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intelligenza scientifica e democrazia partecipativa
- Subject: intelligenza scientifica e democrazia partecipativa
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Thu, 19 May 2005 23:14:48 +0200
da LE MONDE diplomatique -
Febbraio 2005 Un'esperienza promettente: le Conferenze di cittadini L'intelligenza scientifica e la democrazia partecipativa Alcune scelte cruciali (genetica, tecnologie, energia, ecc.) sono spesso effettuate sulla base del consiglio di esperti «obiettivi», senza una preventiva consultazione popolare, compresi i diretti interessati. E così cresce lo scarto tra le aspirazioni popolari e le opinioni dei governanti, influenzate dalle lobby economiche. D'altra parte, alcune esperienze di partecipazione democratica, mostrano che un «sapere dei cittadini» è possibile. Jacques Testart Tra le dieci personalità preferite dai francesi, si annoverano due sportivi, due cantanti di varietà e due attori di cinema (1). Ma non compare nessun uomo politico, nessun sindacalista, nessuno scrittore o ricercatore, nessun «intellettuale» o innovatore. Tutti sono a conoscenza di questo scandalo, ribadito da mille sondaggi, ma nessuno osa prenderlo in considerazione per valutare cos'è la democrazia. Si fa finta di credere che «il peggiore dei sistemi, esclusi tutti gli altri» debba essere proprio questo, che legittima l'alienazione o i fantasmi della maggioranza. Si pretende che il sentire spontaneo della maggioranza abbia un valore inestimabile, perché - come già affermava Aristotele - «la volontà dei più ha forza di legge». Eppure, i governanti si guardano bene dal sottoporre al vaglio maggioritario le scelte importanti, quando i sondaggi lasciano presagire risultati inaccettabili per la morale (pena capitale) o per le lobbies economiche (organismi geneticamente modificati). In altre parole, il potere fa appello ad un sistema politico da cui trae legittimità, ma di cui limita l'uso al solo gioco politico. In un articolo pubblicato in queste pagine, José Saramago s'interrogava sui meccanismi di delega attraverso i quali l'elettore rinuncia all'azione politica personale fino alle elezioni successive e proponeva di «rimettere in discussione la democrazia in tutti i dibattiti (2)». È poco verosimile, come si è creduto a lungo, che l'aumento medio dell'«istruzione» basti a produrre una coscienza umanistica: le classi di età in cui i diplomati sono la maggioranza, non sembrano fare scelte molto diverse da quelle della società tradizionale. D'altra parte, gli sviluppi rapidi, e spesso irreversibili, della tecnoscienza mettono chi deve decidere di fronte a scelte cruciali che coinvolgono le generazioni future. Chi viene eletto subisce le pressioni del mercato, ma, nella maggior parte dei casi, non ha le competenze necessarie per farvi fronte quando è chiamato a decidere sulla diffusione di nuove tecnologie. Semplici cittadini, in particolare nei movimenti associativi, sono a volte più informati dei responsabili politici. Le valutazioni dei cittadini militanti devono però rimanere al loro posto, simmetriche rispetto a quelle degli esperti ufficiali, anche se questi ultimi si trovano quasi sempre in conflitto di interessi con il mondo industriale. È bene anche diffidare «dell'ideologia della valutazione e della competenza, la cui funzione è quella di respingere le aspirazioni della maggior parte dei cittadini, valorizzandone alcuni (...) provenienti dagli stessi contesti sociali, che vengono cooptati senza mai essere responsabili nei confronti degli altri cittadini (3)». È tempo perciò di inventare nuove procedure soprattutto per cercare, attraverso formule maggiormente partecipative, di porre rimedio alle carenze della democrazia rappresentativa. Se ne vedono già molti esempi. Sempre più spesso, una regione può esprimere le proprie necessità collettive, per esempio in occasione di inchieste pubbliche, grazie a comitati d'informazione e/o di consultazione locali. Per scelte a livello nazionale, si fa invece ricorso a gruppi di esperti (i cosiddetti comitati «di saggi»), a persone direttamente (gruppi di discussione) o non direttamente coinvolte (conferenze di cittadini). Per non incorrere nell'accusa di puro e semplice opportunismo, queste esperienze debbono servire, grazie alle valutazioni che permettono di raccogliere, ad elaborare politiche pubbliche. Il che però non succede quasi mai, e l'esempio più scioccante è stato forse quello delle piante geneticamente modificate (Pgm). In Francia, la coltivazione delle Pgm in pieno campo, dunque in un ambiente non protetto, è stata condannata a più riprese: da una conferenza di cittadini (1998), dal «Comitato dei 4 saggi» (2002), da diverse