la delocalizzazione dei cervelli



il manifesto - 03 Novembre 2004

Nel mondo a caccia di cervelli

India, Cina, Filippine. L'high-tech statunitense si trasferisce nel Pacifico
Outsourcing Da Seattle a Boston, le imprese del software sono sull'orlo del
collasso. E le major dell'informatica si spostano dove ci sono laureati a
poco prezzo
B. V.

Tra le molte parole sul patriottismo, la guerra al terrorismo e la «missione
storica» degli Stati uniti nel mondo, c'è ne è una che ha provato, senza
troppo successo, però, a farsi strada nella disputa tra i due candidati alla
carica di presidente degli americani. E' outsourcing ed è normalmente usata
per indicare uno degli effetti tellurici della ristrutturazione in corso
dell'economia statunitense che vede maggiormente coinvolti i settori
produttivi che hanno a che fare con i cosiddetti knowledge workers. Balzato
agli onori della cronaca grazie ad alcuni reportage di periodici come The
Economist, Business Week o di essere stato messo al centro della riflessione
accademica da riviste come Harward Business Journal, l'outsorcing di cui si
sta parlando in questo inizio millennio ricorda, nelle forme, il
decentramento produttivo che coinvolse le industrie automobilistiche o
l'elettronica di consumo negli anni Settanta, ma presenta una particolare
differenza: ad essere esportati non sono tanto i lavori «sporchi», bensì lo
sviluppo del software, la progettazione della nuova generazione dei
microprocessori, la gestione della contabilità e finanziaria delle imprese,
i servizi di «assistenza al cliente» (più volgarmente, i call center) e così
via. I paesi ad essere interessati da tale decentramento sono l'India, la
Cina, la Malaysia, l'Indonesia, le Filippine e, in misura minore, la Russia
e la Thailandia. Il meccanismo è quasi banale. Si tratta di paesi, fatta
eccezione della Russia, che hanno conosciuto, negli decenni passati, una
modernizzazione che li ha fatti diventare nazioni con un alto numero di
laureati in materie tecnico-scientifiche e, fattore determinante, che hanno
un costo del lavoro tra i più bassi del mondo.
Negli Stati uniti, l'outsourcing viene declinato, di volta in volta, come lo
stimolo per una completa deregolamentazione del mercato del lavoro, come
sinonimo di disoccupazione o come indicatore della perdita di competitività
dell'economia statunitense. Chi cerca di tracciare un quadro meno
approssimato della tendenza in corso sono due report elaborati da studiosi
per conto di alcuni gruppi di base o del sindacato americano. Il primo si
intitola America's High Tech Bust, scritto da Snigdha Srivastava e Nick
Teodore per conto della «Washington Alliance of Technology Workers» e del
«Communication Workers of America», mentre il secondo recita lapidariamente
Outsource This? ed è stato scritto da Jeremy Brecher e Tim Costello su
commissione della Naffe (North American Alliance for Fair Employment,
www.fairjob.org).
Bust può essere tradotto sia come rottura, ma anche come fallimento. Secondo
i due economisti autori del primo rapporto, la perdita secca negli ultimi
due anni di oltre cinquecentomila posti di lavoro nel settore high-tech, nel
suo ampio spettro che va dalla produzione alla commercializzazione, indica
che l'industria del software sta dissipando gran parte del suo «capitale
intellettuale» a favore di realtà economiche nazionali emergenti che
garantiscono forza-lavoro altamente qualificata che prende un salario dieci
se non venti volte inferiore di un analista di sistema o un programmatore
americano. L'inchiesta è condotta su sei aree metropolitane da sempre fiore
all'occhiello dell'high-tech made in Usa. C'è ovviamente la regione di
Boston con la famosa Route 181 e il prestigioso Mit, da sempre laboratorio
per la ricerca di confine nella computer science; c'è Seattle, con la
Microsoft e relativo indotto; c'è la regione metropolitana di Dallas, da un
decennio luogo dove si è concentrata la produzione dei personal computer. Da
questa inchiesta non potevano restare fuori le aree di San Francisco e San
José, cioè le due metropoli che sono o al confine della Silicon Valley o che
hanno avuto le ricadute produttive (i cosiddetti spill over) della ricerca
di base e applicata condotta in prestigiose università. E all'elenco vanno,
infine aggiunte le regioni metropolitane di Chicago e di Washington.
Il quadro che ne esce fuori è desolante: dal 2001, anno indicato come anno
dello scoppio della cosiddetta bolla speculativa della new economy, c'è
stata la volatilizzazione di decine, se non centinaia imprese dot-com,
mentre i colossi dell'high-tech hanno cominciato prima a decentrare in
Messico, per poi spostarsi nei paesi del sud-est asiatico. Per i due
economisti, questa tendenza all'outsourcing è indicativa del declino
dell'information technology statunitense.
Il loro studio è ripreso anche da Jeremy Brecher e Tim Costello in Outsource
This?. I due autori sono da anni impegnati in quella che loro stessi hanno
chiamato «movimento per la globalizzazione dal basso». Per loro, però, il
decentramento nell'information technology è da considerarsi come una
tendenza «strutturale» dell'economia statunitense da almeno trent'anni. E'
stato così per l'industria tradizionale, è così e sarà sempre più così per
l'high-tech. La spiegazione che i due attivisti danno è drammaticamente
semplice. Per rispondere alla sovrapproduzione e alla caduta dei profitti,
il capitale statunitense va alla ricerca di paesi dove paga di meno la
forza-lavoro. Esemplificativa è a questo proposito una dichiarazione di Mark
Andeersen, già fondatore di Netscape: in questi paesi, «puoi avere tre,
quattro programmatori al prezzo di uno». Ma questa volta non cerchi
forza-lavoro dequalificata, bensì acculturata. Da qui l'individuazione di
aree dove c'è una forte e qualificata presenza di università
tecnico-scientifiche e di una stabilità politica. E se Bangalore, in India,
è sede di una prestigioso dipartimento di computer science, nelle regioni
speciali della Cina ci sono altrettanti e preparati ingegneri, fisici,
mentre alla stabilità politica e all'obbedienza ci pensa il partito
comunista e l'esercito «popolare».
Per i due attivisti, gli Stati uniti stanno vivendo, nel settore
dell'information technology, un'economia di transito dove il business
process outsourcing sia il risultato finale. In altri termini: il
decentramento è un modello di sviluppo imprenditoriale dove nelle mani delle
corporation non rimane il cuore del processo produttivo - la progettazione,
la ricerca e sviluppo - ma solo la gallina delle uova d'oro dell'industria
high-tech, cioè i diritti di proprietà intellettuali che garantiscono il
controllo di tutta la rete produttiva.