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costruire la decrescita
- Subject: costruire la decrescita
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Wed, 23 Feb 2005 06:56:54 +0100
CNS-Ecologia Politica, nn. 1-2,
gennaio-giugno 2004, Anno XIV,
fascicoli 57-58 CRESCITA/DECRESCITA COSTRUIRE LA DECRESCITA Serge Latouche * Non c'è vera contestazione senza il rifiuto dell'imperialismo economico. La rifondazione del sociale e del politico passa per la decrescita. La domanda « Quale sinistra per domani ? » ne trascina con sé un'altra: che cosa significhi essere di sinistra oggi. Non so se i concetti di destra e sinistra abbiano mai avuto contenuti sostanziali o se questi contenuti non siano sempre stati illusioni necessarie per definire una divisione di campo. Non mi riconosco in alcun partito politico, tanto meno in quelli di destra. Il gioco e la posta in gioco nella politica politicante non sono affar mio, anche se vi partecipo in quanto cittadino. Pertanto, non ho nessuna esitazione quando vado a votare, perché non si vota tanto per un programma ma contro quella che si considera sia l'eventualità peggiore. Mi sento visceralmente solidale con i "valori" della sinistra anche quando sono ambigui e contraddittori, anche se il governo della sinistra plurale li ha traditi ogni giorno di più e anche se non mi stancherò mai di denunciare gli "errori" e le "miopie" delle sue analisi (o della sua assenza di analisi.). Tutto è relativo, tuttavia. Se non ci fossero le destre di Haider, Le Pen e Berlusconi, non avrebbe molto senso essere di sinistra oggi. All'interno della sinistra (come della destra), ci sono visioni molto diverse su tutti i problemi "sociali" (sicurezza, immigrati senza diritto di soggiorno, aborto, parità di genere, ecc.). Le misure specifiche con cui si cerca di far fronte ai diversi problemi sono pertanto avulse da una visione globale dei problemi e nel breve periodo mettono in discussione rendite di posizione e interessi individuali consolidati. Ciò non mette in discussione il divario destra-sinistra, ma rivela ogni giorno di più l' inconsistenza della sinistra di governo. Siamo incontestabilmente di fronte all'esistenza di molte sinistre dai contorni necessariamente sfumati: la sinistra di governo (che sia o no in carica), e la sinistra di contestazione. La prima, la sinistra dei partiti politici, la sinistra di gestione, ha molte sfumature; la seconda, la sinistra della "società civile", si divide a propria volta fra gli "altermondialisti" che pensano che un'altra mondializzazione, a un nuovo compromesso con il capitalismo, sia possibile, e quelli convinti invece che un altro mondo è possibile solo uscendo dall'economia. Mi colloco certamente in un quest'ultimo raggruppamento della sinistra. Della prima sinistra, quella politica, si potrebbe dire in effetti che si tratta di una destra "intelligente", la seconda destra di cui parla Marco Revelli (Le due destre, Bollati Boringhieri, Torino 1996) e di cui Tony Blair rappresenta la visione più compiuta. In compenso, non direi che la logica contestataria, quella che lo stesso Revelli chiama "sinistra sociale" (La sinistra sociale, Bollati Boringhieri, Torino 1997) abbia una vocazione a governare. Si tratta piuttosto di un movimento diffuso di resistenza e dissidenza fuori dalla politica, come testimoniano fra gli algtri movimento Attac, il fallimento del Wto a Seattle, la contestazione degli organismi geneticamente modificati, i forum no-global mondiali da Porto Alegre in avanti. Se occorre continuare a denunciare le derive o i "tradimenti" della sinistra politica, occorre anche comprenderne l'ineluttabilità. E' più che sicuro che quelli che la contestano hanno tutte le ragioni. L'imperialismo economico oggi, o più esattamente l'imperialismo dell'economia su quasi tutti gli aspetti della nostra vita, ha ridotto il politico al politicante e condanna gli eletti a "sottomettersi" o a "dimettersi". Il potere invisibile ma molto reale dei "nuovi padroni del mondo", cioè la nebulosa delle imprese transnazionali, tiene i governi in carica sotto un pugno di ferro e impone la sua dittatura (quella delle leggi del mercato, in particolare finanziario). Ma nel contempo permette ai popoli di votare e ai contestatori di manifestare, per dare l'idea che il cambiamento è possibile. In queste condizioni, il