atlante di un'altra economia



il manifesto - 29 Gennaio 2005


A mano disarmata nelle metropoli
SASKIA SASSEN

L'ALTRO «ATLANTE»


A mano disarmata nelle metropoli

«Atlante di un'altra economia», da oggi in libreria per manifestolibri. Una
mappa delle politiche e delle pratiche «del cambiamento», alternative
possibili al modello liberista, come l'altro mondo riunito in questi giorni
a Porto Alegre. I «senza potere» indicati dalla studiosa delle città globali
come i protagonisti del futuro
SASKIA SASSEN

La storia ci insegna che gli esclusi e i deboli sono un importante fattore
nello sviluppo di nuove fasi storiche. Gli accademici hanno incontrato e
incontrano notevoli difficoltà nello spiegare il cambiamento sociale, in
parte perché c'è la tendenza a concentrarsi su ciò che è «incluso», che fa
parte dei sistemi formali: i governi, gli elettori, il mercato del lavoro
formale, il sistema di difesa di un paese, ecc. I grandi sconvolgimenti
sociali ci colgono impreparati - che si tratti della caduta di regimi
poderosi come le dittature dell'America Latina negli anni `70 e di Marcos
nelle Filippine, o l'estensione del diritto di voto alle donne e alle
persone di colore, o la firma del trattato per la messa al bando delle mine
antiuomo, o le mobilitazioni contro il Wto a Seattle nel 1999. Per quanto la
Cia si sforzi di tenere sotto controllo i «sobillatori», non è mai stato
possibile prevedere correttamente il sopraggiungere del cambiamento sociale,
o prevederlo affatto. Una delle ragioni è che quel che può apparire come un
cambiamento improvviso è in realtà il risultato di una lunga storia di lotte
organizzate, portate avanti da attori invisibili e «senza potere». I grandi
eventi e cambiamenti sociali sono spesso costruiti nel corso di decenni
dalle pratiche degli esclusi. Le donne hanno lavorato per un secolo per
ottenere il diritto di voto, prima che, negli anni `60, diventasse una
realtà nei paesi ricchi del Nord del mondo. Ma la storia ne parla come se un
giorno, in alcuni casi verso la metà degli anni `60, i legislatori avessero
improvvisamente deciso di concedere il diritto di voto alle donne. Oggi
stiamo attraversando, ancora una volta, una congiuntura storica molto
particolare. Vale la pena dunque di esaminare le tendenze chiave che stanno
ridisegnando la mappa politica; niente di quanto dirò è del tutto nuovo, ma
la scala del fenomeno e le tattiche impiegate sono in una certa misura
estreme e danno vita a una nuova mappa politica. In questo contesto, c'è
spazio perché le forze sociali informali rafforzino il proprio impegno e
lavoro politico.

Nuovi attori e percorsi

Vorrei evidenziare due questioni chiave, relative entrambe al sistema
politico formale, che sono un chiaro indicatore del degrado di questo
sistema politico e quindi dell'importanza delle forze politiche informali.

In primo luogo, in tutti i paesi la globalizzazione ha indebolito il sistema
legislativo e, benché vi si presti poca attenzione, ha rafforzato il potere
del ramo esecutivo. Non è una cosa di cui stare allegri. Per quanti limiti
le democrazie liberali possano avere, il sistema legislativo è il luogo in
cui si esercita il potere del popolo, in cui possiamo far sentire la nostra
voce attraverso i nostri rappresentanti eletti. È anche il ramo del governo
in cui possiamo porre i politici di fronte alle loro responsabilità:
chiedere ai legislatori e, cosa ancor più importante, al governo -
presidente/primo ministro, ministri, agenzie e commissioni operanti
all'interno dell'esecutivo - di rendere conto del loro operato. Il numero di
commissioni e agenzie governative è aumentato considerevolmente nel corso
del tempo: una parte sempre maggiore delle attività di governo è sotto il
controllo dell'esecutivo e sottratta alla supervisione dei cittadini. Nel
contempo, il ramo legislativo è stato indebolito, al punto che in molti
paesi oggigiorno è in uno stato di degrado, proprio perché il sempre minor
potere di cui gode lo rende vulnerabile alle mire degli interessi privati.
Tutto questo emerge con estrema chiarezza negli Stati uniti dove, come
sostengo nel mio ultimo libro, abbiamo un governo sempre più «privatizzato».
Gli Usa sono a malapena quella democrazia liberale caratterizzata
dall'equilibrio tra i poteri che si suppone che siano. Non è mai stato un
sistema perfetto, né è mai stato implementato alla perfezione, ma quel che è
avvenuto negli Stati Uniti nell'ultimo decennio è davvero senza precedenti.
Credo che stiamo entrando in una nuova era: il punto è che l'apparato
formale della politica - il governo, i partiti politici, le lobby
ufficiali - sono sempre meno rappresentativi del corpus politico nel senso
più generale del termine. Questo significa che gli attori politici
informali - i movimenti sociali, gli esclusi, i «senza potere» - assumono un
ruolo ogni giorno più importante.

