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la delocalizzazione dei cervelli
- Subject: la delocalizzazione dei cervelli
- From: "Andrea Agostini" <lonanoda at tin.it>
- Date: Wed, 15 Dec 2004 06:51:07 +0100
il manifesto - 03 Novembre 2004 Nel mondo a caccia di cervelli India, Cina, Filippine. L'high-tech statunitense si trasferisce nel Pacifico Outsourcing Da Seattle a Boston, le imprese del software sono sull'orlo del collasso. E le major dell'informatica si spostano dove ci sono laureati a poco prezzo B. V. Tra le molte parole sul patriottismo, la guerra al terrorismo e la «missione storica» degli Stati uniti nel mondo, c'è ne è una che ha provato, senza troppo successo, però, a farsi strada nella disputa tra i due candidati alla carica di presidente degli americani. E' outsourcing ed è normalmente usata per indicare uno degli effetti tellurici della ristrutturazione in corso dell'economia statunitense che vede maggiormente coinvolti i settori produttivi che hanno a che fare con i cosiddetti knowledge workers. Balzato agli onori della cronaca grazie ad alcuni reportage di periodici come The Economist, Business Week o di essere stato messo al centro della riflessione accademica da riviste come Harward Business Journal, l'outsorcing di cui si sta parlando in questo inizio millennio ricorda, nelle forme, il decentramento produttivo che coinvolse le industrie automobilistiche o l'elettronica di consumo negli anni Settanta, ma presenta una particolare differenza: ad essere esportati non sono tanto i lavori «sporchi», bensì lo sviluppo del software, la progettazione della nuova generazione dei microprocessori, la gestione della contabilità e finanziaria delle imprese, i servizi di «assistenza al cliente» (più volgarmente, i call center) e così via. I paesi ad essere interessati da tale decentramento sono l'India, la Cina, la Malaysia, l'Indonesia, le Filippine e, in misura minore, la Russia e la Thailandia. Il meccanismo è quasi banale. Si tratta di paesi, fatta eccezione della Russia, che hanno conosciuto, negli decenni passati, una modernizzazione che li ha fatti diventare nazioni con un alto numero di laureati in materie tecnico-scientifiche e, fattore determinante, che hanno un costo del lavoro tra i più bassi del mondo. Negli Stati uniti, l'outsourcing viene declinato, di volta in volta, come lo stimolo per una completa deregolamentazione del mercato del lavoro, come sinonimo di disoccupazione o come indicatore della perdita di competitività dell'economia statunitense. Chi cerca di tracciare un quadro meno approssimato della tendenza in corso sono due report elaborati da studiosi per conto di alcuni gruppi di base o del sindacato americano. Il primo si intitola America's High Tech Bust, scritto da Snigdha Srivastava e Nick Teodore per conto della «Washington Alliance of Technology Workers» e del «Communication Workers of America», mentre il secondo recita lapidariamente Outsource This? ed è stato scritto da Jeremy Brecher e Tim Costello su commissione della Naffe (North American Alliance for Fair Employment, www.fairjob.org). Bust può essere tradotto sia come rottura, ma anche come fallimento. Secondo i due economisti autori del primo rapporto, la perdita secca negli ultimi due anni di oltre cinquecentomila posti di lavoro nel settore high-tech, nel suo ampio spettro che va dalla produzione alla commercializzazione, indica che l'industria del software sta dissipando gran parte del suo «capitale intellettuale» a favore di realtà economiche nazionali emergenti che garantiscono forza-lavoro altamente qualificata che prende un salario dieci se non venti volte inferiore di un analista di sistema o un programmatore americano. L'inchiesta è condotta su sei aree metropolitane da sempre fiore all'occhiello dell'high-tech made in Usa. C'è ovviamente la regione di Boston con la famosa Route 181 e il prestigioso Mit, da sempre laboratorio per la ricerca di confine nella computer science; c'è Seattle, con la Microsoft e relativo indotto; c'è la regione metropolitana di Dallas, da un decennio luogo dove si è concentrata la produzione dei personal computer. Da questa inchiesta non potevano restare fuori le aree di San Francisco e San José, cioè le due metropoli che sono o al confine della Silicon Valley o che hanno avuto le ricadute produttive (i cosiddetti spill over) della ricerca di base e applicata condotta in prestigiose università. E all'elenco vanno, infine aggiunte le regioni metropolitane di Chicago e di Washington. Il quadro che ne esce fuori è desolante: dal 2001, anno indicato come anno dello scoppio della cosiddetta bolla speculativa della new economy, c'è stata la volatilizzazione di decine, se non centinaia imprese dot-com, mentre i colossi dell'high-tech hanno cominciato prima a decentrare in Messico, per poi spostarsi nei paesi del sud-est asiatico. Per i due economisti, questa tendenza all'outsourcing è indicativa del declino dell'information technology statunitense. Il loro studio è ripreso anche da Jeremy Brecher e Tim Costello in Outsource This?. I due autori sono da anni impegnati in quella che loro stessi hanno chiamato «movimento per la globalizzazione dal basso». Per loro, però, il decentramento nell'information technology è da considerarsi come una tendenza «strutturale» dell'economia statunitense da almeno trent'anni. E' stato così per l'industria tradizionale, è così e sarà sempre più così per l'high-tech. La spiegazione che i due attivisti danno è drammaticamente semplice. Per rispondere alla sovrapproduzione e alla caduta dei profitti, il capitale statunitense va alla ricerca di paesi dove paga di meno la forza-lavoro. Esemplificativa è a questo proposito una dichiarazione di Mark Andeersen, già fondatore di Netscape: in questi paesi, «puoi avere tre, quattro programmatori al prezzo di uno». Ma questa volta non cerchi forza-lavoro dequalificata, bensì acculturata. Da qui l'individuazione di aree dove c'è una forte e qualificata presenza di università tecnico-scientifiche e di una stabilità politica. E se Bangalore, in India, è sede di una prestigioso dipartimento di computer science, nelle regioni speciali della Cina ci sono altrettanti e preparati ingegneri, fisici, mentre alla stabilità politica e all'obbedienza ci pensa il partito comunista e l'esercito «popolare». Per i due attivisti, gli Stati uniti stanno vivendo, nel settore dell'information technology, un'economia di transito dove il business process outsourcing sia il risultato finale. In altri termini: il decentramento è un modello di sviluppo imprenditoriale dove nelle mani delle corporation non rimane il cuore del processo produttivo - la progettazione, la ricerca e sviluppo - ma solo la gallina delle uova d'oro dell'industria high-tech, cioè i diritti di proprietà intellettuali che garantiscono il controllo di tutta la rete produttiva.
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