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i dati e gli squilibri della mortalità infantile
- Subject: i dati e gli squilibri della mortalità infantile
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Sun, 22 May 2005 22:08:11 +0200
da boiler.it
14.03.2005
Quando il neonato non conta
di SARA CAPOGROSSI COLOGNESI INIZIA con un lungo dossier sulla mortalità infantile la seconda parte della campagna lanciata da Lancet per sensibilizzare il pubblico sul benessere (e malessere) dei bambini e più in generale sulla salute del mondo in cui vivono, e viviamo. Nel 2003 il gruppo Bellagio Survival aveva pubblicato su Lancet cinque articoli sulla sopravvivenza del bambino che avevano riscosso risultati tangibili a livello nazionale e internazionale. Frutto di questa prima parte dell'operazione è stata la creazione della Child Survival Partnership, che opera in vari paesi, come India ed Etiopia. Ma non basta. All'inizio del mese prossimo sarà rilasciato il World Health Report 2005 il cui slogan sarà "facciamo sì che ogni madre e ogni bambino contino". Una frase che ci rimanda alla realtà: per molti governi e per la comunità internazionale donne e bambini spesso non sono una priorità. Oggi, la realizzazione del Neonatal Survival Steering Team del Lancet e gli incontri per discutere ed evidenziare tutti i particolari del tema hanno promosso la collaborazione di scienziati, medici e giornalisti. Le istituzioni hanno fallito, le agenzie internazionali non ce la fanno, e la rabbia e la frustrazione cresce. Non è sempre, anzi non è mai facile tradurre i fondi dedicati alla ricerca in politiche efficaci a livello nazionale. Ci hanno provato al Ministerial Summit on Health Research in Messico lo scorso anno. Ma c'è ancora molto da fare. "Una delle omissioni cruciali è stata la salute dei neonati", punta il dito Richard Horton, direttore del Lancet, presentando il lungo documento che promuove l'iniziativa della rivista. "Mentre il bambino e la madre sono stati al centro degli sforzi per proteggere la prima infanzia, il periodo neonatale è stato trascurato". Ogni anno otto milioni di bambini muoiono entro il primo anno di vita o prima ancora di venire al mondo. Le ragioni sono varie, ma c'è una risposta che non può essere dimenticata o ignorata: in alcuni paesi la vita (specialmente quella dei più indifesi) vale meno che in altri. Horton è ottimista nel presumere che la conoscenza e la comprensione di questo aspetto del male che corrode l'umanità sarà sufficiente a sollecitare il sostegno internazionale. Un aiuto contro uno tsunami devastante e permanente che "proverà i limiti fisici e morali della nostra specie in modi nuovi ed estremi". Ma se anche non fosse per un senso di solidarietà umana. Se anche la nostra specie non avesse introiettato quei valori morali di cui tanto si vanta e che la distingue (?) dalle altre specie, esistono spiegazioni più razionali ed egoistiche per sollecitare una risposta al dramma che si abbatte sui più deboli e indifesi. Si tralascia spesso di sottolineare le conseguenze socioeconomiche della morte e anche della stentata sopravvivenza di madri e neonati. Parti difficoltosi e nascite premature possono provocare danni permanenti le cui conseguenze andranno a ricadere su comunità già povere e poverissime. La malattia o la morte di una madre si ripercuote sul benessere dell'intera famiglia. Le cure richieste da un bambino la cui salute è compromessa possono far cadere in disgrazia il gruppo familiare. E la povertà di una famiglia si proietta sul gruppo e così via in cerchi sempre più ampi, l'intera società, il paese intero ne viene coinvolto, in un ciclo di miseria da cui non riesce a sollevarsi. E che in una società globale non tarderà ad arrivare fino a noi. Uscire dall´invisibilità di SARA CAPOGROSSI COLOGNESI È PACATAMENTE ottimista il direttore del Lancet, Richard Horton, presentando la seconda fase del programma per la salute del bambino, e più in particolare del neonato. Molto si può fare, senza dover compiere imprese impossibili e soprattutto senza attendere ancora. Pianificazione familiare, istruzione femminile, assistenza alla maternità a livello della comunità e creazione o miglioramento delle strutture sanitarie cui riferirsi in caso di complicazioni potrebbero concretamente ridurre la mortalità