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i fondi - pensione - sono senza fondi
- Subject: i fondi - pensione - sono senza fondi
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Sat, 18 Dec 2004 07:06:15 +0100
il manifesto - 10 Dicembre 2004 I fondi senza fondi Intervista a Luigi Scimia, presidente della Covip, l'Autorità per i fondi pensione. Un piatto potenziale da 14 miliardi di euro l'anno. Ma i lavoratori per costruirsi una pensione integrativa decente dovrebbero accantonare il 10% della retribuzione. PAOLO ANDRUCCIOLI «La nostra principale preoccupazione? Capire quando scatterà concretamente il trasferimento del Tfr ai fondi pensione. Riteniamo infatti quello un momento fondamentale per il decollo della previdenza complementare. I fondi pensione hanno bisogno di una forte spinta per crescere. In una situazione economica difficile come quella attuale in cui i redditi medi dei lavoratori dipendenti non solo elevati, diventa difficile pensare di poter prelevare dal proprio salario una qualsiasi somma (che peraltro non dovrebbe essere inferiore al 10% del reddito) da destinare a una pensione integrativa. Il conferimento del Tfr ai fondi pensione è quindi fondamentale per uno sviluppo serio della previdenza complementare. Consideriamo anche che l'ammontare annuo del Tfr per i lavoratori privati è stimato in circa 14 miliardi di euro l'anno». Il presidente della Covip, Luigi Scimia sta seguendo da vicino gli sviluppi della legge finanziaria. Lo abbiamo incontrato per discutere del futuro dei fondi pensione. «Intanto - dice - devono essere previste le risorse per applicare la delega Maroni: ci vogliono circa 250 milioni, ma per il primo anno ne basterebbero anche 60 o 70, tenuto conto che si dovrebbe partire dal luglio 2005» Presidente, cominciamo dalla situazione dei fondi pensione. Perché non sono decollati? La legge del 1993 ha puntato soprattutto sui fondi collettivi di categoria (i fondi chiusi) perché basandosi sulla partecipazione dei lavoratori e dei loro sindacati, la gestione poteva essere più trasparente e controllata. Ma dopo il decollo iniziale di alcuni fondi (Fonchim, Cometa, ecc.) c'è stato un arresto. Ad esempio, nel settore dell'artigianato i fondi pensione non sono decollati, nonostante il gran numero di lavoratori. E' un mercato del lavoro molto disomogeneo che si fonda su piccole e medie aziende. I sindacati dell'artigianato si erano messi insieme per far decollare il fondo, ma ci hanno scritto di recente che rinunciavano all'iniziativa. Non hanno avuto una risposta adeguata dai lavoratori. Ora stanno puntando sui fondi aperti ad adesione collettiva. Si tratta di pensare a quelle imprese con 100/200 dipendenti dove sarebbe molto costoso istituire un fondo pensione, mentre sarebbe più conveniente aderire collettivamente ai fondi lanciati dalle compagnie di assicurazione e dalle Sgr, le società di gestiore del risparmio. E' prevista una partecipazione attraverso un comitato di sorveglianza in modo che anche se i lavoratori non partecipano direttamente alla gestione, possono controllare, anche dal punto di vista degli investimenti etici. Quando pesa oggi la previdenza integrativa sui redditi dei pensionati? In Italia siamo molto indietro, anche perché la legge sui nuovi fondi è recente. In Inghilterra i pensionati attuali hanno nella loro pensione almeno il 40% che deriva da redditi dei fondi. In Italia siamo all'1-1,5 per cento del reddito. Da noi, poi, molti lavoratori - e questo è un fatto deleterio - quando arriva il momento del pensionamento, scelgono la capitalizzazione, anziché la rendita. E' un fatto molto negativo perché il capitale liquidato viene speso e spesso ci si trova a dover affrontare la vecchiaia con una pensione non adeguata. E necessario invece rivendicare la natura previdenziale di questo particolare risparmio. Una cosa è un fondo pensione, altra cosa la polizza. Il fondo pensione non dovrebbe perciò consentire l'integrale capitalizzazione. E non è un caso che per i fondi nuovi la legge prevede che si possa capitalizzare solo il 50%. Tra l'altro, questo è uno dei motivi per cui le rendite assicurate oggi dai fondi pensione non sono alte. A quanto ammonta il risparmio previdenziale complessivo in Italia? Abbiamo un risparmio di 38 miliardi di euro. Ma di questi, 30 miliardi sono rappresentati dai fondi pre-esistenti alla legge del `93, come nel caso del fondo della Comit di cui ha parlato anche «il capitale». Quel fondo- che oggi è in disequilibrio- è nato nel 1904. Il fondo della Cariplo è nato addirittura nel 1837. Sono vecchi fondi che raccolgono ancora la massa maggiore. I nuovi, come ho già detto, sono decollati poco: rappresentano circa l'8% dei lavoratori (2 milioni e mezzo circa). Con la legge delega che prevede il trasferimento del Tfr dovrebbero prendere slancio. Magari non il primo anno, ma