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il pianeta sotto stress i principali fattori di scarsità
- Subject: il pianeta sotto stress i principali fattori di scarsità
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Sat, 19 Mar 2005 00:05:15 +0100
WORKSHOP
SVILUPPO SOSTENIBILE: PROMUOVERE LA TRANSIZIONE, ACCELERARE IL CAMBIAMENTO Milano, giovedì 11 novembre 2004 Unioncamere Lombardia, Via Oldofredi 23 - Milano Il nostro pianeta sotto stress: i principali fattori di scarsità. ovvero I cambiamenti globali e le basi scientifiche dello sviluppo sostenibile Enzo Tiezzi, Professore ordinario di Chimica Fisica, Università di Siena I cambiamenti globali Il pianeta Terra presenta oggi gravi problemi ambientali, problemi globali dato che la Terra è un sistema unico e complesso, composto da varie parti fra loro interdipendenti. I problemi ambientali che interessano apparentemente una singola nazione, e più spesso una parte del territorio della nazione, in realtà fanno parte di un problema globale che riguarda l'intero pianeta. Ormai l'uomo, con il suo modo di vivere e di produrre, sta intaccando i cicli bio -geochimici della biosfera e le catastrofi ambientali, piccole o grandi che siano, sono i segni di una malattia generale del pianeta. Il vero problema mondiale è, oggi, un problema di interdipendenze, di relazioni fra paesi produttori e consumatori, tra detentori di materie prime e detentori di know how, tra paesi ricchi di patrimonio ambientale incontaminato e paesi inquinatori. E' necessario quindi capire i complessi intrecci tra energia e risorse, tra capitale naturale e capitale prodotto dall'uomo, tra locale e globale. Gli studi geologici, meteorologici, ecologici, oceanografici e biologici in genere, hanno ormai messo in evidenza con chiarezza che la vita di ogni singolo organismo è parte di un processo su grande scala che coinvolge il metabolismo di tutto il pianeta. L'attività biologica è una proprietà planetaria, una continua interazione di atmosfere, oceani, piante, animali, microrganismi, molecole, elettroni, energie e materia, tutti parte di un unico globale. Il ruolo di ciascuno di questi componenti è essenziale per il mantenimento della vita. Il punto fondamentale di novità scientifica consiste quindi proprio nella constatazione che il sistema in cui viviamo, il pianeta Terra, è un sistema finito e, in quanto tale, presenta dei vincoli: vincoli di territorio, vincoli di assorbimento dei rifiuti e degli inquinanti, vincoli relativi ai grandi cicli della vita (aria, acqua, ossigeno ecc..), vincoli che limitano l'aumento indiscriminato della popolazione e della produzione. La realtà fisica è quindi soggetta a constraints, vincoli appunto, e questi possono determinare dei limiti. Un esempio solamente: se la popolazione aumenta ha bisogno di più cibo, per avere più cibo è necessario o produrre di più per ettaro, ma questo comporta l'impoverimento dei suoli, l'erosione, l'inquinamento delle falde e l'eutrofizzazione dei mari, o deforestare per ottenere altri campi da coltivare, ma questo comporta perdita di biodiversità e fa saltare gli equilibri dei cicli vitali del carbonio e dell'ossigeno (effetto serra) e provoca cambiamenti di clima che si ripercuotono sull'agricoltura e così via. La Terra viene da molto lontano, da 4.500 milioni di anni di evoluzione. E' una storia, quella dell'evoluzione biologica, complessa e meravigliosa, una storia di energia e di materia, di molecole e di cellule; una storia che ha dato luogo a forme viventi di grande diversità, vegetali ed animali, fino ad arrivare all'uomo. Grazie al flusso continuo di energia solare e alla fotosintesi, sulla superficie della Terra, la biosfera, sono nate e si sono moltiplicate numerose specie biologiche: questo è il capitale naturale che abbiamo avuto in prestito, un capitale di biodiversità, fatto dall'aria e dalla terra, dai fiumi e dai mari, dalle foreste e dagli animali. La biodiversità è fondamentale per il mantenimento della vita, perché tutto è legato a tutto su questo pianeta. E' una storia che la nostra bisnonna alga azzurra (come amava chiamarla Laura Conti) ha cominciato a scrivere centinaia di milioni di anni fa inventando sulla Terra il processo della fotosintesi, il processo che costruisce i mattoni della vita (la struttura biologica di tutti gli esseri viventi) adoperando l'energia del sole, l'acqua e la CO2 (anidride carbonica) dell'aria: la prima delle condizioni essenziali per la vita. La fotosintesi contrasta, sulla superficie terrestre, il degrado entropico (per altro inevitabile nei tempi biologici e su scala universale) in quanto tende a "mettere in ordine" la materia disordinata: la pianta preleva infatti materia disordinata (le molecole povere di energia e in agitazione disordinata dell'acqua e dell'anidride carbonica) e, grazie all'energia solare, la organizza costruendo strutture complesse. La fotosintesi si rivela dunque come il processo che, catturando energia solare e diminuendo l'entropia del Pianeta, costruisce la strada maestra dell'evoluzione biologica. Il ruolo della termodinamica
