energia il coraggio di una svolta dopo la bocciatura del piano nazioale delle emissioni



da lanuovaecologia.it Giovedì 2 Giugno 2005 

ENERGIE|
 
Dopo la bocciatura del piano nazionale delle emissioni

Il coraggio di una svolta

Non aver creduto agli obiettivi del protocollo di Kyoto comporterà un aggravio dei costi per il nostro sistema. Ora, scrive Gianni Silvestrini, istituzioni e imprese devono capire che non si può affrontare la sfida climatica agendo furbescamente per ridurre i propri impegni

di Gianni Silvestrini
direttore scientifico del Kyoto Club

La bocciatura europea del Piano nazionale di allocazione (Pna) previsto dalla direttiva sull’emissions trading non ha stupito gli addetti ai lavori. L’Italia dovrà effettuare un taglio del 9% sulle emissioni di anidride carbonica dei comparti elettrico, siderurgico, cartario, vetrario, dei materiali da costruzione e delle raffinerie. Sono poi state eliminate le scorciatoie procedurali proposte per il periodo 2005-2007. Lo stesso trattamento è stato riservato dall’Ue ad altri paesi nel tentativo di dare rigore a uno strumento che rischiava di essere depotenziato. Gli obiettivi indicati da diversi governi rappresentavano infatti l’andamento “business as usual” delle emissioni nel tentativo di non far gravare i costi sulle proprie industrie, per lo meno nella prima fase pre-Kyoto.
Il fatto di avere perso tempo (il Pna italiano è stato il penultimo a essere approvato), di non aver mai creduto nella direttiva e più in generale all’obiettivo di Kyoto, comporterà un aggravio dei costi per il nostro sistema. I valori della Co2 sul mercato europeo viaggiano ormai sui 20 euro/t contro i 7-8 che si registravano a gennaio e febbraio. Al nostro paese è stato chiesto di portare il tetto medio delle emissioni di Co2 da 255,5 a 232,5 Mt/a. In realtà queste riduzioni incideranno poco nel periodo considerato. Malgrado i tagli concordati, nel 2007 le emissioni dei comparti coinvolti nella direttiva saranno comunque superiori di oltre il 10% rispetto ai valori del 1990, in controtendenza rispetto all’obiettivo di Kyoto per l’Italia di –6,5%.
La proposta italiana del Pna era in realtà sovrastimata. Le emissioni specifiche del kWh prodotto gonfiate, la domanda elettrica prevista in forte crescita e le quote accantonate per i nuovi impianti decisamente abbondanti alla luce dell’attuale avanzamento dei lavori. Il ricorso a progetti Cdm realizzati nei paesi in via di sviluppo o al mercato europeo delle emissioni sarà dunque limitato. Malgrado ciò il ritardo nel definire il Piano potrà costare alle nostre industrie da 50 a 200 milioni di euro. Il fatto poi di conoscere solo a metà anno l’entità delle quote assegnate comporterà maggiori difficoltà nel reperimento di crediti di Co2 all’estero. Ora si tratterà di capire come il taglio verrà ripartito tra i vari operatori. Verosimilmente al comparto elettrico, su cui si era largheggiato nella allocazione delle emissioni, verranno chiesti tagli di 17-20 Mt/a (sul totale di 23).
Se non sarà difficile soddisfare il nuovo tetto di 232,5 Mt/a, va rilevato che la reale sfida sarà la definizione delle quote di riduzione per il periodo 2008-10, coincidente con gli anni validi per il protocollo di Kyoto. L’eventuale entrata in funzione di nuove centrali a carbone dopo il 2007 e l’applicazione seria della direttiva e del protocollo potranno comportare significativi impatti economici. L’aumento delle sanzioni in questo secondo periodo da 40 a 100 euro/t fa capire come scelte sbagliate si pagheranno care. Non fissare obiettivi coerenti con gli impegni di Kyoto implicherà automaticamente il trasferimento sulla collettività dell’onere di acquisire quote di gas climalteranti all’estero, cioè nuove tasse.
Insomma la partita è delicata. Non aver avviato per tempo una seria politica per ridurre le emissioni ci taglia fuori dalla possibilità di essere tra i “winners”, quelli che guadagneranno cedendo crediti. Occorre ora uno sforzo per riposizionarsi correttamente puntando sulle strategie di riduzione in grado di dare anche benefici economici, come quelle legate all’aumento dell’efficienza energetica degli usi finali. Le istituzioni e le imprese devono comprendere che non è possibile affrontare la grande sfida climatica agendo furbescamente per ridurre i propri impegni e adottando una strategia difensiva. Occorre inserirsi con coraggio nella rivoluzione energetica in atto per posizionare vantaggiosamente i comparti industriali italiani nella competizione sui mercati internazionali e cogliere le nuove opportunità che si presentano. Come hanno fatto molte industrie straniere.