consultazioni pubbliche (2003-2004) e dai risultati di molti sondaggi d'opinione. L'ostilità alla sperimentazione di Ogm in ambiente non protetto è stata confermata anche da oltre il 90% delle e-mail - procedimento democraticamente contestabile - sollecitate dai ministri dell'agricoltura, dell'ecologia e della ricerca. Eppure gli organizzatori di queste pagliacciate ne concludono... che bisogna proseguire le sperimentazioni! Neppure la Commissione europea è stata da meno: il 19 maggio 2004, ha tolto la moratoria sulle importazioni di Pgm, malgrado i ripetuti esiti dei sondaggi d'opinione (l'Europa conta oltre il 70% di oppositori a queste colture) e senza tenere in alcun conto le risposte al suo ipocrita invito, redatto in inglese, ad esprimere la propria opinione per posta elettronica («Submit a comment by E-mail ...»). Lontano dalle mascherate organizzate Alcune esperienze, condotte soprattutto in Europa da una ventina di anni, hanno permesso a dei profani di elaborare proposte per la gestione di situazioni di incertezza, spesso in rapporto a nuove tecnologie (Ogm, scelte energetiche, procreazione assistita, antenne per ripetitori...) In questi casi, un'adeguata formazione preliminare risulta indispensabile per formulare un giudizio fondato, la democrazia detta «partecipativa» non può coinvolgere tutti i cittadini. In una delle forme di «democrazia dialogata (4)» più promettenti - la conferenza di cittadini (5) - il gruppo, benché costituito da un numero ridotto di persone (una quindicina), può essere abbastanza rappresentativo della diversità della popolazione. Vengono individuate quote di persone, suddivise per categoria (età, sesso, professione, scelta politica, origine), su un campione più ampio di alcune decine di volontari sondati a caso. Scopo della procedura è ottenere quel parere, che si presume avrebbe espresso l'insieme della popolazione, se si fosse potuto darle preliminarmente gli strumenti per un giudizio informato, cosa materialmente impossibile. Non si tratta solo di preparare un dossier tecnico, ma di mettere un gruppo di cittadini in condizione di capire, intervenire e agire responsabilmente. L'emulazione che si crea è evidente, come hanno potuto verificare alcuni osservatori nell'incontro con la stampa che ha chiuso la conferenza sull'utilizzazione degli organismi geneticamente modificati (Ogm), nel corso della quale il gruppo ha illustrato le sue conclusioni: «La tranquilla competenza con la quale ognuno riesce ad affrontare le questioni crea un'atmosfera di misurata fierezza e di onestà condivisa vissuta da molti partecipanti, giornalisti inclusi, con reale emozione (6)». Il gruppo di cittadini deve essere delegato in relazione ad un obiettivo preciso, e deve ricevere tutte le informazioni utili alla formazione di un giudizio, senza nascondere incertezze né tesi contraddittorie. Il lavoro, supportato da uno psicosociologo, deve essere protetto da possibili manipolazioni (da qui l'anonimato dei partecipanti, fino al termine dei lavori). Alla fine, il gruppo sarà sciolto, per evitare che si costituisca un corpo di «esperti profani». La natura delle informazioni fornite ai cittadini che s'impegnano in questa esperienza costituisce un elemento fondamentale del processo. La formula migliore per garantire obiettività sembra essere la costituzione di un comitato organizzativo che comprenda, oltre ai responsabili del processo, di cui conoscono bene il funzionamento, esperti che esprimano pareri diversi, se non contrapposti. Una volta costituito, al comitato viene affidato il compito di preparare consensualmente il programma di formazione (temi trattati, documenti proposti, nomi dei formatori). Il movimento associativo trova così spazio tanto all'interno del comitato organizzativo che tra i formatori, e può quindi suggerire una contro - valutazione, spesso in contrasto con quella della maggior parte degli esperti istituzionali. Tali esperienze hanno dimostrato, da un lato, che ogni cittadino che accetti di partecipare si rivela competente, perché capace di imparare, capire, analizzare e formulare un giudizio motivato; d'altro lato, che soltanto una minoranza tra le persone invitate (circa una su tre) ne accetta i sacrifici, il più severo dei quali consiste nel dedicare molti fine settimana ad informarsi, discutere, interrogare, esprimere un parere, in maniera anonima e non retribuita. Urna o conferenza? Ipotizziamo allora che siano proprio queste due circostanze a indicare le linee di un autentico funzionamento democratico. Perché non convenire sul fatto che la democrazia è il sistema che fa corrispondere la politica alle scelte maggioritarie dei cittadini che accettano di imparare e capire, rimanendo il