[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
legambiente ambiente italia 2005
- Subject: legambiente ambiente italia 2005
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Fri, 1 Apr 2005 23:36:12 +0200
Ambiente Italia 2005. 100 indicatori sullo stato del paese estratti dal volume: Innovazione, qualità, territorio: idee contro il declino Istituto Ambiente Italia Legambiente Ambiente versus declino: questa in sintesi la chiave di Ambiente Italia 2005. Il Rapporto di Legambiente, curato dall'Istituto Ambiente Italia, propone quest'anno - accanto al tradizionale set di 100 indicatori statistici in grado di cogliere cambiamenti e tendenze nello stato del paese - una raccolta di analisi, riflessioni, proposte su quanto costa all' ambiente la perdita di capacità innovativa da parte del sistema-Italia, e su come proprio l'ambiente possa e debba giocare da protagonista nelle strategie contro il declino. Questa coppia ambiente-competitività è bene esemplificata dalla questione energetica. Il 16 febbraio 2005 è entrato in vigore il Protocollo di Kyoto, e l'Italia che l'ha ratificato è lontanissima dal proprio obiettivo di riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Ma mentre continuano a mancare atti politici concreti e conseguenti nelle sole due direzioni utili ad applicare il trattato - migliorare l'efficienza energetica e sviluppare le nuove fonti rinnovabili a cominciare dal solare e dall'eolico - c'è ancora chi non vede una verità evidente: le politiche di riduzione delle emissioni che danneggiano il clima non sono necessarie soltanto all' ambiente, servono anche all'economia perché con esse diminuiscono i costi per le imprese (se si consuma meno energia per unità di Pil) e aumenta l' indipendenza energetica del paese (se si investe in fonti non "d' importazione" come quelle pulite). Ma il ruolo dell'ambiente come irrinunciabile fattore competitivo è decisivo in tutte le principali strategie per sconfiggere il declino: sta dentro l' impegno contro l'illegalità diffusa e la criminalità organizzata, che dall' abusivismo edilizio alle ecomafie devastano il territorio e che soprattutto nel Sud rappresentano un formidabile disincentivo allo sviluppo economico; sta dentro la necessità di investire molto di più in educazione, formazione, ricerca, risorse immateriali e dunque squisitamente ecologiche; sta dentro l 'esigenza di valorizzare quel cosiddetto "capitalismo territoriale" che è il primo prodotto tipico italiano e il motore del successo del "made in Italy", la cui caratteristica più originale è in un fortissimo radicamento nelle risorse locali (paesaggio, beni culturali, agricoltura e turismo di qualità, saperi tradizionali, legami sociali, patrimoni di convivialità e di "buon vivere"). Il resistibile declino dell'Italia L'Italia guarda con preoccupazione al suo futuro. Preoccupano non solo gli aggregati macro-economici e sociali, oltre a quelli ambientali. Ma anche - o forse soprattutto? - lo scarto tra le potenzialità e i risultati, le dichiarazioni e le realizzazioni, il persistere ostinato nel tempo di problemi dapprima occultati, poi percepiti, poi infine apparentemente rimossi. Lasciamo parlare i numeri. Guardiamo intanto al Prodotto Interno Lordo, che rappresenta l'indicatore più consolidato di valutazione dello stato delle economie, anche se - come è noto e non è certo qui il caso di riprendere annose discussioni - il prodotto interno lordo non rappresenta una misura del benessere e della qualità della vita. Anche nel 2004 la crescita dell'Italia è stata contenuta entro l'1,3%. Nel 2003 era stata dello 0,3%. Nel 2002 dello 0,4%. Questa sostanziale stagnazione non è affatto condivisa con il resto del mondo e - a questi livelli - neanche con il resto dell'Europa. Al contrario di quella che è la percezione diffusa in Italia, il 2004 è stato un anno di eccezionale crescita economica mondiale. Il Global Economic Prospects 2005 della World Bank sintetizza così la situazione: "La crescita mondiale è accelerata bruscamente nel 2004, con un Prodotto Interno Lordo che avanza del 4%. Tutte le regioni in sviluppo stanno ora crescendo più velocemente delle loro medie degli anni 80 e degli anni 90. Vi ha contribuito in maniera notevole il continuo sviluppo economico della Cina, così come la forte ripresa registrata in Giappone e negli Stati Uniti". Per dare una misura: se la Cina è cresciuta nel 2004 di circa il 9% e l' India del 6% - su tassi simili al 2002 e al 2003 - anche gli Stati Uniti e il Giappone sono cresciuti di circa il 4% (contro una media degli anni 90 rispettivamente dell'1,9% e dell'1,1%) e l'Europa nel suo insieme è cresciuta del 2% (contro una media dell'1,8% negli anni 90). È l'Italia che resta bloccata, anche all'interno di un'area -quella europea - che sconta un dinamismo inferiore a altre aree del mondo. Ed è ormai un blocco di lunga durata, di carattere strutturale. Fatto 100 il Prodotto Interno Lordo del 1995, nel 2003 (per prendere un dato consolidato) il PIL dell'Unione Europea a 15 era salito - a prezzi costanti - al livello 118. L'Irlanda - che ha conosciuto un eccezionale boom economico - era arrivata a 185. Altri paesi molto dinamici, come la Spagna o la Finlandia, erano cresciuti di oltre il 30%. La gran parte dei paesi era cresciuta di oltre il 20%. L'Italia e la Germania, invece, si erano arrestate rispettivamente a 112 e a 110. In termini di crescita del valore aggiunto, peraltro, la performance dell' Italia era stata anche un po' peggiore di quella della Germania. Per Italia e Germania, però, gli altri indicatori ci raccontano storie diverse. Entrambi i paesi hanno affrontato due