Il secondo principio della Termodinamica, una delle fondamentali leggi della natura, indica le strade da evitare perché la vita sulla Terra possa continuare ad esistere. In particolare evidenzia la tendenza universale ineluttabile verso il disordine (in termodinamica, la tendenza verso la massima entropia), che è anche perdita dell'informazione e della disponibilità di energia utile. Questa tendenza, chiamata da Clausius la "morte termica", porta al cosiddetto "equilibrio termodinamico", che è appunto la morte dei sistemi biologici e degli ecosistemi, attraverso la distruzione delle diversità. Due sono le strade che possono portare a questa situazione: a) quando, scambiando energia sotto forma di calore, le differenze di temperatura vengono meno, portando alla livellizzazione delle energie e all'impossibilità pratica di fare qualsiasi cosa, perché lo scambio di energia utile è impedita; b) b) quando un sistema rimane isolato e, consumando le proprie risorse, porta a un grande aumento di entropia interna e, in ultima analisi, alla propria auto-distruzione. Per questa ragione i sistemi viventi cercano di evitare la situazione di "equilibrio termodinamico", mantenendosi il più lontano possibile da questo, auto-organizzandosi grazie ai flussi di materia e di energia, che ricevono dall'esterno e da sistemi in condizioni di temperatura e di energia diverse dalle loro. L'economia e la società non possono ignorare il secondo principio della termodinamica. Ne consegue che la globalizzazione, la distruzione delle diversità (sia biologiche che culturali), l'omogeneizzazione, il pensiero unico portano ineluttabilmente alla morte termica, alla distruzione finale e, nello stesso modo, un paese, una nazione, un sistema che fa del proprio isolamento, del rifiuto della contaminazione culturale (o meglio della "cross-fertilization"), dell'arroccamento su posizioni fondamentaliste di conservazione, un dogma politico, farà la stessa fine. La difesa eccessiva della propria diversità o la perdita delle diversità sono due aspetti della stessa stupidaggine termodinamica. Nella nuova cultura ecologica-economica sviluppo e crescita hanno ovviamente significati diametralmente opposti. Si arriva così all'ineluttabilità dei limiti alla crescita, non come forzatura di una ideologia politica, ma come logica e necessaria conseguenza delle grandi leggi della fisica e della biologia. La teoria economica dominante, legata al meccanicismo positivista e alla cosmologia newtoniana, ignora ancora i concetti di entropia, di rendimento decrescente dell'energia, di indeterminazione, di complessità, di produttività decrescente delle risorse non rinnovabili. Anzi, non solo ignora questi concetti ma ne introduce un altro che potrebbe essere riassunto nella famosa frase "il tempo è denaro". Il progresso viene misurato dalla velocità con cui si produce, si arriva addirittura a pensare che quanto più velocemente si adoperano le risorse della natura, tanto più il progresso avanza. In altre parole, più velocemente si trasforma la natura, più si risparmia tempo. Ma questo "tempo tecnologico" o "tempo economico" è esattamente l'opposto del "tempo biologico". La realtà obbedisce a leggi ben diverse da quelle economiche e invece del "tempo economico" riconosce il "tempo entropico": quanto più velocemente si consumano le risorse e l'energia disponibile del mondo, tanto minore è il tempo che rimane a disposizione per la nostra sopravvivenza. Il tempo tecnologico è inversamente proporzionale al tempo biologico; il tempo economico è inversamente proporzionale al tempo entropico. I limiti delle risorse, i limiti di resistenza del nostro pianeta e della sua atmosfera indicano chiaramente che quanto più acceleriamo la crescita e la produzione, tanto più accorciamo il tempo reale a disposizione della nostra specie. Un organismo che consuma più rapidamente di quanto l'ambiente produca per la sua sussistenza non ha più possibilità di sopravvivenza: ha scelto un ramo secco nell'albero dell'evoluzione, ha scelto la strada percorsa dai dinosauri. Il tempo-denaro, il tempo scandito dall'orologio non è il