sicuramente dal secondo, nel 2006. Il Tfr, come ho già detto, ammonta a circa 14 miliardi di euro. Nella prima fase sarà il 30 o il 35% che arriverà ai fondi pensione, ovvero circa 5 miliardi di euro, che è comunque una bella somma. Il problema sta tutto nei decreti attuativi. Le imprese che perdono il Tfr (usato oggi come investimento con un tasso del 3%) dovranno sostituirlo con il finanziamento bancario che però ha un costo del 6 o il 7%. E' almeno il doppio. Allora le aziende chiedono allo Stato una compensazione per questo maggiore onere. E la legge delega una compensazione per le imprese. Si sarebbe dovuto trovare una soluzione nella finanzaria. Per ora non è previsto nulla. Il ministro del welfare, Maroni, ha assicurato però che ci saranno le risorse per la previdenza complementare già nella finanziaria... Il ministro ci ha confermato di aver avuto, dal ministro dell'economia, Siniscalco, assicurazioni precise. Ci sarà probabilmente un emendamento o un subemendamento che stabilirà il finanziamento. Se ciò non sarà possibile, ci sarà un collegato verso marzo, aprile. La legge delega prevede che i decreti devono essere emanati entro l'ottobre del 2005. I soldi devono essere trovati in tempo, altrimenti scadrebbe la delega e bisognerebbe rifare la legge. Se non ci sarà il subemendamento dovremo aspettare il collegato per avere i decreti attuativi a maggio-giugno e far scattare da luglio i sei mesi di tempo per scegliere tra fondi pensione e Tfr. Si prevedono anche delle agevolazioni fiscali? Oggi abbiamo un'esenzione fino a 10 milioni, ma con delle condizioni rispetto ai redditi. L'idea è quella di togliere le condizioni e lasciare ferma la cifra assoluta. La previdenza integrativa ha infatti un significato solo se ha un determinato ammontare. Nel 2035 il tasso di sostituzione (il rapporto tra pensione e ultimo stipendio) scenderà fino al 55-50%, dal 78-80% attuale. Forse si scenderà anche sotto il 50 e quindi la previdenza integrativa dovrà coprire almeno il 20%. Ma per arrivare a quei livelli abbiamo calcolato che chi lavora per 35 anni dovrà riuscire a destinare alla previdenza integrativa almeno il 10-12% del suo salario, ogni anno. Oggi togliere il 10-12% dallo stipendio è però molto arduo. In Italia il 34% dei lavoratori guadagna meno di 15 mila euro all'anno. Un altro 54% denuncia redditi lordi inferiori a 25 mila euro. Quindi andare a togliere da questi redditi il 10% diventa un fatto molto oneroso e forse impossibile. Per questo il Tfr può essere la soluzione. Se invece di rinviarlo ai 60 o 65 anni al momento della liquidazione, lo si destina al risparmio previdenziale nei fondi pensione, diventa una scelta di cui non si avverte il peso (in più con un contributo volontario e con quello dei datori dei lavoratori). Così si punta a garantire il 20% della pensione. Abbiamo poi ancora il problema del tipo di tassazione. In tutta Europa i rendimenti dei fondi pensione vengono tassati in modo diverso. Da noi siamo all'11%, ma nel resto d'Europa si applica il sistema «eet» (esenzione, esenzione, tassazione), mentre noi abbiamo l'«ett» (esenzione, tassazione, tassazione). L'ispirazione era quella di eliminare completamente quell'11%. Ma non si può fare; la promessa, allora, è che si scenda al 6%. Ma quanti soldi servirebbero, secondo i vostri calcoli, per far partire la previdenza complementare? Abbiamo calcolato che per le agevolazioni alle imprese servirebbero circa 150 milioni di euro, almeno nella prima fase. Per la nuova esenzione servono meno di 100 milioni. Quindi complessivamente abbiamo previsto che nel primo anno ci vorranno 250 milioni. E siccome la legge scatterà dal prossimo anno, alla fine per il 2005 potrebbero bastare anche 60 o 70 milioni. Non è la fine del mondo. Ma dove andranno poi tutti questi soldi del Tfr? A parte quelli che già aderiscono ai fondi pre-esistenti, si parla ora dei fondi regionali e la delega prevede che se non c'è quello di categoria, il Tfr potrebbe andare ai fondi regionali, o ai fondi aperti con adesioni collettive. C'è anche un'altra possibilità: che il Tfr vada ai fondi residuali, ovvero all'Inps. I fondi regionali sono infatti ancora all'inizio. Nel Trentino ci sono addirittura quattro fondi pensione regionali, poi c'è il Lazio che ci sta provando e anche la Lombardia e il Veneto. Ma per tutto il resto? Pensiamo a quello che potrebbe succedere nel regioni del sud. Il problema dei fondi residuali dell'Inps è che non è detto che assicurino i rendimenti alti, almeno più alti del Tfr, ovvero del 3%. Questo è un problema da risolvere, altrimenti i fondi non avrebbero ragione di esistere. E' chiaro che uno dei problemi principali rimane quello dei rendimenti. E' meglio tenersi il Tfr? I rendimenti attuali non sono molto alti. Nel 2003 i fondi pensione hanno battuto ampiamente il Tfr: i negoziali hanno reso infatti