difficili, seppur diverse, sfide: in un caso l'integrazione di un intero nuovo paese (quella che si chiamava Repubblica Democratica Tedesca), nell'altro l'uscita dalla bancarotta fiscale dello stato. Le prospettive di fronte ai due paesi sono però molto diverse. L'arresto della crescita della Germania è dipeso dalla caduta della domanda interna e da un forte incremento del risparmio, mentre la capacità produttiva industriale ha mantenuto un alto livello qualitativo e competitivo, le vendite all'estero hanno continuato a espandersi, guadagnando quote di mercato, anche nelle economie del Sudest asiatico e nell'area dell'euro: in cinque anni dal 1998 le quantità esportate di merci e servizi sono aumentate del 33%, la quota di mercato è salita dal 10,7 all'11,3% nel 2003, la produzione industriale è cresciuta del 6,4%. Altri sono i problemi dell'Italia. La crescita dei consumi è risultata debole, ma allineata agli altri paesi dell'area dell'euro. Ma solo gli investimenti in costruzioni hanno ripreso a espandersi. In cinque anni la produzione industriale è aumentata soltanto dello 0,9% e gli investimenti in macchinari, attrezzature e mezzi di trasporto hanno rallentato dal 2001: nell'ultimo biennio sono diminuiti di oltre il 5%. Ma è la perdita di competitività nei confronti dei paesi sviluppati e ancor più delle economie emergenti che si conferma l'elemento di maggiore debolezza del nostro sistema economico. Le esportazioni di beni e servizi si sono ridotte in quantità del 3,4% nel 2002 e ancora del 3,9 nel 2003; in cinque anni sono aumentate soltanto del 3,6%. La quota dei prodotti italiani sul commercio mondiale, a prezzi costanti, dal 4,5% nel 1995 è scesa al 3,9 nel 1998 e al 3,0 nel 2003. E i settori in cui si ancora si concentra la forza dell' economia italiana, il made in Italy dei settori tradizionali e del lusso, rappresentano ormai poco più di un decimo degli scambi mondiali e sono sottoposti a una fortissima concorrenza dei paesi emergenti, non solo sul prezzo, ma ormai anche sulla qualità dei prodotti. E ciò è avvenuto in un periodo di bassa crescita del costo del lavoro: tra il 2000 e il 2004 il costo del lavoro in Italia è cresciuto del 4%, contro l'8% della Germania, il 23% della Spagna o il 20% della Finlandia. Ma per capire il declino dell'Italia - e per capire come uscirne - non è inutile dare uno sguardo anche a un'altra parte dell'Europa. All'Europa che ancora cresce, come reddito e come benessere sociale e umano (e anche ambientale). Finlandia e Svezia, due dei paesi europei a più alto reddito pro capite (rispettivamente il 57% e il 62% più alto dell'Italia), hanno conosciuto tra il 1995 e il 2004 una sostenuta crescita economica: + 37% la Finlandia, + 27% la Svezia, il triplo in un caso e più del doppio nell'altro rispetto all 'Italia. Questa crescita non si è certo fondata né sul costo del lavoro - tra i più elevati d'Europa e cresciuto sia in Finlandia che in Svezia di oltre il 3% annuo in tutto il periodo - né sulla bassa pressione fiscale. Una crescita imbarazzante per le teorie economiche che hanno dominato gli anni 90. Finlandia e Svezia - eredi della tradizione delle socialdemocrazie scandinave - hanno infatti mantenuto un'elevata pressione fiscale. Nel 2003 il carico fiscale della Finlandia era pari al 45,1% e quello della Svezia - il più alto d'Europa - era pari al 51,4% del Pil, contro il 41,8% dell' Unione Europea (a 15) e il 43,2% dell'Italia. In Finlandia la pressione fiscale ha conosciuto una riduzione di 1,6 punti tra il 1995 e il 2003, mentre in Svezia la pressione fiscale è addirittura aumentata di 1,2 punti sul 1995. Finlandia e Svezia, invece, condividono una eccezionale incidenza della spesa in ricerca e sviluppo, pari rispettivamente nel 2002 al 3,5% e al 4,3% del Pil contro una media europea del 2% e una media Ocse del 2,2%. L'Italia invece ha una spesa per ricerca e sviluppo ai minimi dell'area Ocse, pari all'1,16%, ancora inferiore al livello del 1992. Finlandia e Svezia sono di gran lunga i paesi sviluppati con il più alto investimento in ricerca e in formazione del "capitale umano", con tassi dell'85% e del 71% di giovani con livelli universitari di istruzione, con la più elevata concentrazione al mondo di ricercatori e tecnici (rispettivamente 7.110 e 5.186 per milione di abitanti, contro una media dei paesi sviluppati di 3.300). Finlandia e Svezia sono i due paesi europei con la più elevata densità di brevetti hi-tech per abitante (rispettivamente 136 e 101 per milione di abitanti, contro i 6 dell'Italia). Finlandia e Svezia - e una storia non troppo diversa potrebbero raccontare anche la Norvegia o la Danimarca - hanno riscosso a partire dalla seconda metà degli anni 90 un investimento di lungo periodo in qualità e benessere. Sono stati gli alfieri del modello "sociale" europeo e oggi mostrano che politiche lungimiranti di investimento in servizi collettivi e nella qualità possono rendere quanto se non più delle politiche neoliberiste. Qui non è cresciuto solo il Pil, ma tutti i macro-indicatori di benessere. Se guardiamo all'indice di sviluppo umano, prodotto dalle Nazioni Unite (UNDP), troviamo al primo posto la Norvegia, al secondo la Svezia e al tredicesimo la Finlandia; e sia Svezia che Finlandia hanno una posizione nell'indice di sviluppo umano molto più alta di quella che hanno nella graduatoria del reddito pro capite (mentre ad esempio gli Stati Uniti e l' Italia hanno una posizione peggiore). Finlandia e Svezia, insieme alla Danimarca, sono anche i tre paesi europei (e quindi del mondo) con la più equilibrata distribuzione del reddito. Se guardiamo all'indice di competitività, elaborato