tempo adatto a instaurare un rapporto corretto con la natura. Paradossalmente, l'orologio, simbolo dell'ordine, scandisce le ore del disordine. La frenesia del consumismo e della crescita della produzione avvicina i tempi del disordine globale. L'ordine naturale segue altri ritmi, altri tempi. L'uomo non può fermare il tempo, ma può rallentare l'evoluzione biologica e la crescita produttiva favorendo il futuro della nostra specie e rispettando i limiti biofisici che la sopravvivenza della natura richiede. Il padre della termodinamica, Rudolph Clausius, così scriveva nel 1885: Nell'economia di una nazione c'è una legge di validità generale: non bisogna consumare in ciascun periodo più di quanto è stato prodotto nello stesso periodo. Perciò dovremmo consumare tanto combustibile quanto è possibile riprodurre attraverso la crescita degli alberi. Le basi scientifiche dello sviluppo sostenibile
Per introdurre il concetto di sostenibilità è utile partire dalle teorie dell'economia dello stato stazionario di Herman Daly e dal suo famoso esempio del battello: "l'internalizzazione delle esternalità è una buona strategia per adattare ottimalmente l'allocazione di risorse, facendo sì che i prezzi relativi rappresentino, in modo più appropriato, i costi marginali sociali relativi. Ma ciò non rende il mercato capace di fissare i propri confini fisici assoluti con l'ecosistema più allargato. Per fare un'analogia: uno stivaggio appropriato distribuisce il peso nel battello in modo ottimale, così da massimizzare il carico trasportato. Ma c'è ancora un limite assoluto a quanto peso un battello possa trasportare, anche se questo è sistemato in modo ottimale. Il sistema dei prezzi può distribuire il peso regolarmente, ma, a meno che non sia integrato da un limite assoluto esterno, continuerà a distribuire uniformemente il peso addizionale fino a che il battello, caricato in modo opportuno, affonda". In altre parole, la capacità della Terra è limitata: l'economia non può non accettare i vincoli biofisici assoluti che il sistema termodinamico chiuso su cui viviamo comporta. Per definire lo stato stazionario, Daly parte dal primo principio della termodinamica e cioè dal fatto che l'energia e la materia non possono essere né create né distrutte, ma solo trasformate: "l'uomo trasforma le materie prime in merci e le merci in rifiuti." Prende poi in considerazione il secondo principio della termodinamica e l'entropia per definire i vincoli e i flussi di un "sistema aperto" in stato stazionario o in equilibrio biofisico con l'ambiente esterno. Daly individua nel secondo principio e nell'entropia la coordinata fisica fondamentale della scarsità: "se non fosse per la legge dell'entropia, non ci sarebbe alcuna perdita; potremmo bruciare lo stesso litro di benzina in eterno, e il nostro sistema economico non avrebbe alcun rapporto con il resto del mondo della natura". Si arriva così alla definizione di economia in stato stazionario: "se usiamo il termine crescita per indicare un cambiamento quantitativo e il termine sviluppo per riferirsi a una modifica qualitativa, allora possiamo dire che l'economia in stato stazionario si sviluppa ma non cresce, proprio come la Terra, di cui l'economia umana è un sottosistema. Una ricchezza sufficiente, mantenuta e allocata efficientemente, distribuita in modo equo - e non per massimizzare la produzione - costituisce il giusto fine economico". I valori etici e i vincoli biofisici trovano così la loro convergenza nell'economia in stato stazionario o in equilibrio biofisico, il cui sviluppo teorico ha portato - dieci anni dopo la sua formulazione - alla messa a punto del concetto di sviluppo sostenibile. Le nuove teorie dello sviluppo sostenibile e dell'"ecological economics"
ci
pongono davanti un nuovo paradigma: non più un'economia basata su due parametri, il lavoro e il capitale, ma un'economia ecologica che riconosce l'esistenza di tre parametri, il lavoro, il "capitale naturale" e il "capitale prodotto dall'uomo". Intendendo per capitale naturale l'insieme dei sistemi naturali (mari, fiumi, laghi, foreste, flora, fauna, territorio), ma anche i prodotti agricoli, i prodotti della pesca, della caccia e della raccolta e il patrimonio artistico-culturale presente nel territorio, si vede come sia fondamentale oggi investire in questa direzione. Daly scrive:"per la gestione delle risorse ci sono due ovvi principi di sviluppo sostenibile. Il primo è che la velocità del prelievo dovrebbe essere pari alla velocità di rigenerazione (rendimento sostenibile). Il secondo, che la velocità di produzione dei rifiuti dovrebbe