In secondo luogo, esiste oggi un sistema politico-economico strategico
interamente nuovo, che in parte funziona attraverso i mercati elettronici, e
in parte è integrato in una rete di circa quaranta città globali sparse per
il mondo. È un sistema che sfugge alla legge territoriale degli
stati-nazione e, ciò che forse è ancora più importante, che riesce a far
entrare elementi del proprio programma nelle leggi nazionali. Lo concepisco
come la privatizzazione del potere di dettare legge, che era un tempo di
dominio pubblico. Questa tendenza a inserire l'interesse privato nel sistema
politico pubblico avviene attraverso le commissioni specializzate nella «reg
olamentazione», che operano a fianco del ramo esecutivo del governo;
attraverso dipartimenti chiave del ramo esecutivo (come i ministeri delle
finanze e le banche centrali); e attraverso le lobby private che influenzano
i rappresentanti in parlamento (soprattutto negli Stati Uniti, molto meno in
Europa). È un processo insidioso, perché gli interessi privati vengono
spacciati per politiche pubbliche e difesi come il modo migliore di
governare il paese. Chiaramente, non stiamo parlando di corruzione, come
quando un esponente politico di alto livello viene pagato da privati perché
appoggi un oscuro provvedimento: il tutto, invece, viene fatto apparire
legale. Di conseguenza, assistiamo oggi a nuove forme di potere e autorità
private che agiscono globalmente, al di fuori del dominio della politica
nazionale; e impongono le loro politiche attraverso i nostri governi,
facendole apparire legali. Ancora una volta, nella misura in cui il sistema
politico formale è coinvolto in questo processo, gli attori delle lotte
politiche informali assumono un'importanza del tutto nuova.

Voglio sostenere che è soprattutto in tempi come questi che le pratiche dei
movimenti sociali e degli esclusi diventano sempre più influenti. Ce l'hanno
dimostrato i Forum di Porto Alegre e di Bombay. Gli spazi di lavoro politico
degli attori informali sono diversi da quelli dei partiti politici: stiamo
parlando, per esempio, degli spazi meno formali delle città e dei territori
(anziché i sistemi nazionali di voto) e, cosa interessante, delle nuove reti
informatiche che collegano fra loro punti diversi del mondo, creando una
zona pubblica globale sempre più ampia. Questo non significa rinunciare allo
Stato; significa solo che le forze politiche informali assumono maggior
potere e quindi, si spera, possono entrare nell'apparato politico formale,
trasformandolo sia dall'esterno, attraverso le proteste, sia dall'interno. È
grazie a queste pratiche di resistenza e costruzione del cambiamento che le
forze politiche informali si rafforzano e acquistano visibilità, esperienza
e potere (speriamo che si tratti di potere «buono» e che tale rimanga, una
questione non priva di rischi).

Lo spazio urbano

Le città e i territori sono uno spazio di gran lunga più adatto alla
politica di quanto non sia lo Stato. Diventano un luogo in cui gli attori
politici informali possono far parte della scena politica secondo modalità
molto più difficili da praticare a livello nazionale, dove la politica deve
essere gestita attraverso sistemi formali: quello elettorale, quello
giudiziario (citando le agenzie in tribunale), ecc. Nello spazio politico
nazionale, gli attori politici informali sono ridotti all'invisibilità. Lo
spazio delle città accomoda un'ampia gamma di attività politiche -
occupazioni, manifestazioni contro la repressione brutale della polizia,
lotte per i diritti degli immigrati e dei senza tetto, la politica della
cultura e dell'identità, attivismo gay, ecc. - che assumono particolare
visibilità nelle piazze. Gran parte delle pratiche politiche urbane sono
reali, portate avanti da persone anziché essere dipendenti da costose
tecnologie mediatiche. La politica di piazza facilita la creazione di nuovi
tipi di soggetti politici che non devono necessariamente passare per il
sistema politico formale.