per il World Economic Forum, vediamo che Finlandia e Svezia si collocano al primo e al terzo posto, in netto e continuo progresso rispetto agli anni precedenti. Se guardiamo all'Environmental Sustainability Index, predisposto dalla Università di Yale, troviamo Finlandia, Norvegia e Svezia che occupano le prime quattro posizioni (mentre l'Italia occupa la 69° posizione). Molto concretamente la Svezia è anche l' unico paese europeo (insieme al Regno Unito) che ha già ridotto ed ecceduto gli obiettivi di taglio delle proprie emissioni di CO2. E infine, ma sappiamo che in ciò gioca la grande estensione forestale, Finlandia e Svezia sono anche tra i pochissimi paesi sviluppati che non presentano un deficit ecologico secondo il calcolo dell'Impronta Ecologica del Living Planet Report. (Duccio Bianchi) La qualità ambientale valore aggiunto dell'Italia nella sfida alla competitività C'è un indagine di Unicredit, il "Capitalismo dei piccoli", curata da Aldo Bonomi, che illumina a fondo lo stato del nostro paese. Uno dei tanti dati che ne emergono è l'enorme differenza nella percezione dei piccoli imprenditori tra le aspettative individuali e le prospettive del sistema-paese: in larga parte positive le prime, nettamente più pessimiste e sfiduciate le seconde. L'economia debilitata, l'impoverimento preoccupante di tanta parte dei cittadini, sono insomma solo la parte visibile dell'iceberg: che sotto la superficie nasconde un paese ripiegato, in "down" psicologico, che ha perso la gioia e il gusto della sfida. Una condizione questa che, quale che sia la ricetta che si ha in mente per tirarne fuori l'Italia, rende molto più ardue soluzioni in positivo. E se non è impresa facile indicare quale possa essere la via di uscita, si può cominciare col dire quale non debba essere. Non deve essere una strategia dettata dalla paura, che aumenti l'arroccamento del paese, che ne alimenti l'isolamento in Europa e nel mondo; parlando più chiaro, non dev'essere a base di dazi contro le Tigri orientali e di navi da guerra contro l'immigrazione. Nemmeno deve essere, però, una corsa al ribasso: che minimizzi le regole, tagli i diritti, chiuda un'occhio sulle furberie e sulle iregolarità. Scelte così finirebbero per minare le fondamenta stesse della convivenza civile &endash; sarà un caso se l'ultimo rapporto della Guardia di Finanza registra nel 2004 un'impennata attorno e oltre il 15% di tutti i reati finanziari? &endash; e si tradurrebbe in un autogol anche in termini squisitamente economici: perché vorrebbe dire scegliersi come competitori i paesi dalle economie emergenti, quando è di banale evidenza che in Italia non potranno mai esservi costi del lavoro non dico più bassi ma nemmeno paragonabili a quelli della Romania, o leggi ambientali "elastiche" come quelle del Pakistan. Per fortuna. Per combattere le paure del paese, che non sono poche e nemmeno infondate, bisogna invece definire e presentare un disegno che sappia evocare le energie oggi solo allo stato latente, mobilitare i talenti che non trovano la forza di emergere, le intelligenze e la creatività che portano gli italiani a occupare le poltrone degli istituti finanziari della City di Londra, dietro le cattedre delle università statunitensi o sui microscopi dei più importanti centri di ricerca del mondo. L'Italia deve puntare, da una parte, sulle risorse più "tipiche" di tutti i paesi industrializzati &endash; scommettere cioè sui saperi, sulla ricerca, sulla conoscenza, sull'innovazione &endash; e insieme deve valorizzare pienamente ciò che ci rende un paese unico al mondo. Parlo dell'intreccio non replicabile e non delocalizzabile tra città e patrimonio storico-culturale, ambiente naturale e paesaggio, prodotti tipici e buona cucina, coesione sociale e creatività, che è anche la ragione del successo del "made in Italy", tante volte richiamato dal presidente di Confindustria Montezemolo. Questi stessi sono i pilastri dell'identità positiva del nostro paese, che si declina in forme diverse nei vari territori e che spesso il presidente Ciampi ci invita, a ragione, a considerare la base del nostro futuro; e sono la materia prima per costruire una modernità a misura d'uomo, il punto di partenza irrinunciabile per ridare competitività alla nostra economia e avviare un nuovo ciclo di sviluppo. L'Italia deve ritrovare l'orgoglio, deve tornare a credere in se stessa e nel proprio futuro. Deve tornare a fare l'Italia. Attorno a queste convinzioni è nata recentemente la Carta di Ravello, un manifesto per lo sviluppo e contro il declino sottoscritto fra gli altri da Alessandro Profumo di Unicredito Italiano, Anna Maria Artoni di Confindustria, Diego Della Valle di Tod's, e poi da Legambiente, Coldiretti, Club dei Distretti Industriali e tanti altri soggetti che hanno trovato la loro strada puntando sul territorio, dalle città del vino a quelle dell'olio ai borghi più belli d'Italia. Non si tratta, tengo a sottolinearlo, di mere riflessioni teoriche: qui risiede il segreto di tante nostre imprese di successo. Come la Faam, una piccola azienda marchigiana che produce macchine elettriche: ha aperto una filiale in Cina, e da Monterubbiano in provincia di Ascoli Piceno vende le sue vetture elettriche in tutta Europa e fino in Uruguay in Marocco e in Cina. O come la Nuova Simonelli, che fa macchine da caffè e le esporta in ogni angolo del pianeta, e che prima di venderle ai cinesi e giapponesi si prende il lusso di portare per una settimana i committenti a gustare il caffè qui da noi in Italia. Storie così non sarebbero possibili fuori da un rapporto forte e di forte reciprocità con il territorio che garantisce l'alta