essere uguale alle capacità naturali di assorbimento da parte degli ecosistemi in cui i rifiuti vengono emessi. Le capacità di rigenerazione e di assorbimento debbono essere trattate come capitale naturale, e il fallimento nel mantenere queste capacità deve essere considerato come consumo del capitale e perciò non sostenibile". Herman Daly abbandona così le certezze dell'economia classica e il determinismo della "mano invisibile del mercato" affrontando il tema della complessità ecologica in questi termini: "ci sono due modi di mantenere il capitale totale intatto. La somma del capitale naturale e di quello prodotto dall'uomo può essere tenuta ad un valore costante; oppure ciascuna componente può essere tenuta singolarmente costante. La prima strada è ragionevole qualora si pensi che i due tipi di capitale siano sostituibili l'uno all'altro. In quest'ottica è completamente accettabile il saccheggio del capitale naturale fintantoché viene prodotto dall'uomo un capitale di valore equivalente. Il secondo punto di vista è ragionevole qualora si pensi che il capitale naturale e quello prodotto dall'uomo siano complementari. Ambedue le parti devono quindi essere mantenute intatte (separatamente o congiuntamente ma con proporzioni fissate) perché la produttività dell'una dipende dalla disponibilità dell'altra. La prima strada è detta della "sostenibilità debole", la seconda è quella della "sostenibilità forte". Il capitale naturale e quello prodotto dall'uomo sono fondamentalmente complementari e, solo in misura marginale, si possono considerare intercambiabili. Quindi è la sostenibilità forte il concetto rilevante, anche se la sostenibilità debole è un utile primo passo avanti. Il flusso di risorse naturali e lo stock di capitale naturale che lo genera sono la causa materiale della produzione; lo stock di capitale che trasforma gli input di materia grezza in prodotti è la causa efficiente della produzione. Non si può sostituire una causa efficiente con una causa materiale: non si può costruire la stessa casa di legno con metà legname, non importa quante seghe o martelli si pensa di sostituire. Alcuni preconcetti ci trattengono dal vedere l'ovvio: in particolare che la pesca è limitata dalla popolazione dei pesci nel mare non dal numero di pescherecci; che il legname è limitato da ciò che rimane delle foreste non dal numero delle segherie. Più segherie e più pescherecci non danno come risultato maggior legname e più pesce pescato. Per questo c'è bisogno di più foreste e di un maggior numero di pesci nel mare. Il capitale naturale e il capitale prodotto sono complementari; e il capitale naturale è divenuto il fattore limitante. Più capitale prodotto, lungi dal sostituire il capitale naturale, fa aumentare la domanda di quest'ultimo in maniera complementare, facendolo diminuire per supportare temporaneamente il valore del capitale prodotto e rendendolo, in tal modo, ancora più limitante per il futuro". Oggi stiamo vivendo la transizione da un'economia da "mondo vuoto" ad un'economia da "mondo pieno": in questa seconda fase l'unica strada di sostenibilità passa dall'investire nella risorsa più scarsa, nel fattore limitante. Sviluppo sostenibile significa quindi investire nel capitale naturale e nella ricerca scientifica sui cicli biogeochimici globali che sono la base stessa della sostenibilità della biosfera. Infatti secondo Daly se accettiamo il fatto che il capitale naturale e quello prodotto dall'uomo sono complementari e non possono sostituirsi l'uno all'altro, cosa ne consegue? Ne consegue che se i fattori sono complementari allora quello in minore quantità sarà un fattore limitante. Se i due fattori sono intercambiabili allora nessuno dei due può essere un fattore limitante perché la produttività dell'uno non dipende dalla disponibilità dell'altro. L'idea che o il capitale naturale o quello prodotto possano essere dei fattori limitanti non può scaturire se si continua a pensare che i due si possano sostituire a vicenda. Una volta che ci siamo resi conto che sono complementari dobbiamo domandarci quale dei due sia il fattore limitante, cioè quale sia disponibile in minor misura. Il precedente ragionamento implica la tesi che: "il Mondo sta passando da un'era in cui il fattore limitante era il capitale prodotto dall'uomo ad un'era in cui il fattore limitante è quel che rimane del capitale naturale. "Oggi -scrive Daly- la quantità di petrolio greggio estratta è limitata dalla disponibilità di petrolio nei pozzi (o anche dalla capacità dell'atmosfera di assorbire CO2), non dalla capacità di estrazione; la produzione agricola