulla scorta di una piattaforma politica che associava alle richieste tradizionali anche e soprattutto il rispetto e la tutela del patrimonio culturale originario. La lotta armata durò un paio di settimane, facendo centinaia di morti tra gli indios, ma la controversia, trasformatasi in un difficile dialogo, si trascinò sino al 1996 quando furono firmati a San Andrés gli accordi tra Ezln, governo federale e comunità. Nel 2001 il Congresso nazionale approvò una legge sui diritti e la cultura degli indios. La legge, tuttavia, non è stata accettata dai cittadini del Chiapas e nei territori zapatisti sono nati i «municipi autonomi di resistenza», luoghi in cui gli Indios gestiscono le relazioni sociali e politiche in nome della loro cultura e identità. La salute come processo di liberazione Al di là del suo immediato riscontro politico, l'attività dei municipi ha un grande significato culturale. Lo possiede, innanzitutto, per la generosità cui si ispira lo zapatismo. L'autentica libertà, sognata dagli zapatisti, si pone infatti come un progetto ideale di grande respiro, i cui utenti non sarebbero i soli cittadini del Chiapas, ma i messicani tutti, in nome di una liberazione che risuona nella formula «nada para nosotros, todo por todos» (niente per noi, tutto per tutti). Come hanno correttamente compreso i dirigenti dei municipi, la liberazione passa attraverso la valorizzazione delle differenze delle diverse etnie a condizione certamente, pena il rischio di uno sterile separatismo, di non confondere l'antico, da riscoprire, con l'arretrato da superare. Ma come? Eredi della civiltà maya, gli abitanti del Chiapas sono ricchi di remote tradizioni e, in particolare, da un'antica sapienza medica che si esprime nell'attività dei curanderos, qui coincidenti con gli iloles (sciamani), delle parteras, le donne che - avutane la vocazione in sogno - assistono le partorienti, e di quanti raccolgono e lavorano le erbe destinate ai rimedi naturali (herbateros). Il cuore di queste arti terapeutiche, rinvianti ai maya, ha finito in passato per identificarsi con superstizioni di villaggio del tutto impari a reggere le sfide di una gravissima emergenza sanitaria, fatta dalla presenza endemica di malattie infettive a noi comuni come le sindromi gastroenteriche e influenzali e altre peculiari della regione come la «malattia di Chagas» - una patologia, provocata dal tripanosoma cruzi, che attacca il sistema nervoso autonomo, provocando disfunzioni enteriche e aritmia cardiaca, a decorso spesso lento, ma comunque devastante (si dice, tra l'altro, che ne fosse rimasto vittima nel corso del suo leggendario viaggio Darwin, la cui qualità di vita fu pessima per tutto il resto della sua esistenza) - dalla bassissima attesa di vita alla nascita, come dall'altissimo tasso di mortalità infantile, in larghissima misura dipendente dalla scarsa capacità di difesa dell'organismo in conseguenza della malnutrizione. I promotori di salute Ora, però, le cose stanno lentamente cambiando. Il merito va in prima istanza alle iniziative dei municipi di resistenza che hanno però trovato un inatteso sostegno in un'organizzazione non governativa occidentale, «I medici del mondo», costituita da professionisti presenti nel Chiapas (Mdm Francia), nella regione di Los Altos, dal 1998. I municipi forniscono le risorse umane, i medici l'assistenza tecnica. All'interno di questa cooperazione «Medici del mondo» ha messo a punto un progetto che prevede nei prossimi mesi la vaccinazione di 8000 bambini, con un costo complessivo inferiore ai 70000 euro. Il progetto, coordinato da un membro di Mdm Italia, contempla l'impiego di «promotori della salute», persone del posto, indicate dai municipi, che sono destinate, una volta decollata l'iniziativa, a continuare la vaccinazione da soli ed eventualmente a ripeterla in futuro, una volta acquisite le competenze necessarie per eseguirla. Sulla base dei dati sommariamente accennati, l'iniziativa di Mdm parrebbe non essere una novità assoluta nell'universo operativo delle Onlus mediche attive nel Terzo mondo, contrassegnate da buona volontà e impegno da parte dei medici e da un minimo di coinvolgimento di personale locale. In realtà, non è così. A fronte dell'emergenza sanitaria i medici di Mdm hanno come obiettivo, nel breve periodo, l'attuazione di interventi non procrastinabili, ma non trascurano la possibilità di arrivare nel medio e lungo periodo a stabilire un incontro fecondo tra la medicina istituzionale dell'Occidente e l'arte della guarigione del Chiapas. Va detto, tuttavia, che si tratta, per l'appunto, di un incontro, non di un'integrazione. La novità, per nulla da poco, è tutta qui. I medici di Mdm sanno perfettamente di non essere in grado di penetrare nell'immaginario dei campesinos, e di potere al più interrogarsi sull'efficacia terapeutica derivante da fantasie antichissime e di provare a verificarla sperimentalmente sul campo. Se tuttavia lo tentassero agirebbero paradossalmente in un'ottica neocoloniale, giacché, disponendo di «magie potenti», quali sono gli strumenti concettuali e l'apparato tecnico della medicina scientifica, finirebbero per fare dei guaritori tradizionali, possessori di «magie deboli», veri e propri servitori di cui valersi, nei casi difficili, con capricciosa arbitrarietà. Una situazione, questa, assai frequente altrove - pensiamo agli sciamani chiamati negli ospedali dell'altopiano siberiano - nel trattamento culturalmente integrato delle patologie psichiatriche. Alla fine gli iloles sarebbero appiattiti sul ruolo di remedia ex adjuvantibus e smarrirebbero, conseguentemente, il loro prestigio nella società di appartenenza. I «municipi di resistenza» Ad evitare questo rischio sono da un lato gli Mdm, dall'altro i «promotori della salute». Se i primi pensano ad un incontro tra arti che, comunque terapeutiche, corrono parallele come i binari di una ferrovia e consentono, per ciò stesso, il percorso del treno della salute, limitandosi a favorire, per adesso, una strategia di piccoli passi (che va dal promuovere la nascita di laboratori in cui operino gli erboristi locali, gli herbateros, a chiamare in futuro le parteras per l'assistenza ostetrica), i secondi sono espressione dell'ottica lungimirante dei «municipi di resistenza». I «promotori della salute» non sono scelti soltanto perché, per livello culturale e vocazione personale, sono adatti a lavorare con i medici e a proseguire la loro attività, ma anche perché siano interpreti di una politica sanitaria che parte dalle istituzioni autonome del Chiapas. Non semplici infermieri, dunque, e neppure meri supporti di un assistenzialismo che viene da fuori e dall'alto, ma attori di una volontà di riscatto che viene dall'interno e dal basso. Vista in questa prospettiva, la promozione della salute non ha più un semplice valore medico, ma assume una valenza politica: sanare la società, specie mirando ai bambini, perché combattere contro le malattie, esito di una condizione subalterna e della miseria, è il primo segno di un'autonomia ormai raggiunta e perciò idonea a combattere, sul piano più decisamente politico, i mali di sempre. Ma allora la possibile rivoluzione del Terzo mondo passa attraverso la medicina? Ma quale medicina? La nostra o la loro o, forse, attraverso le vicende parallele di entrambe? |
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