qualità delle maestranze, senza una missione condivisa dalla comunità, senza gli asili nido, senza la tenuta del tessuto sociale, senza il welfare, senza i presìdi sanitari, senza le scuole, senza gli uffici postali. Ancora due esempi illuminanti. Pochi mesi fa Montezemolo e la squadra della Ferrari sono stati ricevuti dal Papa, che si è congratulato con loro per la capacità straordinaria di tenere unita una comunità, dai piloti ai meccanici, dagli ingegneri al parroco, attorno a una missione comune. Un' altra vicenda che trovo splendida è quella della Brioni, azienda sartoriale che a Penne, un piccolo paese alle pendici del Gran Sasso, produce abiti da uomo tra i più belli del mondo indossati da Kofi Annan e dalle star di Hollywood. Agli amministratori della Brioni un giorno fu proposto, con argomenti convincenti come la possibilità di ottenere più facilmente incentivi pubblici, di spostare la produzione di qualche centinaio di chilometri, in un'area industriale. La risposta fu negativa: perché la Brioni poteva mantenere la qualità soltanto lavorando alle pendici del Gran Sasso, in un rapporto di osmosi con quel territorio che gli offriva una manodopera di eccezionale qualità. E questo è stata la chiave per restare competitivi: non la precarizzazione dei lavoratori, non la libertà di licenziarli. Robert De Niro, in una scena del suo film Bronx, al figlio sbandato ricorda che "non c'è peccato peggiore del talento sprecato". Vorremmo tutti che l' Italia potesse svolgere un ruolo all'altezza del suo passato e del suo futuro. Vorremmo tutti che nessuno potesse pensare al nostro paese come a un "talento sprecato". Ermete Realacci Dal sogno alla realtà: il comune progetto di un'Italia di qualità LA "CARTA DI RAVELLO" Per dare uno sviluppo duraturo e sano al paese, allontanando il rischio del declino, dobbiamo fare appello alle sue più preziose risorse. Dobbiamo scommettere sulla conoscenza, sulla formazione, sulla ricerca, sull' innovazione, sulla qualità. Non si può prescindere dal riconoscimento e dalla valorizzazione del capitale sociale, dei talenti custoditi nelle pieghe del territorio e nel fitto tessuto delle comunità. Come afferma il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, ". il modello qualità Italia basato sulla ricchezza e la varietà del patrimonio culturale rappresenta un esempio in Europa e nel mondo in grado di coniugare i rapporti socioeconomici con la tradizione e l'innovazione". Vogliamo che questo modello permei e indirizzi le scelte politiche, quelle del mondo dell'economia e delle istituzioni. Per farlo è necessario intessere nuove e decisive alleanze tra i protagonisti e gli attori della qualità italiana: . il mondo delle Reti delle qualità territoriali. Una delle più originali occasioni di riscoperta delle risorse naturali, storico-culturali, enogastronomiche e artigianali del nostro paese, le Reti territoriali hanno saputo imboccare una via originale allo sviluppo, integrando le nuove tecnologie e il rispetto dei saperi tradizionali, la globalizzazione e l' orgoglio locale; . il mondo delle imprese e del credito. A partire da tutti coloro che per competere nella dimensione globale hanno scelto di fare leva sulla vocazione italiana all'eccellenza, consapevoli che questa non si dà senza un forte radicamento territoriale; . la società civile. Che su strade non convenzionali ha saputo orientare grandi energie proprio verso la ricerca della qualità, sia essa dell' ambiente o dei servizi di assistenza, anticipando la consapevolezza che è principalmente su questi fronti che si misura il grado di sviluppo e civiltà di un paese. Ci impegniamo per questo a convogliare le nostre esperienze e le nostre passioni in un comune progetto sotto il segno della qualità. Un progetto che passi primariamente per l'individuazione di strumenti con cui avviare e sviluppare questa collaborazione e per dar vita a strategie comuni che facciano della qualità il porto verso cui traghettare il paese. Ravello, 6 agosto 2004 (Ermete Realacci) La qualità italiana tra passato e futuro Per un paese come l'Italia, povero di materie prime ma ricco di risorse naturali, artistiche e culturali, quella della qualità è una strada obbligata più che una scelta o un'alternativa. Un destino nazionale, una vocazione, una mission imposta dalla fedeltà al nostro passato e dalla difesa del nostro comune futuro. Qualità significa innanzitutto qualità della vita, cioè tutela dell' ambiente, del territorio, del paesaggio, per salvaguardare la salute dei cittadini, proteggere un patrimonio irriproducibile e alimentare l'industria del turismo, la prima al mondo per fatturato e numero di addetti. Qualità significa poi ingegno, creatività, fantasia nella produzione e nell' innovazione tecnologica, per competere sul mercato globale: da una parte con gli apparati industriali più grandi e più forti; dall'altra, con i paesi emergenti, dalla Cina all'India, avvantaggiati dalle dimensioni dei rispettivi mercati, dalla larga disponibilità di manodopera e quindi dal basso costo del lavoro. E infine, qualità significa storia e tradizione, un plusvalore che l'Italia può aggiungere ai suoi prodotti, beni e servizi, in misura certamente maggiore di qualsiasi altro concorrente. In questo senso, appunto, si tratta di passare dal vecchio "made in Italy" a un nuovo "made in Quality": per dire un brand, un marchio di fabbrica, una denominazione di origine controllata che può valere ugualmente per il design e per la moda, per le "macchine" industriali e per quelle utensili, per l' arte e per la musica, per la cucina e per il vino. La ricerca della qualità presuppone caratteristiche