è spesso limitata dalla disponibilità d'acqua, non dai trattori o dalle mietitrici. Siamo passati da un mondo relativamente ricco di capitale naturale e privo di capitale prodotto (e di uomini), ad un mondo che è, al contrario, povero di capitale naturale e ricco di capitale prodotto. In un processo produttivo, un flusso di materia e di energia di origine naturale è trasformato in un flusso di prodotti finali da parte di un certo numero di agenti di trasformazioni, ossia lavoro e capitale. Capitale e lavoro sono sostituibili l'uno all'altro fino a un certo grado, perché in un processo di produzione la loro funzione qualitativa è la stessa: sono infatti entrambi agenti di trasformazione del flusso di materia prima di prodotti finiti. Ma i ruoli qualitativi di risorse e capitale sono totalmente differenti: la stessa differenza che c'è tra trasformatore e trasformato, tra stock e flusso.". Daly identifica, a questo proposito, tre approcci: 1) l'imperialismo economico, che si ha quando il sistema economico inc orpora gli ecosistemi, mettendo i flussi di materiali e di energia sotto l'influenza regolatoria dei prezzi; 2) il riduzionismo ecologico, che si ha quando il sistema economico viene trattato come un sottosistema dell'ecosistema; 3) lo stato stazionario, che si ha quando i flussi di materiali e di energia tra l'economia e l'ambiente vengono limitati dalla sostenibilità. Nella passata era di "economia da mondo vuoto", il capitale umano era, come abbiamo visto, il fattore limitante. Noi ora stiamo entrando in un'era di "economia da mondo pieno", in cui il capitale naturale sarà sempre più il fattore limitante. Lo sviluppo sostenibile richiede che il capitale naturale rinnovabile sia mantenuto intatto. Rimane la categoria delle risorse non rinnovabili che, strettamente parlando, non possono essere mantenute intatte a meno di non rinunciare al loro uso. (Ma se tali risorse non possono essere mai usate, allora non c'è alcun bisogno di conservarle per il futuro!). E' tuttavia possibile sfruttare le risorse non rinnovabili in maniera "quasi sostenibile", graduandone la velocità di sfruttamento in base a un corretto confronto con la velocità di creazione di sostituti rinnovabili. L'uso quasi sostenibile di risorse non rinnovabili richiede che ogni investimento nello sfruttamento di una risorsa non rinnovabile sia bilanciato da un investimento compensativo in un sostituto rinnovabile (per esempio, che l'estrazione del petrolio venga bilanciata dalla coltura di alberi che consentano di produrre alcol da legna). Daly parla di tre comunità: comunità tra la gente, comunità con le specie non-umane, comunità con le future generazioni. Partendo dalla critica dell'economia orientata alla crescita, che ha portato all'attuale disastro ambientale, pone le basi per una nuova economia e una nuova etica sociale. La base di questa etica è la comunità con il futuro (o solidarietà generazionale) necessaria per "lasciare ai nostri nipoti un pianeta ancora in grado di sostenere una vita in comunità". Si arriva così al concetto base di "sostenibilità", di stile di vita sostenibile, di sviluppo sostenibile. Si intende per "sostenibilità" l'insieme di relazioni tra le attività umane e la loro dinamica e la biosfera, con le sue dinamiche, generalmente più lente. Queste relazioni devono essere tali da permettere alla vita umana di continuare, agli individui di soddisfare i loro bisogni e alle diverse culture umane di svilupparsi, ma in modo tale che le variazioni apportate alla natura dalle attività umane stiano entro certi limiti così da non distruggere il contesto biofisico globale. Fino ad oggi l'economia ha trattato, correttamente, il capitale prodotto dall'uomo (per esempio le macchine) usando la prima legge della Termodinamica e le quantità conservative ad essa relative: l'energia e la materia. L'economia ortodossa ha assunto tutto l'impianto teorico del meccanicismo e del determinismo e, con esso, la reversibilità del tempo. Ma il "capitale naturale" (ieri trascurabile, oggi fattore limitante e, quindi, fondamentale) appartiene a un altro tipo logico, quello dei sistemi lontani dall'equilibrio, quello dei sistemi complessi in evoluzione. È allora conseguente trattare il "capitale naturale" in termini evolutivi e non-conservativi (entropia, strutture dissipative, processi irreversibili, caos dinamico); assumere fino in fondo il ruolo costruttivo del tempo e della probabilità. In poche parole sostituire, negli studi economici ed ecologici, la fisica classica con la "fisica evolutiva". |
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