ruolo della sinistra contestataria non può che essere quello di una forza di pressione e di proposta. E' sempre possibile mettere in fila una serie di misure pratiche più o meno realiste, dalla Tobin tax alla riduzione del tempo di lavoro, passando per l'introduzione del reddito di cittadinanza e l'annullamento del debito del Terzo mondo. Tutto ciò può contribuire ad un programma elettorale utile e anche necessario. Tuttavia, essendo deboli le possibilità di riforma durevole, la mia preoccupazione è piuttosto quella di pensare al di là dell'economia. La mia riflessione si rivolge a una rifondazione del sociale e del politico nell'era della postmodernità, del doposviluppo, della società post-economica. Si tratta in particolare di lavorare a costruire una società di "decrescita". La parola d'ordine della decrescita è quella di sottolineare con forza l' abbandono dell'obiettivo insensato della crescita per la crescita, obiettivo il cui motore non è altro che la ricerca sfrenata del profitto da parte dei detentori del capitale. Evidentemente, non penso al rovesciamento caricaturale di questo concetto, che consisterebbe nel proporre la decrescita per la decrescita. In particolare, la decrescita non è la crescita negativa. Sappiamo che il semplice rallentamento della crescita fa precipitare le nostre società nella disperazione, a causa della disoccupazione o del taglio dei programmi sociali, culturali e ambientali che assicurano un minimo di qualità della vita. Possiamo immaginare quale catastrofe sarebbe un tasso di crescita negativo! Così come non c'è niente di peggio di una società fondata sul lavoro che non abbia lavoro, non c'è niente di peggio di una società della crescita senza crescita. La decrescita, dunque, può solo immaginarsi in una "società della decrescita". Ciò presuppone che un' organizzazione completamente diversa in cui il tempo libero è valorizzato al posto del lavoro, dove i legami sociali sono più importanti della produzione e del consumo di prodotti inutili, o nocivi "usa e getta". Condizione sine qua non è una riduzione feroce del tempo di lavoro, imposta per assicurare a tutti un impiego soddisfacente. Traendo ispirazione dalla "Carta dei consumatori e degli stili di vita" proposta al Forum degli organismi non governativi di Rio de Janeiro, tutto ciò può essere sintetizzato nel programma delle "sei R": rivalutare, ristrutturare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare. Questi sei obiettivi interdipendenti darebbero il via a un circolo virtuoso di decrescita conviviale e sostenibile. E del tutto evidente quali sono i valori da mettere in campo, a sostituzione di quelli oggi dominanti. L'altruismo dovrebbe prendere il posto dell'egoismo, la cooperazione dovrebbe sostituirsi alla competizione sfrenata, il piacere del tempo libero all'ossessione del lavoro, l'importanza della vita sociale al consumo illimitato, il gusto di una bella opera all'efficienza produttivistica, il ragionevole al razionale, ecc. Il problema è che i valori attuali sono sistemici, sono cioè determinati e sostenuti dal sistema che, in cambio, contribuiscono a rafforzare. Occorre dunque rovesciare l'immaginario ed eliminarne l'insidiosa manipolazione sistemica, per rendere le persone consapevoli della propria situazione. A prima vista, le possibilità dell'alternativa sono infime, ma è un' illusione ottica. Il migliore alleato della civiltà alternativa è l'Occidente stesso. L'effetto pedagogico delle varie catastrofi (da Chernobyl alla mucca pazza) favorisce il lavoro di sensibilizzazione; è una leva potente per rimettere in causa l'esistente e aiutare il cambiamento di mentalità. Un numero sempre maggiore di persone sarà spinto dalla necessità, o dalla ragione, o dall'inclinazione scendere dall'auto in corsa per costruire l'alternativa. La sinistra di domani dovrebbe rendere compatibili i suoi attuali compromessi pratici, che prendono la forma di programmi realisti, con un'analisi rigorosa e senza compromessi degli obiettivi auspicabili nel più lungo periodo, un'analisi che funga da guida e illumini il cammino. Questo testo è tratto dalla rivista francese Politis, 9 gennaio 2003 * Professore emerito dell'Università Paris-Sud e presidente di "Ligne d' horizon. Associazione degli amici di François Partant". 3 |
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