di madri e neonati, scrivono gli studiosi che hanno aderito all'iniziativa del Lancet e che oggi fanno parte del Neonatal Survival Steering Team. Il fatto che paesi come lo Sri Lanka, il Vietnam o le Honduras abbiano ridotto i tassi di mortalità neonatale è la dimostrazione più convincente che non si tratta di un traguardo esclusivo dei paesi ricchi. Vaccinazioni e antibiotici sono ormai una vecchia conquista dell'umanità. Cure a basso costo che molto hanno fatto in paesi come l'Italia e che molto possono ancora fare. Non è certo stata l'introduzione delle cure intensive nei primi anni Ottanta la sola a provocare la riduzione determinante delle morti neonatali in Europa del nord. Più semplicemente la disponibilità di cure pre e post natali e l'introduzione degli antibiotici qualche decennio prima ha prodotto il grande cambiamento. Ma spesso le vecchie e le nuove invenzioni, quelle che possono veramente ridurre il tasso di mortalità neonatale, non arrivano là dove più servono. In Asia e in Africa, per esempio, i paesi che insieme raccolgono i tre quarti dei decessi neonatali hanno un assistente esperto in meno di un terzo dei parti. In Etiopia solo il 5 per cento delle donne può contare su un'assistenza competente, e perché la situazione migliori, spiegano dal Lancet, deve esserci un sostanziale incremento nel numero delle ostetriche. Ci si deve quindi attivare su due fronti: aumentare questi specialisti e nel frattempo agire a breve termine per tamponare le perdite in questa fase di passaggio. Il primo punto certamente è quello di raccogliere e diffondere informazioni, perché anche se è un processo lungo e faticoso, l'assenza di stime periodiche porta all'invisibilità e contribuisce a ritardare la mobilitazione. Nella carta del Who in cui si precisano le cause di mortalità nei bambini minori di 5 anni, la categoria più ampia è quella generica definita da "altro" in cui si nascondono le origini di tutti i decessi di neonati. La seconda categoria più ampia è quella di "cause perinatali" ma non è chiara, né completa e se pure include l'asfissia e le nascite premature, si dimentica di annoverare le gravidanze interrotte negli ultimi tre mesi (che invece nel documento del Lancet rientrano nei decessi neonatali). Informazioni più particolareggiate a volte esistono ma semplicemente non vengono utilizzate. Questo è il caso dei registri che si tengono nella maggior parte delle postazioni sanitarie, e che spesso sono ignorati o non sono accessibili da chi detiene il potere decisionale. Dati che peraltro devono essere letti attentamente perché possono dar adito a equivoci e a strategie manageriali sbagliate. Definita la situazione, è necessario elaborare una politica di intervento, calcolandone costi e benefici. Gli studiosi del Neonatal Survival Steering Team hanno identificato vari sistemi per promuovere la salute dei neonati, che comprendono la collaborazione delle famiglie, lo sviluppo di centri per cure mediche e di assistenza esterna. Alcuni interventi sono più costosi, altri meno, ma dall'integrazione di queste pratiche si può veramente ribaltare la situazione, come del resto è già avvenuto in vari paesi poveri. Non esiste infatti un'unica soluzione: l'azione deve essere molteplice e coordinata. In assenza di una struttura medica sufficiente, è essenziale cominciare dalle singole famiglie. L'istruzione sanitaria di base può incrementare le competenze casalinghe e creare una domanda per cure più qualificate. Visite che fanno seguito alla nascita del bambino possono beneficiare madre e neonato. L'inserimento dei neonati in programmi già esistenti, come quelli rivolti alla salute materna o infantile (si parla di bambini più grandi) può ridurre i tassi di mortalità con costi marginali. Il concomitante sviluppo delle cure cliniche specifiche per madri e neonati è comunque necessario se si vogliono raggiungere quegli obiettivi di uguaglianza di cui si parla nei Millennium Development Goals. Strutture ampie, sistemi sanitari efficaci, che richiedono tempo e denaro, ma che non per questo devono mancare nei programmi per la tutela del neonato. Bambini a rischio, in attesa di un nome di SARA CAPOGROSSI COLOGNESI SIAMO di fronte a una sfida non impossibile, ma neanche banale, ci annuncia con gravità Richard Horton, direttore del Lancet, elencando