processo aperto a tutti? Bisogna smetterla con questa concezione magica della democrazia, che fa credere che chiunque possa avere un'opinione pertinente su un argomento complesso, senza prima essersi dato gli strumenti necessari. Quando la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino dice che «la legge è l'espressione della volontà generale», postula che questa «espressione» sia il risultato di una costruzione volontaria, a partire da un lavoro politico realizzato dai cittadini. Queste proposte rischiano di essere tacciate di elitarismo, partendo dall'assunto che il popolo è formato dall'insieme dei cittadini, e non si può escluderne una parte... È vero, ma la crescente astensione nelle consultazioni elettorali non testimonia forse l'esclusione, cosiddetta volontaria, del 30%, 50%, se non di più, delle persone chiamate a votare? L'importante è non inquadrare e fissare una volta per tutte una frazione della popolazione come marginale, e un'altra come parte integrante della società. Così come tutti i cittadini sono chiamati alle urne, tutti possono essere scelti, in modo casuale, per discutere ed esprimere il proprio parere in una conferenza di cittadini. Se poi, la percentuale dei dimissionari risultasse paragonabile ai tassi record di astensionismo alle elezioni a causa dei notevoli sacrifici imposti dalla procedura, potrebbe anche darsi che alcuni astensionisti fossero più motivati a partecipare a un'esperienza del genere, che non a recarsi al seggio elettorale. La democrazia deliberativa non consiste nell'organizzare un confronto tra il Parlamento degli eletti ed un altro Parlamento composto da cittadini estratti a sorte. Prima di tutto, perché il forum cittadino scompare, nel momento in cui ha espresso il suo parere sul problema che ne aveva richiesto la convocazione, e altri cittadini, altrettanto privi di competenze specifiche, si esprimeranno su altri problemi (o sullo stesso, se necessario). Poi, perché nessuno ritiene che la legge debba essere scritta da persone anonime e sprovviste di mandato elettivo. Non si tratta di esaltare la funzione parlamentare, supponendo che porti necessariamente al bene comune, ma di stabilire il principio che ogni impegno politico esige una firma, all'occorrenza quella della rappresentanza nazionale. Le disposizioni legislative sulle conferenze di cittadini (che necessitano di una precisa definizione del protocollo e di norme che ne controllino il funzionamento) dovrebbero prevedere per gli eletti l'obbligo di appropriarsi delle conclusioni raggiunte e di renderne pubblico il seguito. Come le procedure di delega, anche quelle di partecipazione possono essere estese al di là di una regione o di un paese, e interessare l'intero pianeta. Il che vuol dire che la valutazione sulle minacce globali (cambiamenti climatici, rischi ambientali, etica del vivente) non è di competenza esclusiva degli esperti, e che quindi delle organizzazioni internazionali potrebbero individuare procedure di democrazia deliberativa valide a livello mondiale. Queste procedure, ancora sperimentali, sono rivoluzionarie perché disegnano il profilo di un'altra democrazia, capace di riconoscere la legittimità del giudizio consapevole di un gruppo responsabile e l'equità delle procedure dialogiche. Perché «una misura equa è una misura presa seguendo procedure che producono in tutti i protagonisti la convinzione che essa è imparziale (7)». Con ogni evidenza, queste procedure sono necessarie per gestire la complessità delle nuove tecnologie (8), ma potrebbero dare un contributo serio anche alla risoluzione di conflitti etici o politici (9). Prendiamo l'esempio dell'abolizione della pena di morte in Francia, nel 1984. L'impegno del ministro della giustizia, Robert Badinter, che permise di porre fine a questa barbarie, costituisce un caso di «democrazia rappresentativa abusiva»: una decisione importante presa senza un mandato specifico. È probabile che il ricorso alla «democrazia partecipativa abusiva», tramite un referendum che avrebbe portato ad una «scelta» impulsiva, invece che profondamente meditata, avrebbe condotto ad una conclusione diametralmente opposta. Al contrario, tutti coloro che hanno frequentato conferenze di cittadini sanno che una tale prassi, applicata alla questione della pena capitale, avrebbe prodotto un parere identico a quello del guardasigilli. Il senso di responsabilità delle persone coinvolte (dei «super cittadini» volontari) e i modi della riflessione (serietà, approfondimento del tema, confronto di idee, emulazione) fanno emergere, nella maggior parte dei partecipanti, qualità umane fondamentali quali intelligenza, coscienza, altruismo. |
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