soggettive e collettive, doti personali e generali, individualità e metodo, inventiva e organizzazione. Non bastano, evidentemente, l'estro del singolo, le punte di eccellenza, i casi isolati. Quello che occorre è un sistema integrato, una rete di competenze e di funzioni complementari, in grado di valorizzare al massimo le diverse esperienze e di favorire una cultura diffusa: cultura d' impresa, cultura ambientale, cultura economica e civile. Per tutto questo occorre un "progetto di società", prima ancora di un programma di governo: cioè un'idea dell'Italia, una prospettiva, una grande ambizione. E contemporaneamente una leadership, una capacità di orientamento e di guida, una nuova classe dirigente, al di là degli individualismi velleitari e improduttivi che ancora condizionano la vita pubblica italiana. Per costruire un paese di qualità servono figure di qualità, proposte di qualità, comportamenti di qualità. Gli esempi, i buoni esempi, non mancano. I "modelli" fortunatamente esistono e funzionano. Ma sono distribuiti a macchia di leopardo, circoscritti in un ambito territoriale oppure identificati in storie personali o familiari, senza un collegamento organico, un tessuto connettivo capace di creare valore aggiunto con un effetto moltiplicatore. Spesso, anzi, le rivalità, gli antagonismi, le invidie reciproche, compromettono la crescita complessiva, avvilendo e mortificando le iniziative dei singoli o comunque accrescendo le difficoltà e i rischi. Può accadere così che a Ravello, la perla della Costiera amalfitana, città della musica e capitale del turismo di qualità, il progetto per il nuovo auditorium regalato alla città dal celebre architetto brasiliano Oscar Niemeyer venga ostacolato da un ricorso di Italia Nostra al Tar, contro il parere di tutte le altre associazioni ambientaliste, danneggiando lo sviluppo dell'economia locale. Ma il Festival estivo che si tiene ogni anno all'aperto continua comunque a richiamare un pubblico composto in prevalenza da stranieri, offrendo appunto un modello che vale su scala nazionale nel connubio tra bellezza del paesaggio e spettacolo. "Natura e cultura" s' intitola, non a caso, la stagione di incontri letterari e dibattiti che Enrico e Iole Cisnetto organizzano in agosto a Cortina d'Ampezzo. E da Capri alla Versilia, dalla Puglia alla Sardegna, è tutto un fiorire di manifestazioni del genere. Nell'Italia dei mille campanili e delle mille contraddizioni succede anche che la Sicilia &endash; prima regione nella produzione di vino e purtroppo casa madre della mafia &endash; riscopre l'enologia nel suo rapporto con il territorio e con l'ambiente, come nei vigneti del Gattopardo sotto il marchio di Donnafugata, lanciando sul mercato bianchi e rossi di grande qualità. Alla ricerca dell'eccellenza, l'esempio viene seguito da tante altre aziende locali. E l'isola, ricca di sole e di mare, diventa un polo di attrazione anche per molti produttori settentrionali che arrivano dal Veneto o dal Piemonte a coltivare uve scelte e pregiate. Poi c'è la cucina, l'alta cucina, la tradizione culinaria italiana. Non sono più soltanto gli spaghetti, la pasta fatta in casa o la classica pizza a rappresentare il tricolore sulle tavole di tutti i continenti. Adesso il fondatore di "Slow Food", Carlo Petrini, si aggiudica il titolo di "eroe europeo dell'anno" assegnato dalla rivista americana Time e promuove a Pollenzo, alle porte di Torino, la prima università al mondo di Scienze gastronomiche, dove non s'insegna a cucinare bensì storia dell' alimentazione, microbiologia, viticoltura, analisi sensoriale e così via. Se la dieta mediterranea invade il pianeta, l'Italia è il suo centro propulsore, la fonte e il paradigma di una cultura che attraverso il cibo influenza la qualità della vita, gli stili di vita, i gusti e le abitudini quotidiane. E infine, le "macchine", macchine italiane di tutti i tipi e per tutti i gusti: macchine da corsa, come le mitiche Ferrari, le "rosse" di Maranello, signore della pista e della strada; macchine per andare piano e non inquinare, come quelle elettriche della Famm di Monterubbiano, alle porte di Ascoli Piceno, leader europeo nei veicoli ecologici industriali; e macchine per camminare, per muoversi, per usare il proprio corpo, come quelle della Technogym, leader mondiale delle attrezzature per il fitness. La qualità italiana si declina in vari modi, al passato, al presente e al futuro, ma è un fatto che il Cavallino rampante continua a dominare in Formula 1, mentre la vecchia fabbrica intrisa di "lambrusco & piadina" si trasforma per volontà del suo presidente, Luca Cordero di Montezemolo, in un grande museo del design italiano per rendere l'ambiente di lavoro più bello, più accogliente e più funzionale. Nel frattempo, le macchinine elettriche "made in Italy" sbarcano in Cina e le nostre cyclette o i nostri tapis roulant, dotati di computer, teleschermi e memorie elettroniche, conquistano gli atleti olimpici e le palestre di tutto il mondo con un mix di tecnologia e design. La qualità non è e non sarà mai un'esclusiva italiana, ma con altrettanta certezza si può dire che è una prerogativa della nostra terra, fa parte del suo DNA, del suo codice genetico. Sarebbe un errore, o peggio un delitto, rinunciare a coltivarla, a incrementarla, a migliorarla ulteriormente in tutti i campi in cui è possibile. Tradiremmo, altrimenti, il nostro passato e il nostro futuro, la nostra storia e la nostra vocazione, i nostri padri e i nostri figli. L'Italia può e dev'essere un paese di qualità. (Giovanni Valentini) COMPETITIVO ED ECOLOGICO: Siena, un modello di eccellenza per lo sviluppo