i numeri impressionanti che descrivono le condizioni in cui i bambini vengono al mondo, oggi, nel Ventunesimo secolo. Ogni anno più di 51 mila donne muoiono per complicazioni legate alla gravidanza, 11 milioni di bambini non arrivano ai 5 anni e il 38 per cento di questi muore nel primo mese di vita: il periodo neonatale. La prima settimana di vita è quella più a rischio, per non parlare della vita fetale: sono 4 milioni le gravidanze giunte al sesto mese che non arrivano a termine. Nell'usanza diffusa in molti paesi di non dare il nome a un bambino fino al compimento della prima o anche della sesta settimana di vita si legge un senso di inquietudine e di fatalità che noi abbiamo ormai dimenticato. Il quarto e il quinto degli otto obiettivi che costituiscono i Millennium Development Goals (sui quali di recente è convenuta la comunità globale) prescrivono di ridurre la mortalità di madri e bambini. E da questi dipendono anche gli altri punti legati al benessere umano, l'uguaglianza e la riduzione della povertà. Ma, si puntualizza nel documento del Lancet, non si può raggiungere nessuno di questi traguardi se non si punta il dito sui "piccolissimi", sul periodo di gestazione e su quello immediatamente successivo. E i numeri sono impressionanti: la quasi totalità delle morti neonatali (si parla del 99 per cento) si verifica in paesi a reddito basso o medio, malgrado la ricerca epidemiologica e gli altri studi biomedici si focalizzino su quell'uno per cento di morti infantili che avvengono nei paesi ricchi. Un controsenso che purtroppo si ritrova spesso nella medicina internazionale: i ceppi di Hiv più studiati, per esempio, sono quelli "occidentali", non certo quelli predominanti nell'Africa straziata dal morbo. La maggior parte delle morti neonatali è nell'Asia centro-meridionale, ma i tassi più alti si trovano nell'Africa sub-sahariana. Il dato più sconcertante è che nei 10-15 anni passati ci sono stati pochissimi miglioramenti in questo quadro agghiacciante. Per chiarire la diversa percezione, la disuguaglianza tra ricchi e poveri, basti pensare che mentre da noi, quell'un per cento di neonati che muore è oggetto di inchieste ed è comunque compianto dalla comunità, in popolazioni che vivono in condizioni più misere le nascite di bambini morti così precocemente spesso non vengono nemmeno registrate e passano pressoché inosservate. Una pratica che complica ulteriormente il già difficile compito di chi deve raccogliere i dati su questo fenomeno e che spesso si deve arrangiare con numeri approssimativi emersi da vecchi rilevamenti. Incrementare la disponibilità e l'uso di informazioni nei programmi e nelle politiche per il controllo della salute neonatale è essenziale. Eppure le stime del Who sono le prime ufficiali sulle morti dei piccoli al di sotto del primo mese di vita dal 1995. In generale si calcola che le principali cause di morte neonatale siano i parti prematuri (28 per cento), le infezioni severe (26 per cento) e l' asfissia (23 per cento). Anche il tetano neonatale è responsabile di morti (7 per cento) per altro facilmente prevenibili. E in effetti proprio sul tetano ci sono stati progressi rilevanti: ma se parliamo di eliminarlo del tutto, allora è un altro paio di maniche. Ora la malattia riguarda soltanto i paesi poveri, ma l'obiettivo di cancellarlo dalla faccia della Terra è stato più volte rimandato, preferendogli interventi molto più costosi (anche se spesso necessari) come quello per prevenire la trasmissione dell'Hiv madre-figlio. Ma in paesi poveri intervengono altri fattori importanti a mettere a rischio la vita dei neonati, come le complicazioni durante il parto (o nei mesi immediatamente precedenti) e il basso peso alla nascita. Alcune di queste cause sono facilmente risolvibili, altre richiedono più soldi e più tempo, ma se i neonati (e con loro le madri) non vengono protetti e non diventano obiettivo di programmi specifici, come purtroppo è avvenuto finora, la situazione rimarrà immobile per altri quindici o anche vent'anni. "E mentre noi trascuriamo il problema, ogni ora muoiono 450 neonati", ci ricorda il Lancet Neonatal Survival Steering Team, "morti dovute per la maggior parte a cause prevenibili. Il che è inconcepibile nel Ventunesimo secolo". |
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