l'ultima spiaggia dei supersconti



da affari e finanza
30.05.2005

L'ultima spiaggia dei supersconti

Se un uomo è anche ciò che mangia, un paese è anche ciò che consuma. E in
tempi di recessione, dove si può misurare meglio la febbre di una malattia
chiamata crisi, se non alle casse di un supermercato? La crisi che stringe
da vicino i portafogli degli italiani, si scarica con violenza sui
fatturati della Grande distribuzione organizzata (Gdo), fino a sedici mesi
fa considerata una vera gallina dalle uova d'ora. Ma oggi non più, ogni
giorno meno che mai. Nella Gdo, a fine 2004, si parlava di "sindrome della
quarta settimana", quella che precede l'arrivo dello stipendio e che
costringe le famiglie a tirare un po' la cinghia. Nessuno che muore di
fame, per carità, ma molti che stanno sempre più attenti a ciò che
comprano: non nel senso della qualità, ma in quello del risparmio. Oggi si
studia con preoccupazione il "caso della prima settimana", quella
immediatamente successiva all'arrivo dello stipendio. L'unica che fa
registrare, nei diagrammi, un balzo verso l'alto (circa il 2%). Le altre
settimane, amministratori e manager, preferirebbero non guardarle. E non è
solo questione di fatturati in calo, ma anche e, soprattutto, di margini.
Per reggere le vendite in un mercato in recessione non più in grado di
sopportare aumenti neanche minimi, si deve usare la leva delle promozioni e
delle dilazioni di pagamento. E tutto questo mentre i prezzi alla fonte non
accennano a fermarsi, acuendo la battaglia tra produttori, distributori e
venditori. Il fenomeno ormai non ha solo un'origine economica, ma
psicologica e sociale: la famiglia non può tagliare i costi fissi delle
tariffe (gas, luce, assicurazioni) e non vuole rinunciare a spese un tempo
definite "voluttuarie" (cellulari, vacanze). Unici risparmi disponibili:
alimentari e vestiti. L'effetto psicologico della crisi colpisce non solo
il ceto mediobasso, ma anche quello alto che, fino a pochi mesi fa, non
pensava certamente al risparmio sui generi di "prima necessità".
E così, mentre il cliente diventa ossessivamente più attento, il venditore
lo insegue quotidianamente con promozioni che, oggi, stanno raggiungendo
livelli preoccupanti per il mercato. Su cento euro di fatturato, i volumi
promozionali incidono ormai per il 30%, contro il 25% del 2004. Esselunga,
per esempio, ha operato un riposizionamento strategico su tutto il listino,
offrendo uno sconto su tutti i suoi 7516 articoli. Un'operazione dall'effetto
dirompente nei mercati dove la catena della famiglia Caprotti è leader, che
ha costretto i concorrenti a correre ai ripari. Ovviamente verso il basso.
La scelta di Esselunga è legata anche alle trattative per la vendita del
gruppo: c'è chi dice, infatti, che l'accordo con i belgi di Delhaize sia
già stato raggiunto. Ma anche chi non ha trattative di cessione è costretto
a rinunciare a margini: la catena Finiper, nel Nord Italia, offre un buono
acquisto del 25% sul valore dello scontrino per la spesa successiva. E che
dire di Coop Italia, con il suo 40% di sconto su una serie di prodotti,
guarda caso nell'ultima settimana del mese?
I segni della recessione incalzante arrivano anche dai metodi di pagamento.
La crisi di liquidità della "quarta settimana" è stata limitata, nel 2004,
dalle carte di credito. Si rinviava, in sostanza, il problema al mese
successivo. Ma ora si registra un preoccupante aumento di quello che i
tecnici chiamano "splafonamento". Il gergo è orribile, il segnale pessimo:
significa che sono sempre di più i possessori di moneta elettronica che
arrivano prima della fine del mese a toccare il limite del credito.
Prosperano così le "carte di debito": quella di Conad, ad esempio, registra
aumenti di sottoscrizione a due cifre. Entro fine anno si prevede un
incremento del 13%.
Ma se il consumatore spende meno e i prezzi si bloccano, chi sarà la
prossima vittima di questa catena recessiva? Sicuramente l'industria
alimentare e i produttori, già accerchiati dalle richieste di
amministratori e buyer. La trattativa per definire i prezzi di acquisto tra
industrie e Gdo si svolge in tre fasi: un accordo quadro annuale, una
revisione dei prezzi di listino due volte l'anno, la contrattazione
giornaliera. Oggi su tutti e tre i fronti è guerra aperta. Di aumentare i
prezzi, anche e soltanto per assorbire l'inflazione, non se ne parla. I
manager vogliono condizioni favorevoli nell'accordo quadro, i buyer
accendono la battaglia nelle trattative quotidiane. E se qualche produttore
tenta di effettuare di nascosto sconti fuori listino a qualche catena (nell'ordine
anche del 20%) per fare cassa e svuotare i magazzini, si trova
immediatamente assalito dai concorrenti. Risultato a breve: o applica lo
sconto a tutti, o esce dallo scaffale. Risultato nel medio termine: se la
crisi non passa, rischia di tirare giù i battenti. Queste trattative, per
ora, non intaccano la potenza contrattuale dei grandi marchi, ma non è
detto che, a recessione costante, questa pace armata debba durare a lungo.
Uno dei primi comparti nel mirino è quello della pasta, tra i prodotti più
venduti in Italia. Il prezzo della semola di grano duro è in discesa da due
anni, il raccolto di quest'anno si preannuncia ottimo e i grandi
industriali, come De Cecco, si vedono rifiutare aumenti di listino del 3%.
Anche il marchio, nell'Italia del 2005, rischia di non fare più il prezzo.
E' la recessione, signori.