sostenibile Un patrimonio artistico da primato e la consapevolezza e la capacità di farne un vera e propria industria; paesaggi mozzafiato e il coraggio di conservarli anche a costo di autoescludersi dall'Autostrada del sole; un' identità e una coesione sociali forti che permeano profondamente il vivere cittadino e insieme la capacità di imporsi nel mercato globale. Eccoli gli ingredienti irripetibili che fanno di Siena non solo una delle città più belle e più visitate del mondo, ma anche un "modello economico e di sviluppo" dell'era globale. Così viene definita in uno studio dell'Ocse, l'organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che ne passa al vaglio il territorio, gli aspetti sociali, produttivi e ambientali: "un modello di sviluppo rurale sostenibile", "una realtà capace di generare continuamente nuova crescita". Leggendo quel rapporto si trova la conferma che il successo della città sta nell'aver saputo produrre innovazione scommettendo sulla tradizione. Nell' aver creduto che con la tutela e la salvaguardia dell'ambiente e del paesaggio si può dare ricchezza al territorio, nell'esser stata capace di accrescere il benessere tenendo saldo il rapporto fra i cittadini e le istituzioni. Siena, potremmo sintetizzare così, ha scommesso sulla qualità, e la rinuncia fatta decenni fa di rinunciare a essere raggiunta dall' Autostrada del sole oggi appare una scelta lungimirante e paradigmatica. A Siena la disoccupazione è sotto il 3%, la città &endash; prima in Italia &endash; è intermente cablata e non si vedono più antenne o pali elettrici. Nelle classifiche sulla qualità della vita Siena è sempre ai primi posti e può vantare una presenza di biblioteche, cinema, associazioni culturali, librerie che non ha paragoni in nessuna città italiana. C'è un florido e intraprendente sistema museale, una fitta rete agrituristica, un'eccellente produzione di olio e vini, c'è la cultura del vivere e del mangiare bene. Ci sono le Contrade che reggono il tessuto sociale ed economico. C'è una fondazione bancaria, Monte dei Paschi, che ogni anno contribuisce a rafforzare questa direzione di sviluppo sostenibile finanziando progetti nel campo della ricerca scientifica, di recupero dello straordinario patrimonio artistico, nella sanità e nell'assistenza sociale. Legami forti nella comunità e con il territorio, dunque, ma anche ponti verso il mercato globale. Il turismo, innanzitutto: ogni anno Siena registra un milione di presenze turistiche (pernottamenti) e dai 4 ai 6 milioni di visitatori giornalieri (escursionisti), la gran parte dei quali sono stranieri. La scommessa sui valori simbolici, sul paesaggio, l'arte e la buona cucina, ha vinto: oggi i turisti prediligono sempre più i profili personalizzati, il valore dell' esperienza diretta, il cibo, gli acquisti fra artigiani, artisti, antiquari. Così, come risulta da un'indagine dell'Apt, per il visitatore Siena vuol dire prima di tutto Piazza del Campo, poi le sue colline, l'eno-gastrononima (il successo del turismo nell'area senese si lega a doppio filo alla fama del Chianti), la sua preziosa architettura, l'arte e il Palio. Ma non c'è solo turismo nel passaporto internazionale di Siena: c'è anche il polo industriale biotecnologico, uno dei più importanti d'Europa, in continua crescita grazie al rapporto simbiotico con l'università e agli investimenti di multinazionali del settore. Quella di Siena dunque è la storia della felice scommessa sulla qualità, che nel nostro paese vuol dire industria leggera, legami con la ricerca universitaria e produzioni enogastronomiche; vuol dire storia, identità, paesaggio, e coesione sociale. E se è vero che i singoli ingredienti sono inimitabili, altrettanto vero è che la ricetta è di sicuro successo. (Daniele Di Stefano) Alcuni degli indicatori più significativi Indicatore 1 Indice di benessere umano (HDI) Indicatore 4 Impronta ecologica Indicatore 34 Prezzi dell'energia elettrica e del gas in Italia e in Europa Indicatore 37 Qualità ambientale dei veicoli Indicatore 45 Rilasci di organismi geneticamente modificati Indicatore 55 Industria e servizi intellettuali e tecnologici Indicatore 69 Emissioni atmosferiche pericolose in Italia Indicatore 77 Gestione forestale sostenibile Indicatore 90 Efficienza energetica delle abitazioni Indicatore 99 Commercio equo e solidale (Duccio Bianchi) Indice di benessere umano (HDI) indicatore Il benessere non può essere racchiuso nella misura del reddito e del PIL. Un indicatore aggregato per la misura della sostenibilità sociale e del benessere è lo Human Development Index, elaborato nell'ambito dell'UNDP. Lo HDI è costituito dalla media semplice dell'indice di longevità (speranza di vita alla nascita), dell'indice dei risultati scolastici (media del tasso di alfabetizzazione e del tasso di iscrizione ai 3 livelli scolastici pesato sulla relativa quota di popolazione) e dell'indice del PIL reale proc. aggiustato (a parità di potere d' acquisto). Nel corso degli ultimi 30 anni gran parte dei paesi ha conosciuto un miglioramento del benessere, ma il miglioramento non è stato né omogeneo né costante, e i percorsi di sviluppo molto differenziati. Nel 1975 il Brasile aveva un HDI più basso del Paraguay e del Venezuela, ma negli ultimi 25 anni ha superato ambedue questi paesi. Al contrario lo Zimbabwe, che ancora nel 1990 aveva lo stesso indice della Cina, è oggi a un livello inferiore del 35%. L'indice mostra anche che non c'è relazione meccanica tra livelli di reddito e livelli di benessere umano. Il Costarica ha lo stesso indice di benessere umano del Kuwait pur avendo un reddito procapite di circa la metà; analoghi rapporti