il 5,2% e gli aperti il 5,8%. Nel 2002 i fondi sono stati negativi, così come nel 2001, visto il crollo delle Borse. Nel 2004 non è ancora definita la situazione; vedremo a fine anno perché bisogna calcolare l'incidenza dei titoli azionari sui rendimenti. In questo momento la Borsa è in salita e se continua così, avremo un rendimento intorno al 4% che supera quello del Tfr. Ma un altro problema grosso da affrontare è quello della «portabilità». La legge equipara tutti i fondi, anche le polizze individuali: sono tutti sullo stesso piano. I sindacati si sono giustamente arrabbiati, ma anche i datori di lavoro, perché dando la possibilità ai lavoratori di aderire a piani individuali (pip) si perde la «fidelizzazione» che si era cercato di costruire con i fondi (e con i contributi degli stessi datori di lavoro). Si pensi anche la fatica di seguire centinaia di aderenti singoli, mentre con il fondo si ha una comunicazione semplificata. Quindi è stato un errore equiparare i fondi alle polizze individuali? E che destino avrà la Covip? La legge delega prevede l'equiparazione completa. E' ovvio che è stata una scelta per far decollare la previdenza integrativa, ma bisognava anche tenere conto del problema della fidelizzazione. Bisogna meditarci ancora. Anche le aziende se lo chiedono, visto che molte hanno già versato i loro contributi nei fondi. Per quanto riguarda il ruolo della Covip, noi pensiamo che il disegno di legge sul risparmio che è in discussione vada bene. Prevede infatti l'indipendanza della nostra autorità di vigilanza e io penso che bisogna guardare anche a quello che succede in Inghilterra dove anche se tutte le Authority sono state riunificate, quella sulle pensioni è stata lasciata indipendente. Il risparmio previdenziale non è assimilabile a quello finanziario. Meno di tre milioni di sottoscrittori per fondi e polizze In Italia risultano aderenti alla previdenza complementare - attraverso i fondi pensione e le polizze individuali - meno di 3 milioni di lavoratori. Per la precisione, al settembre 2004, risultano dai dati della Covip, la Commissione di vigilanza, 2.737.852 iscritti. I fondi negoziali, ovvero quelli di categoria gestiti dai sindacati, sono 42, con 1.060.558 iscritti, con una crescita lenta dell'1,7% rispetto ai dati dell'anno precedente (2003). I fondi aperti raccolgono invece 374.110 persone e sono il doppio dei fondi chiusi: 94 (sempre dati del settembre 2004). I fondi aperti hanno meno iscritti ma in percentuale sembrano crescere di più dei fondi pensione sindacali. La Covip registra infatti un incremento del 2,6%. In totale gli iscritti ai fondi di nuova istituzione sono 1.434.668, mentre gli iscritti ai fondi pensione pre-esistenti sono ancora una grossa fetta della previdenza complementare italiana: 673.143. L'altra faccia della previdenza complementare italiana è costituita dalle polizze individuli (Pip) sottoscritte a oggi da circa 630.000 persone. Molto interessante la tabella della Covip sul rapporto tra iscritti ai fondi pensione e il bacino dei potenziali utenti dei fondi pensione negoziali, ovvero quelli di categoria. Gli iscritti, come abbiamo detto, sono 1.060.558. Il bacino reale degli iscritti potenziali supera i 13 milioni: 13.354.300. I più importanti fondi di categoria rimangano ancora quelli dei chimici, con Fonchim e dei metalmeccanici, con il fondo Cometa. Il primo è nato nel 1997, il secondo nel `98. Fonchim ha 115.395 iscritti con un bacino potenziale di 188 mila. Cometa ha 323.999 iscritti, ma con un bacino potenziale di un milione di lavoratori. . Il terzo fondo negoziale, in ordine di numero di iscritti è Fondenergia, con circa 30 mila iscritti e un bacino potenziale di 43 mila lavoratori. Il terzo fondo pensione chiuso italiano è quello dei Quadri e dei capi Fiat con 12.314 iscritti e un bacino potenziale di circa 17 mila persone. I fondi pensione aperti sono gestiti essenzialmente dalle compagnie di assicurazione, dalle banche, dalle Sgr (società di gestione del risparmio) e dalle Sim, le società di investimento finanziario. I comparti su cui si investe sono quelli azionari, i bilanciati e gli obbligazionari. Il rendimento generale (sempre a settembre 2004) dei fondi pensione negoziali era del 2,5%, con un benchmark del 3,1% che dovrebbe essere quindi superiore al rendimento del Tfr. Per ora è ancora sotto. Tra i fondi pensione aperti quelli che sembra siano andati meglio negli ultimi mesi sono quelli del comparto obbligazionari misti, con un 2,5% e un benchmark del 3,8%. Per quanto riguarda le polizze individuali pensionistiche (pip), si riscontrano ancora commissioni di gestione molto alte, che tendono a scendere solo per contratti a lunga scadenza (35 anni). Per quelli a breve (3 anni) i costi sono altissimi, con picchi che superano il 10%.
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