Ma non si tratta solo di attivismo. La città e il territorio sono anche uno
spazio in cui chi dispone di poche risorse può accumularne di collettive,
siano esse relative al sapere, politiche, culturali e sociali. Il progetto
di Roma di fare della regione metropolitana uno spazio per le economie
alternative è un esempio dei modi più profondamente strutturali di usare le
risorse collettive e le politiche delle aree urbane densamente popolate. Il
lavoro di «Sbilanciamoci!», teso a una revisione critica del bilancio
statale per analizzare come vengono impiegati i soldi dei contribuenti, è un
altro esempio; ripetere lo stesso esercizio a livello metropolitano e urbano
sarebbe ancora più rilevante, dal momento che le voci del bilancio cittadino
sono più vicine alle questioni di interesse quotidiano per la gente. È
importante ripensare chi è l'attore politico in questi contesti: non è più
semplicemente l'elettore. Include altri soggetti, protagonisti della vita
quotidiana, a prescindere dal fatto che godano o meno dei diritti di
cittadinanza, che votino o meno alle elezioni politiche. Tutto questo è
ovviamente importante ma, nello spazio politico cittadino, altre questioni,
altre esigenze hanno la precedenza; sono questioni reali, e anche un
immigrato irregolare può prendere parte alla lotta. La crescita del
movimento del diritto alla città è un buon esempio di questo potenziale;
evidenzia anche come reclamare tali diritti faccia della politica un
processo reale e partecipativo, dal momento che riguarda risorse collettive
e infrastrutture, e il riconoscimento della diversità nelle rivendicazioni
di alloggi, parchi, lavori, accesso a cure sanitarie e strutture per
l'infanzia, ecc. Il tutto diventa ancor più significativo in un contesto in
cui il sistema politico formale assorbe una percentuale sempre minore delle
energie politiche di un paese.

Quando la città ha dimensioni globali, queste possibilità politiche assumono
un carattere ben diverso, perché questo tipo di città è di importanza
strategica per il capitale globale. Queste città, e i legami geografici
strategici che le collegano tra loro attraverso i confini nazionali, possono
essere considerate parte dell'infrastruttura per una società civile globale,
a cui contribuiscono dal basso, attraverso una molteplicità di micro-siti.
Tra questi micro-siti e queste micro-transazioni ci sono una varietà di
organizzazioni impegnate in questioni transnazionali, come l'immigrazione,
il diritto d'asilo, le lotte per un'altra globalizzazione... Sebbene tali
organizzazioni non siano necessariamente urbane per nascita o orientamento,
la geografia delle loro operazioni è in parte inserita in un gran numero di
città.

Ironicamente, le nuove tecnologie informatiche, soprattutto Internet, hanno
rafforzato la mappa urbana di questi network transnazionali. Per quanto non
sia strettamente necessario, le città (e i network che le tengono insieme)
in questa fase fungono da ancora e facilitano le lotte globali; questi
stessi sviluppi agevolano, però, anche l'internazionalizzazione del
terrorismo e dei traffici illegali. Le città globali, quindi, sono ambienti
complessi che stimolano questi tipi di attività, anche se i network stessi
potrebbero non essere urbani. E il ciberspazio è, ironicamente, uno spazio
politico per gli esclusi molto più importante del sistema politico
nazionale.

Attivisti digitali

A seconda dell'uso dei media informatici in questo nuovo tipo di impegno
transnazionale, possiamo individuare due ampie categorie di attivismo
digitale: il primo consiste in gruppi di attivisti localizzati sul
territorio che si collegano con altri gruppi simili sparsi per il mondo.
L'evidenza empirica disponibile suggerisce che tali gruppi sono presenti
principalmente, anche se non esclusivamente, nelle città. Gli attivisti
creano network non solo per diffondere informazioni (su questioni politiche,
ambientali, abitative, ecc.) ma anche per elaborare strategie politiche e
promuovere vari tipi di iniziative. Esistono molti esempi di questa attività
politica transnazionale: Sparc, per esempio, creato da donne e per donne, è
nato come un tentativo di organizzare gli abitanti degli slum di Bombay per
aiutarli a trovare casa; ben presto, si è trasformato una rete di gruppi
simili presenti in tutta l'Asia e in alcune città dell'America Latina e
dell'Africa. Questa è una delle più importanti modalità di politica
alternativa resa possibile da Internet: un politica sul territorio, ma con
un'importante differenza - si svolge su territori collegati fra loro
attraverso regioni, paesi, o in tutto il mondo. Il fatto che il network sia
globale non significa che tutto debba avvenire a livello globale.

Uno degli esiti di questo stato di cose è che i «senza potere», gli
svantaggiati, gli emarginati, le minoranze discriminate, possono acquisire
una presenza nelle città globali, sul territorio e nel ciberspazio, e
possono farlo rispetto a chi detiene il potere e gli uni rispetto agli
altri. Questo, per me, è il segnale della possibilità di un nuovo tipo di
politica, basata su nuovi tipi di attori. Non è più semplicemente questione
di avere il potere o di non averlo. Queste sono le nuove basi ibride sulle
quali agire. Le pratiche informali e gli attori politici non totalmente
riconosciuti come tali possono comunque partecipare allo scenario politico.
Se poi torniamo alla storia e vediamo in che misura i cambiamenti importanti
siano stati generati non dai poderosi al potere, ma proprio dai «senza
potere», allora le nuove condizioni oggettive cui assistiamo oggi acquistano
nuovi significati. Ma perché si realizzino a pieno, dobbiamo impegnarci; non
cadranno come manna dal cielo.