valgono per lo Sri Lanka rispetto alla Repubblica Dominicana o per il Vietnam rispetto al Guatemala. l'energia Prezzi dell'energia elettrica e del gas in Italia e in Europa indicatore Il sistema italiano dei prezzi energetici italiano presenta alcune anomalie rispetto al contesto europeo. Nel settore elettrico per gli usi residenziali l'Italia - a differenza degli altri paesi europei - ha una struttura dei prezzi progressiva, che ha incentivato il contenimento degli usi elettrici. I prezzi finali per gli utenti con bassi consumi sono molto inferiori alla media europea (anche la metà); le utenze con consumi più elevati hanno invece prezzi ben al di sopra della media europea. Per le imprese italiane, invece, i prezzi elettrici, sia al lordo sia al netto delle imposte, si collocano sempre al di sopra della media europea. L'incidenza (e soprattutto il valore assoluto) delle imposte è tra le più alte d'Europa. Anche nel settore del gas per le piccole utenze domestiche i prezzi italiani sono tra i più bassi in Europa. Per livelli di consumo superiore - a cui è associato l'uso del gas naturale anche per il riscaldamento - i prezzi italiani al lordo delle imposte si collocano invece ai livelli più alti, con uno scostamento dalla media europea superiore al 50%, soprattutto per la forte incidenza fiscale. Per le imprese, invece, mentre a bassi livelli di consumo di gas i prezzi italiani sono tra i più elevati in Europa (circa 13-17% sopra i valori medi), ad alti livelli di consumo i prezzi si collocano attorno o sotto la media europea. I settori sia industriali sia - e soprattutto - dei servizi, caratterizzati da un più elevato contenuto tecnologico e di conoscenza, hanno un ruolo sempre crescente nella formazione della ricchezza e nell'occupazione, anche nei principali paesi in via di sviluppo. Nel settore industriale l'Italia mantiene una specializzazione in settori a medio e basso contenuto tecnologico, ormai molto esposti alla competizione dei paesi emergenti. Sia in termini di valore aggiunto che di occupati, l'Italia ha un'incidenza dei settori ad alta e medio alta tecnologia (industria aerospaziale, farmaceutica, elettronica, mezzi di trasporto, chimica e altre) inferiore alla media europea. Negli anni più recenti, tra il 2000 e il 2003, è invece cresciuta in Italia - con tassi superiori alla media europea - sia l'occupazione sia la formazione di valore aggiunto nei servizi a elevato contenuto intellettuale (servizi di telecomunicazione, software, ricerca e sviluppo, finanziari, educativi e altri). L'incidenza di questi settori resta però ancora ben inferiore alla media europea e molto lontana dai principali paesi. Anche un'analisi su scala regionale mostra che nessuna regione italiana è tra le prime 30 regioni europee per specializzazione in servizi di contenuto intellettuale, e solo 3 regioni italiane (Piemonte, Lombardia ed Emilia) sono tra le prime 30 regioni europee per specializzazione in industrie ad alta e medio alta tecnologia. EU 15 Germania A fine 2002, l'adeguamento del parco veicolare ai nuovi standard emissivi della serie Euro è ancora parziale, anche se ormai molto prossimo alla media europea. Nel 1992, prima che la direttiva diventasse cogente, in Italia la percentuale di auto catalizzate era pari al 9%, e quindi molto inferiore alla media europea del 21% (in Germania era addirittura pari al 52%). Nel 2002 il 61% delle autovetture (era il 49% nel 2000) è adeguata agli standard europei Euro 1, Euro 2 e Euro 3, ma la situazione è più critica per le altre tipologie di veicoli. In particolare, solo il 45% degli autocarri è oggi a norma. In tutti i vari segmenti del parco veicolare si sconta un notevole ritardo nelle regioni meridionali. L'abbattimento delle emissioni derivanti dal traffico è stata resa possibile dalla emanazione da parte della Commissione Europea di standard di emissione per i veicoli, con le direttive Euro 1, Euro 2 ed Euro 3, entrate in vigore rispettivamente nel 1993, 1997 e nel 2001 (nel 2006 entrerà in vigore la nuova Euro IV). la mobilità Qualità ambientale dei veicoli Rilasci di organismi geneticamente modificati ( Alla fine del 2004 in Europa è stata autorizzata la commercializzazione di 11 piante geneticamente modificate (mais, colza, riso, patata, cotone) e sono in valutazione altre 13 richieste. In Italia nessuna semente è commercializzata. Più ampia è la sperimentazione in campo aperto. Il rilascio di organismi geneticamente modificati ha visto in Europa una prima fase di espansione nel periodo 1992-97, anno in cui si è raggiunto il massimo, a cui è seguita una fase di forte contrazione negli anni 1998-2002 connessa con la moratoria alle colture e con la regolamentazione imposta dalla Commissione Europea. Dopo una leggera ripresa nel 2003, nel 2004 si è avuta una nuova riduzione delle sperimentazioni. L'Italia, che negli anni del boom (1995-1999) era seconda solo alla Francia, ha invece poi progressivamente diminuito le proprie sperimentazioni e nel 2004 registra solo 4 sperimentazioni. La sperimentazione si concentra sulle colture industriali: mais, colza, patata e barbabietola costituiscono il 71% delle sperimentazioni in Europa e il 53% in Italia. Emissioni atmosferiche pericolose in Italia ( Le stime - elaborate dall'Emep, organizzazione della convenzione sul Long-Range Transmission of Air Pollutants in Europe - sulle emissioni atmosferiche pericolose in Italia segnalano una consistente riduzione dei rilasci di quasi tutti i composti, ad eccezione degli idrocarburi policiclici aromatici, stimati in crescita del 20%. Specifici processi industriali sono responsabili della parte più rilevante delle emissioni pericolose: il 97% delle emissioni di zinco, il 93% delle emissioni di piombo, l'87% delle emissioni di arsenico, il 74% delle emissioni di mercurio, il 68% delle emissioni di diossine, il 67% delle emissioni di cadmio. L'adozione di specifiche misura ha consentito in alcuni casi di ottenere drastiche riduzioni dei rilasci. Il cambio di combustibili ha consentito di abbattere la quota di emissioni di piombo dei trasporti dal 90% all'1% del totale. Analogamente, l'adozione di nuovi standard e dispositivi di filtrazione per gli incenerimenti avrebbero consentito di ridurre, tra il 1990 e il 2002, da 174 a 1 g (I-Teq) le emissioni di diossine da incenerimento. Sul totale delle emissioni di diossine (ancora 286 g nel 2002) quelle derivanti da incenerimento sarebbero passate dal 39% del 1990 allo 0,3% del 2002 (con la quota dominante derivante da processi industriali, in particolare metallurgici). Gestione forestale sostenibile I sistemi forestali su scala mondiale sono ancora sotto forte pressione, specialmente nei paesi tropicali. Per promuovere forme di gestione sostenibili e controllate, anche ai fini del commercio internazionale, è stata creata una certificazione della gestione delle foreste, sia per le foreste naturali che per le piantagioni. L'organismo più autorevole è il Forest Stewardship Council (FSC). La certificazione FSC può durare fino a 5 anni, richiede audit annuali e prevede criteri di effettivo miglioramento della gestione delle foreste. Un altro organismo di certificazione, con criteri diversi per la registrazione, è il PEFC. A livello mondiale nel gennaio 2005 la superficie di foresta certificata FSC era pari a circa 49 milioni di ettari, il 29% in più sul 2003. Sotto il PEFC sono registrati 55 milioni di ettari (22 solo in Finlandia). La crescita più consistente si è registrata in Sud America (dove sono raddoppiate le superfici FSC) e nei paesi africani. In Italia risultano certificate 4 aree forestali con lo schema FSC e 4 aree con lo schema PEFC. area certificata ettari anno FSC PEFC FSC PEFC Magnifica Comunità in Val di Fiemme (TN) 11.000 1998-mar 2003 Consorzio Forestale dell'Amiata 2.913 luglio 2003 Bosco di Piegaro (prov. di Perugia) 160 ott 2003 Pioppeto di S. Alessandro (prov. di Pavia) 257 ott 2003 Associazione PEFC (Friuli-Venezia Giulia) 67.348 lug. 2004 Riserva Naturale di Monte Rufeno 2.885 ott 2004 Gruppo PEFC Veneto 35.194 dic. 2004 Unione Agricoltori BauerBund 250.643 dic. 2004 totale 14.302 356.098 Aree Forestali Certificate in Italia (2004) Foreste certificate (FSC) (gennaio 2005) Efficienza energetica delle abitazioni La qualità edilizia e dell'abitare ha un ruolo sempre più rilevante nelle politiche energetiche. Nel 2001 i consumi energetici del settore residenziale rappresentavano il 21% dei consumi energetici finali dell'Italia. Nel periodo 1990-2001 i consumi residenziali sono cresciuti in valore assoluto da 25,2 a 28,7 Mtep, con un incremento di circa il 14%. La struttura dei consumi è rimasta sostanzialmente stabile nell'ultimo decennio, con una incidenza del 68% del riscaldamento degli ambienti, del 14% degli usi elettrici, del 12% per la produzione di acqua calda e del 6% dei consumi per la cottura. I consumi per riscaldamento tra il 1990 e il 2001 sono aumentati del 13%, ma considerando l'andamento climatico l'incremento reale è stato del 20%. Anche i consumi elettrici obbligati nello stesso periodo sono incrementati del 20%, rimanendo però a un livello assoluto di consumo che è il più basso in Europa. Complessivamente - in primo luogo per effetto della bassa qualità degli involucri edilizi e per l'inefficienza dei sistemi di riscaldamento - il consumo energetico specifico italiano (adattato al clima) è allineato alla media europea, in crescita e ormai superiore non solo a paesi più poveri come la Spagna e il Portogallo, ma anche a paesi come l'Olanda, la Finlandia o la Danimarca più efficienti sotto il profilo edilizio. Commercio equo e solidale I prodotti del commercio "equo e solidale" (Fair Trade) sono prodotti importati, certificati da specifici marchi di rilevanza nazionale e internazionale che identificano le modalità organizzative e commerciali del sistema di etichettatura per il commercio equo, nonché le specifiche condizioni di produzione per i piccoli produttori agricoli e i lavoratori occupati nelle piantagioni/ fabbriche (retribuzioni adeguate, condizioni di salute e sicurezza, prefinanziamento e assistenza ai produttori, ricaduta sociale dei progetti, ecc.). Il sistema del commercio Fair Trade coinvolge 800.000 produttori e contadini dei paesi in via di sviluppo ed è diffuso in 19 paesi sviluppati. I principali mercati internazionali sono il Regno Unito e la Svizzera. I prodotti più rilevanti in termini di vendite sono le banane, il caffè e il cacao. La situazione del commercio equo e solidale in Italia rispecchia l 'espansione che si registra anche a livello europeo e mondiale, dove le vendite di prodotti Fairtrade sono più che raddoppiate negli ultimi quattro anni. In Italia si può addirittura parlare di vero e proprio boom nella vendita di questi prodotti: il fatturato complessivo delle sei principali centrali d'importazione è più che triplicato negli ultimi tre anni e la quantità venduta è più che quadruplicata tra il 2002 e il 2003. Altro elemento interessante è che ormai l'80% della vendita dei prodotti TransFair avviene attraverso la grande distribuzione e il restante 20% in botteghe eque e solidali, negozi biologici, privati.
- Next by Date: [tradenews] WTO: NESSUN ACCORDO SUI FARMACI
- Next by thread: [tradenews] WTO: NESSUN ACCORDO SUI FARMACI
- Indice: